Bari – Duro colpo inferto ai clan mafiosi “Parisi-Palermiti”

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Dovranno scontare complessivamente pene detentive per 73 anni e 4 mesi le 7 persone, peraltro già detenute in diversi istituti di pena della penisola, alle quali ieri i carabinieri del comando provinciale del capoluogo pugliese hanno notificato i 7 ordini di carcerazione. Si tratta di del 36enne Marco Barone, dei 35enni Nicola Bruno e  Daniele Leleuso, del 60enne collaboratore di giustizia, ex braccio Destro del boss Palermiti, Domenico Milella, del 38enne Michele Ruggieri, del 40enne Sebastiano Ruggieri e del 32enne Leonardo Pasquale Tritta. L’esecuzione degli ordinativi di arresto è stata disposta dall’ufficio esecuzioni penali della procura generale presso la Corte di Appello di Bari. Per i destinatari si tratta di sentenze definitive, passate in giudicato di condanna per gravi reato commessi tra il 2015 e il 2019 nella città di Bari. Si tratta di persone ritenute appartenenti e contigui ai potenti clan mafiosi delle famiglie Parisi e Palermiti che in quegli anni dettavano legge in alcuni paesi della provincia di Bari e nei quartieri “Madonnella” e “Japigia” della città. Ai sette destinatari dei provvedimenti di esecuzione delle sentenze in seguito ad accurate indagini disposte coordinate dalla DDA, la direzione distrettuale antimafia di Bari e sviluppatesi traverso intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti e dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, è stata contestata e attribuita la paternità del rea di associazione a delinquere di tipo mafioso armata, detenzione e porto illegale di armi, nonché finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Tutto cristallizzato per la giustizia cinque anni fa anche se l’indagine inizia esattamente dieci anni fa quando, il 16 ottobre del 2014, fu rinvenuto e sequestrato un importante arsenale di armi e un importante deposito di droga. Per l’amministrazione della giustizia il gruppo dava vita e operava in nome e per conto dei due sodalizi criminali, nel frattempo diventati alleati, mettendo in essere diverse azioni violente e intimidatorie con il fine di far trarre ai clan grandi e illeciti profitti oltre ad assicurare alle organizzazioni malavitose il pieno controllo dei territori. Dalle indagini emersero diversi episodi che, poi, in aula, hanno generato le condanne. Episodi come interventi diretti dei capimafia per dirimere controversie sorte all’interno dei sodalizi e con clan rivali, sparatorie come quella con scopo intimidatorio messa a segno a metà marzo del 2015 ai danni di un circolo ricreativo, l’U.C., del quartiere “Japigia”, che era gestito dal padre  di un ragazzo che aveva, qualche giorno prima, ferito con colpi di pistola un altro affiliato all’organizzazione mafiosa. A questo episodio si aggiunge, ancora, l’azione intimidatoria operata nei confronti di un altro affiliato ai clan che era stato ritenuto l’autore di un pestaggio, senza autorizzazione preventiva dei boss, di un sodale per motivi legati a divergenze su dove e come custodire partite di sostanze stupefacenti. Infine, c’era anche la gestione in regime di monopoli di tutte le piazze di spaccio nei quartieri “Japigia” e “Madonnella”, sulle quali arrivavano ingenti quantità di cocaina, hashish e marijuana. A  nulla valsero le precauzioni adottate dai clan di parlare in codice a telefono utilizzando schede telefoniche intestate a prestanomi.

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