Kamala Harris comprende che uno dei punti deboli dell’avversario è il rapporto di aperta conflittualità con l’establishment. Pertanto, vuole mostrare di essere sintonizzata con questi apparati, in vista della possibile elezione alla Casa Bianca. A questo fine, evidenziare una granitica affidabilità sulla difesa di Israele è imprescindibile. Il Medio Oriente infatti rappresenta un teatro strategico di primaria importanza per gli interessi americani. Lo schieramento di forze armate Usa predisposte in più stati dell’area, il contrasto al processo di nuclearizzazione iraniano, la normalizzazione delle relazioni tra Israele e stati arabi ed il contrasto al terrorismo rappresentano delle assolute priorità.
Per questi motivi Kamala Harris sta modificando l’approccio verso Israele. La guerra che Gerusalemme combatte in risposta al pogrom del 7 ottobre rappresenta l’ultima frontiera dell’opposizione all’asse guidato dall’Iran. Una minaccia rivolta non solo ad Israele ma all’intero fronte occidentale. Anche in ragione di ciò, la Harris deve assicurare all’alleato tutto il sostegno necessario per estirpare le milizie terroristiche palestinesi e contrastare la strategia degli ayatollah. A seguito dell’escalation in Libano, Kamala Harris ha ribadito l’importanza della lotta di Israele contro Hezbollah ed il suo diritto all’autodifesa.
La Harris rifiuta la concezione isolazionista della politica statunitense, praticata da Trump, e ne difende le relazioni storiche, anche se in passato alcune sue considerazioni sull’alleato israeliano avevano destato perplessità.
La guerra che Gerusalemme combatte in risposta al pogrom del 7 ottobre rappresenta una minaccia rivolta non solo ad Israele ma all’intero fronte occidentale. Anche in ragione di ciò, la Harris deve assicurare all’alleato tutto il sostegno necessario per estirpare le milizie terroristiche palestinesi e contrastare la strategia degli ayatollah.
Dopo la barbara uccisione con colpi a bruciapelo alla nuca di 6 ostaggi da parte di Hamas (uno di questi era Hersh Golberg – Polin, di nazionalità americana) ha evidenziato l’esigenza di annientare la milizia palestinese. «La minaccia che pone per il popolo di Israele e per i cittadini americani lì presenti deve essere eliminata. Hamas non può controllare Gaza», ha affermato la Harris.
Se eletta la Harris dovrebbe rilanciare il protagonismo americano in Medio Oriente sul piano diplomatico, soprattutto per creare stabilità, a guerra conclusa.
La candidata Dem ha dinanzi a sé sfide da affrontare nel corso della sua possibile presidenza e per farlo deve stringersi agli alleati, con cui cooperare per contrastare i nemici. Questa è la principale ragione per cui sta modificando l’approccio verso Israele e c’è da credere ne condividerà sempre più le azioni per la tutela della sicurezza.
Da ricordare che la vicepresidente e candidata democratica alle presidenziali degli Stati Uniti, Kamala Harris, giurò che “non resterà in silenzio” sulle sofferenze di Gaza esprimendo le sue “serie preoccupazioni” al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, nel luglio 2024, ricevuto a Washington, affermando che dopo oltre nove mesi di guerra è arrivato il momento di concludere un accordo per un cessate il fuoco nella Striscia e per la liberazione degli ostaggi ancora in mano a Hamas e alla Jihad Islamica.
“È tempo che questa guerra finisca e finisca in un modo in cui Israele sia al sicuro, tutti gli ostaggi vengano liberati, le sofferenze dei palestinesi a Gaza terminino e il popolo palestinese possa esercitare il proprio diritto alla libertà, alla dignità e all’autodeterminazione. Come ho appena detto al premier Netanyahu, è tempo di concludere questo accordo”, ha detto Kamala Harris, secondo cui qualcosa si muove nei negoziati, un segno di “speranza”. Quindi a tutti coloro che hanno chiesto un cessate il fuoco e a tutti coloro che desiderano la pace, dico: vi vedo e vi sento”.
L’amministrazione Biden, poi aggiunse la vicepresidente che ncontrò le famiglie di alcuni rapiti, continuando a lavorare per riportare a casa gli ostaggi americani trattenuti a Gaza. “È importante che il popolo americano ricordi che la guerra a Gaza non è una questione binaria”, sottolineò Kamala Harris. “Condanniamo tutti il terrorismo e la violenza. Facciamo tutti ciò che possiamo per impedire la sofferenza di civili innocenti. E condanniamo l’antisemitismo, l’islamofobia e l’odio di ogni tipo. E lavoriamo per unire il nostro Paese”.
Al momento è disponibile la sola versione ufficiale statunitense dell’incontro, riportata in un resoconto pubblicato dalla Casa bianca, mentre l’ufficio del premier israeliano si è limitato a uno scarno comunicato con una sola foto corredata da una breve didascalia in ebraico: “Il primo ministro Netanyahu ha incontrato alla Casa Bianca la vicepresidente americana Kamala Harris. L’incontro è durato circa 40 minuti”. A quanto risulta, i temi trattati sono stati fondamentalmente tre: le garanzie offerte dagli Usa alla sicurezza di Israele nella regione; i negoziati per una tregua a Gaza e le preoccupazioni per la situazione umanitaria nella Striscia e nei Territori occupati.
In primis, secondo la Casa bianca, “la vicepresidente ha ribadito il suo impegno incrollabile e di lunga data per la sicurezza dello Stato e del popolo di Israele” e “ha nuovamente condannato Hamas come un’organizzazione terroristica brutale, nonché gli individui che si associano ad Hamas, osservando che i graffiti e la retorica pro-Hamas sono abominevoli e non devono essere tollerati”.
