Bari – La città che nega l’evidenza, a tutti i costi

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La strana ricostruzione dei fatti che porta a liquidare un omicidio e un quadruplice tentato omicidio come una banale questione di attrito tra giovani, sfociata nel sangue in discoteca. Il riferimento è ai sanguinosi fatti di sabato notte verificatisi a Molfetta nel nord barese che sono costati la vita alla 19enne Antonella Lopez e il ferimento di altri quattro ragazzi. Ora occorre, da cronisti, fare un piccolo preambolo. Ci troviamo in Puglia e precisamente nella zona del capoluogo pugliese. Quel capoluogo pugliese che per ammissione del suo ex sindaco, oggi europarlamentare, conta ben 14, si riporto fedelmente, quattordici clan mafiosi. Quella città che da sei mesi è oggetto dell’attenzione di una commissione ministeriale di accesso agli atti per verificare l’esistenza di infiltrazioni o condizionamenti mafiosi nell’ambito della macchina amministrativa. La stessa città nella quale il presidente di regione, ex magistrato antimafia, dice di essersi recato a casa della sorella di uno dei più sanguinari e pericolosi boss mafiosi della città per raccomandargli protezione verso un suo assessore poi diventato sindaco per dieci anni. La medesima città nella quale un pentito racconta che l’ex sindaco nel quartiere di casa sua avrebbe avuto un incontro con un esponente di una famiglia mafiosa locale. La città che a fine febbraio scorso vedeva eseguire 137 ordinanze di custodia cautelare con le accuse, a vario titolo, di associazione a delinquere con l’aggravante del metodo mafioso, tra cui un ex presidente della municipalizzata “Multiservizi”, l’avvocato Giacomo Olivieri che in precedenza aveva ricoperto, per due mandati, l’incarico di consigliere regionale con Forza Italia, prima e con l’Italia dei Valori, poi. In quella occasione finì ai domiciliari, anche, la moglie di Olivieri, Maria Carmen Lorusso consigliera comunale eletta, nel 2019, con le liste del centro destra e, poi, transitata nella maggioranza di centro sinistra a sostegno dell’allora sindaco di Bari e presidente nazionale dell’Anci, Antonio Decaro. Sindaco, che una volta terminato, a giugno scorso, il suo doppio mandato si è candidato ed è stato eletto eurodeputato al Parlamento europeo nelle file del PD, per essere, poi, nominato presidente della commissione europarlamentare ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare. La stessa città dove Gianrico Carofiglio ambienta i suoi romanzi criminali e Gabriella Genise il suo romanzo che dà vita alla serie televisiva “Il commissario Lobosco”. La stessa città dove  a inizio aprile viene arresto il marito di un assessore regionale, già consigliere metropolitano e comunale con una messe spropositata di preferenze. In tutto questo contesto di partenza se, poi, si aggiunge che tutti i protagonisti della sparatoria di sabato notte hanno direttamente o indirettamente a che fare con il mondo della malavita organizzata barese. Il dubbio sorge spontaneo. Si perché la giovane vittima, incensurata era la nipote di un mafioso assassinato tra anni fa e di un collaboratore di giustizia, oggi sotto protezione. Tra i feriti c’è il nipote di uno dei capi mafia della città, considerato un giovane rampollo di famiglia, con gli altri tre feriti tutti noti alle forze dell’ordine. Il presunto assassino, reo confesso, sarebbe figlio di una famiglia legata a un noto clan mafioso cittadino con una condanna passata in giudicato per rapina a mano armata. E nonostante tutto ciò qui si parla di un fenomeno legato al “bullismo criminale in discoteca di giovani generazioni che non sanno tenera a bada i propri istinti”. Ma davvero si deve credere agli asini che volano? Davvero dobbiamo credere alla favoletta che un giovane figlio d’arte della mala gira armato senza che il capo famiglia ne sia, quantomeno a conoscenza? Ma ci vogliamo prendere in giro? Non credo sia giusto in una città nella quale si spara almeno una volta al mese e dove il numero dei morti per efferati crimini malavitosi cresce di anno in anno? È questa la città e sono questi i convincimenti che vogliamo lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti? Speriamo proprio di no.

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