Bari – Neonato morto, mentre il prete non risponde si potrebbe complicare la posizione del tecnico installatore

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Mentre don Antonio Ruccia, il parroco della chiesa san Giovanni Battista del residenziale quartiere di “Poggiofranco” a Bari, nel suo primo interrogatorio da indagato per omicidio colposo del neonato trovato morto nella culla termica all’esterno della sua parrocchia, assistito dall’avvocato Salvatore D’Aluiso, si è avvalso della facoltà di non rispondere. L’altro coimputato per lo stesso reato in concorso, il 44enne bitontino, Vincenzo Nanocchio tecnico elettricista, titolare della ditta individuale “Elettroimpianti”, difeso dall’avvocato Giovanni De Leo ha risposto alle domande del procuratore aggiunto Ciro Angellilis e il sostituto procuratore della Repubblica, Angela Morea. Inquirenti che, ieri, hanno affidato l’incarico, al professor Saverio Mascolo docente di Ingegneria Elettrica del Politecnico di Bari e al perito Luigi De Vecchis, di redigere una perizia tecnica sulla struttura all’interno della quale è stato trovato morto il neonato. L’atto peritale, al quale potranno partecipare se nominati anche i consulenti di parte degli indagati, verrà svolto alle dodici di dopo domani. Dai super esperti la procura del capoluogo pugliese si aspetta di conoscere nel dettaglio come era stato realizzato l’impianto, attualmente sotto sequestro, e come funzionava. Il collegio peritale, inoltre, è stato chiamato a stabilire se il sistema, nel suo complesso composto da allarme, videosorveglianza e riscaldamento, era funzionante o meno e in tal caso perché. Su questi ultimi temi si gioco la delicata posizione dei due indagati ma essenzialmente del tecnico. Perché qualora l’accertamento dovesse determinare un mancato funzionamento, in toto o in parte dell’impianto, il sacerdote come titolare committente e gestore dell’impianto risponderebbe dell’accusa di omicidio colposo per l’aspetto legato alla “culpa in vigilando”, ovvero di una responsabilità indiretta per fatto altrui che si applica a chi ha il dovere di sorvegliare soggetti incapaci o in pericolo. Ma il tecnico bitontino, che pur ha sostenuto davanti ai magistrati e strombazzato all’opinione pubblica di non aver mai avuto con la parrocchia un contratto di manutenzione, si troverebbe a rispondere del reato di omicidio colposo in maniera diretta non per l’aspetto legato alla manutenzione si manutenzione no, ma all’istallazione dell’impianto. Installazione che in generale deve rispettare la “Direttiva Macchine”, dell’Unione Europea numero 2006/42/CE, in vigore dal 29 dicembre del 2009, che si occupa di “sicurezza delle macchine e apparecchiature fisse, mobili, trasportabili e di sollevamento o spostamento. Un assunto normativo che è ancora più restringente quando si pensa fattispecie come quella della culletta in questione, paragonabile a strutture salvavita, come potrebbe essere, per esempio, una sala operatoria di un ospedale. In questi casi, infatti, produttori e installatori di impianti e sistemi sono obbligati per legge, oltre che per buon senso, ad adottare e porre in essere tutte quelle precauzioni necessarie a garantire il miglior funzionamento degli impianti. In gergo tecnico si dice che un impianto di una struttura salvavita deve avere livelli di protezione e salvaguardia del suo funzionamento di livello massimo. Nel caso in specie, gli investigatori stanno cercando di capire perché l’impianto di allarme non era collegato a più utenze telefoniche tra le quali quelle di una delle centrali operative dei servizi di emergenza? Altra domando sul tavolo degli inquirenti è legata al sistema di protezione dello stesso impianto di riscaldamento e allarme, ovvero, quest’ultimo, in uscita, come mai oltre alla scheda sim, trattandosi di struttura salvavita di emergenza, non era stato previsto un secondo collegamento numero telefonico attraverso un sistema di ponte radio e a un terzo sistema di trasmissione dell’alert attraverso l’utilizzo dell’utenza telefonica fissa esistente in parrocchia? Altro teme sul quale stanno lavorando gli investigatori e da oggi i super tecnici, se mai l’impianto prevedeva la registrazione dello storico delle attività svolte al suo interno, registrando sbalzi di temperatura, tensioni, allarmi e quant’altro legato a ciò che accadeva all’interno della culletta anche per fattori estranei al suo utilizzo come una sbalzo di tensione o un blackout, come quello del pomeriggio del 14 dicembre scorso, successivo all’ultimo intervento di manutenzione effettuato, sia pur “a chiamata”, nelle ore mattutine. Inoltre. Le indagini devo appurare se c’era un sistema di batterie di riserva o di alimentazione alternativa di emergenza in caso di avaria dei sistemi di rifornimento elettrico principale e secondario? Tutte verifiche queste che se dovessero accertare l’inesistenza delle precauzioni tecniche e procedurali, previste per legge, renderebbero molto più delicata la posizione del tecnico elettricista rispetto a quella del sacerdote. Situazione, per entrambi gli indagati, che si potrebbero capovolgere se l’esito degli accertamenti istologici e degli esami di laboratorio effettuati durante l’autopsia, che ha stabilito che la morte è avvenuta per ipotermia, portasse i medici legali ad accertare che il decesso del neonato è avvenuto prima del suo abbandono in quel giaciglio.

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