Parole che riecheggiano un altro comunicato diramato dai collaboratori di Kamala Harris, in cui la candidata democratica in pectore condannava in modo inequivocabile le proteste scoppiate a Washington prima del discorso di Netanyahu al Congresso, a cui però lei (come una trentina di deputati e senatori, per lo più democratici) non presenziò. “Condanno chiunque si associ alla brutale organizzazione terroristica Hamas, che ha giurato di annientare lo Stato di Israele e uccidere gli ebrei”, aveva detto la vicepresidente, che durante la sua carriera politica non ha mai fatto mancare il proprio sostegno a Tel Aviv.
Quindi, Harris e Netanyahu sono passati a discutere della situazione nella Striscia di Gaza. “La vicepresidente e il primo ministro Netanyahu hanno discusso degli sviluppi a Gaza e dei negoziati in corso per un cessate il fuoco e per la liberazione degli ostaggi”, si legge nella nota della Casa bianca. “La vicepresidente ha fatto eco al presidente Biden nell’esprimere la necessità di colmare le lacune rimanenti, finalizzare l’accordo il prima possibile, riportare a casa gli ostaggi e porre fine in modo duraturo alla guerra a Gaza”.
Come ha successivamente spiegato alla stampa l’ex procuratrice generale della California, la Casa bianca fa pressioni sul governo israeliano affinché accetti l’accordo proposto da Biden e approvato anche dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu per una tregua permanente nella Striscia, che consenta anche la liberazione degli ostaggi ancora in mano a Hamas.
Ma Kamala Harris ha anche “espresso preoccupazione per le vittime civili e ha discusso della necessità di alleviare la crisi umanitaria” nella Striscia. Oltre 39mila persone sono morte e più di 90mila sono rimaste ferite nel territorio costiero palestinese dall’inizio della guerra. Secondo le Nazioni Unite, quasi 2 milioni di palestinesi, praticamente l’intera popolazione di Gaza, risultano sfollati e molti lo sono stati più volte nel corso del conflitto. Quasi mezzo milione di persone affrontano “livelli catastrofici di insicurezza alimentare”. Le malattie trasmissibili sono in aumento mentre le restrizioni imposte alla fornitura di carburante hanno ridotto gravemente l’accesso all’acqua, ai servizi igienici e sanitari.
A tali preoccupazioni, secondo alcune indiscrezioni trapelate sulla stampa israeliana, Netanyahu avrebbe risposto offrendo alla vicepresidente un resoconto “dettagliato e fattuale” della situazione sul campo a Gaza, respingendo le denunce riguardo l’acuta insicurezza alimentare nella Striscia e le accuse circa le sofferenze inflitte ai civili e l’elevato numero di innocenti rimasti uccisi nel conflitto.
L’ampliamento delle colonie israeliane nei Territori occupati è infatti aumentata notevolmente da quando Netanyahu è tornato al potere alla fine del 2022 grazie a una coalizione sostenuta da partiti di estrema destra e religiosi, mentre le violenze commesse contro i palestinesi sono cresciute nei mesi successivi ai brutali attentati del 7 ottobre scorso commessi da Hamas e dalla Jihad Islamica in Israele, costati la vita, all’epoca, a 1.139 persone e la libertà a 251 ostaggi, di cui 111 ancora trattenuti a Gaza contro la propria volontà, compresi 39 già dichiarati morti.
Alcune delle dichiarazioni di Kamala Harris successive all’incontro con Netanyahu non sembrano però piaciute molto in Israele. Se un alto funzionario israeliano, citato dal quotidiano online The Times Israel, ha definito “produttivo” l’incontro tra il premier Netanyahu e il presidente Biden, sostenendo che questo ha contribuito a orientare in una “direzione positiva” gli sforzi per garantire il raggiungimento di un accordo per la liberazione degli ostaggi (e per una tregua a Gaza), il medesimo esponente dell’amministrazione dello Stato ebraico ha espresso il proprio “disagio” per la riunione tra il capo del governo di Tel Aviv e Kamala Harris.
In particolare, i rappresentanti israeliani non avrebbero gradito i toni utilizzati dalla vicepresidente degli Stati Uniti e l’eccessiva enfasi posta sulla necessità di porre fine alla guerra, temendo che tale atteggiamento potesse mostrare una mancanza di sintonia tra gli Usa e Israele. Secondo la fonte citata dal quotidiano online, la pubblica sottolineatura della “terribile crisi umanitaria” in corso a Gaza e della necessità di “porre fine alla guerra”, seppur “in modo da rendere Israele sicuro”, avrebbe danneggiato i negoziati. “Siamo sulla strada della cooperazione e dell’appianamento delle differenze”, ha dichiarato il funzionario israeliano. “Ma è per questo che la conferenza stampa di Harris è stata così problematica”.
In Israele invece le dichiarazioni della vicepresidente Usa e in particolare il suo appello a una tregua a Gaza hanno scatenato la dura reazione dell’estrema destra alleata del premier Netanyahu.
A stretto giro arrivò anche il commento del ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, che ha reagito alle parole di Kamala Harris, scrivendo sempre su X: “Non ci sarà alcun cessate il fuoco, signora candidata”.
Questo, in realtà, è quanto riguarda i rapporti preesistenti tra gli Stati Uniti ed Israele con il ministro della Sicurezza nazionale che dice: ‘Non ci sarà alcun cessate il fuoco, signora candidata’. Con questi presupposti appare difficile immaginare una posizione ‘meno bellica’ di Israele riguardo al ‘cessate il fuoco’ sia con o senza gli Stati Uniti d’America.