Bari – La storia di Michele e degli “angeli del San Paolo”

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Vive, dorme e mangia, ormai da un anno e mezzo circa, Michele, il sessantacinquenne barese rimasto senza fissa dimora e ospitato di fatto tra le mura dell’ospedale San Paolo di Bari. Ad accudire Michele che di notte dorme sulle panchine dei corridoi con un cuscino e una coperta e di giorno mangia il cibo, ancora sigillato, dei pazienti dimessi che altrimenti andrebbe buttato, sono alcuni dipendenti del grande nosocomio barese. A lui, ormai adottato da buona parte del personale sanitario, medico e paramedico, nei limiti del possibile e con grande spirito umanitario e caritatevole non viene fatto mancare praticamente niente. Già dalla mattina appena sveglio sono tanti i medici, gli infermieri e gli operatori addetti all’assistenza socio sanitaria dell’ospedale che fanno quasi a gara per offrirgli la colazione. Un bicchiere di latte caldo e un cornetto. Così inizia la solitaria e triste giornata di Michele che, poi, trascorre tutta la giornata nei corridoi dell’ingresso dell’ospedale. Il personale della struttura ormai lo considera come uno di loro parte integrante della loro quotidiana missione di salvare vite e aiutare a guarire i pazienti. A cura il precario stato di vita dello sfortunato uomo barese che pare sia stato abbandonato al suo destino dalla stessa sua famiglia ci pensano loro, quelli che si potrebbero tranquillamente definire “gli angeli dell’ospedale San Paolo”. All’uomo che non fa affatto pesare la sua presenza diurna tra i lunghi corridoi del piano rialzato dell’ospedale diversi dipendenti del nosocomio strizzano l’occhio, lo salutano, durante le loro pause caffè gli chiedono se possono offrirgli qualcosa e spesso una semplice bottiglia di acqua fa sentire vivo Michele che altrimenti non saprebbe dove andare. Poco prima dell’alba, prima che iniziano le quotidiane attività di routine dell’ospedale il brizzolato ultra sessantenne barese approfitta per lavarsi nei bagni alle spalle del pronto soccorso in quel angusto corridoio che porta al reparto di radiologia. “Michele è uno di noi, è un peccato non aiutarlo”, racconta un operatore socio sanitario dell’ospedale, che non vuole essere citato, “non fa niente di male e chi lo aiuta altrettanto. Qui, le panchine di notte sono vuote perché sono quelle delle sale di attesa delle prestazioni ambulatoriali diurne e su quelle si stende per dormire il nostro amico che, ormai, è uno di noi. Poi, una coperta e un cuscino lo si rimedia sempre, così come un piatto caldo di minestra a pranzo e a cena di pazienti che sono stati dimessi o che sono andati in sala operatorio o che, purtroppo, non ce l’hanno fatta a vincere qui la sfida della sopravvivenza. È cibo, quello”, conclude l’operatore sanitari dell’ospedale, “che pur non essendo stato dissigillato andrebbe buttato perché non conservabile e allora perché non darlo a Michele o a quanti come lui vivono il dramma della solitudine, dell’abbandono familiare e della povertà?, Sprecare quel cibo o non dare la possibilità a una persona di stendersi sulle scomode sedie delle sale d’attesa notturne per cercare di riposare al caldo, come fanno, ogni notte, diverse decine di familiari di pazienti che ricorrono alle cure del pronto soccorso, sarebbe davvero quello che a Bari si dice uno schiaffo a Cristo”. In questi mesi, però, non sono mancate, anche le rimostranze e le lamentele di alcuni vertici aziendali della struttura sanitaria barese, rispetto alla vicenda di Michele. Ma loro, “gli angeli del San Paolo”, incuranti del rischio di prendersi un cicchetto o, peggio, addirittura un richiamo formale hanno continuato a fornire all’uomo quella poca assistenza e supporto che possono dargli ma che per lui è certamente un grande spiraglio di vita di quella vita che per lui, come per tanti altri casi, ogni giorno, non è stata affatto generosa, soprattutto nella sua ultima fase ovvero quella della vecchiaia che Michele trascorre ormai confinato di fatto tra quelle mura amiche del grande ospedale barese che ormai di fatto è diventa la sua casa e con diversi dipendenti che sono diventati i suoi più stretti familiari e suoi grandi amici nel segno della caritatevole e delicata solidarietà umana.

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