Bari – Neonato morto, parla il secondo indagato: “io venivo chiamato dal prete quado era necessario”

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All’indomani dell’autopsia effettuata martedì pomeriggio, le indagini legate al ritrovamento del corpo senza vita del neonato morto per ipotermia nella culla termica all’esterno della parrocchia di “San Giovanni Battista” al residenziale quartiere “Poggiofranco” di Bari proseguono senza sosta da parte degli uomini della squadra mobile della questura di Bari coordinati dal procuratore aggiunto Ciro Angellilis e il sostituto procuratore della Repubblica, Angela Morea. Al momento il fascicolo di indagine è stato aperto su due filoni investigativi, il primo, contro ignoti, con l’ipotesi di reato di abbandono di minore con conseguente morte finalizzato a cercare di identificare genitori e chi ha lasciato il piccolo in quel giaciglio e il secondo con l’accusa di omicidio colposo a carico del parroco Don Antonio Ruccia, e del tecnico dell’impianto elettrico, il 44enne bitontino, Vincenzo Nanocchio titolare della ditta individuale “Elettroimpianti”. E proprio quest’ultimo che ventitré anni si occupa di impianti elettrici, civili, industriali ed elettronici, assistito dall’avvocato Giovanni De Leo che non ha nominato consulenti di parte per partecipare all’esame autoptico, a differenza del sacerdote che è difeso dall’avvocato Salvatore D’Aluiso che ha nominato come consulente di parte per partecipare all’autopsia il Mariano Manzionna, primario di pediatrie e neonatologia dell’ospedale San Paolo di Bari, che chiarisce alcuni aspetti contorti della vicenda. “Sull’aspetto che mi riguarda sono state dette alcune inesattezze che ci tengo a chiarire come ho, peraltro, già fatto con i giudici”, spiega Nanocchio che aggiunge “non ho mai avuto e non ho nessun contratto di manutenzione con la parrocchia su quell’impianto. Io venivo interpellato, a chiamata, all’occorrenza. E in dieci anni, cioè da quando ho installato l’impianto sono stato chiamato, dal parroco, solo due volte a intervenire. La prima un po’ di tempo fa, non ricordo precisamente quando, per cambiare una lampadina che non funzionava e, poi, l’ultima volta la mattina dello scorso 14 dicembre quando ho effettuato un intervento dalle 9 alle 10 per un malfunzionamento legato, proprio, al sistema di allarme che non scattava. Dopo le dovute verifiche ho provveduto a cambiare l’alimentatore che si era bruciato ho controllato che il guasto era riparato, ne ho fatto prendere contezza a chi mi aveva chiamato e sono andato via. Di tutto ciò ho depositato documentazione agli inquirenti dopo che la mattina del 2 gennaio scorso mi hanno convocato e, quindi, sono tornato sul posto per la quarta volta. Del resto, per quello che mi risulta, da quando è stato installato l’impianto, a eccezione dell’avaria di metà dicembre che non era stata riscontrata per la presenza di un bambino, è questa la prima volta che l’impianto non ha funzionato. Su cosa possa essere accaduto per determinare questo guasto si possono azzardare varie ipotesi”, conclude in tecnico indagato, “può essere andato in blocco in sistema, può non aver funzionato la sim telefonica, e tante altre cose”. Infine, l’installatore coindagato conferma, a differenza di quanto pubblicato sul sito web della parrocchia, che “l’unica utenza telefonica collegata al sistema di allarme, sin dalla sua installazione, è quella di Don Antonio Ruccia”. Dichiarazioni quelle del tecnico che rendono ancora più pesante la posizione del sacerdote che come prima ipotesi aveva dichiarato ai giornalisti che si sarebbe potuto trattare “di un neonato lasciato morto da chi, forse, voleva garantirgli un decoroso funerale”. Intanto, trapelano altre informazioni legate ai risultati dell’autopsia secondo la quale la vittima era un bimbo sottopeso, un “child neglect” che presentava importanti elementi di disidratazione e trascuratezza con un lasso di vita alle spalle di tre o al massimo quattro settimane. Il piccolo al momento del ritrovamento pesava 2 chili e 800 grammi ed era stato partorito al termine delle quaranta settimane di gestazione con tutta probabilità, visto il tipo di recisione del cordone ombelicale, in un ospedale. In attesa di ottenere la conferma attraverso i risultati degli esami istologici, la morte del neonato sarebbe stata causata da ipotermia. Per gli esperti Quindi se le condizioni fisiche del piccolo non fossero state così trascurate, forse si sarebbe potuto salvare, nonostante il malfunzionamento del sistema di allarme e termico. I medici legali sul corpicino della vittima hanno riscontrato, anche, delle piccole escoriazioni cutanee alle caviglie, assolutamente trascurabili e molto superficiali, forse provocate da parassiti, inoltre essendo la temperatura del cadavere era la stessa della stanza fa ipotizzare agli inquirenti che il bimbo sia rimasto nella culla termica per molto tempo, fino alla morte, cosa che fa propendere gli inquirenti per l’ipotesi che il piccolo era stato adagiato vivo in quel giaciglio forse nella notte precedente al ritrovamento e nelle ultime ore dell’anno che da poco si è concluso.

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