Carlo Nordio e le ipotesi sul provvedimento che arriverà in Consiglio dei ministri su migranti e centri albanesi

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Nel momento in cui in Europa sempre più governi, di tutti i colori, vanno a lezione di “modello italiano” e la stessa Commissione europea individua ufficialmente nel protocollo con l’Albania una di quelle «soluzioni innovative»  la magistratura – con la sua fazione ideologizzata e no entra a gamba tesa,  in Italia e   in Europa.

La decisione del Tribunale di Roma di respingere le richieste di trattenimento per i migranti trasportati nel Cpr di Gjader, ispirata dal pronunciamento della Corte di giustizia Ue sui parametri per individuare i Paesi cosiddetti sicuri (di fatto nessuna Nazione extraeuropea) giunta  proprio pochi giorni prima dell’attivazione dei centri italiani in Albania, si traduce in espellere chi non avrebbe alcun diritto di restare in Italia. Potenzialmente si tratterebbe dell’abolizione dei confini nazionali ed europei.

La decisione della Sezione 18esima civile per i diritti delle persone e l’immigrazione fa scopa con altri provvedimenti frutto dell’interpretazione estensiva di altri magistrati: ossia con la scientifica disapplicazione del decreto Piantedosi per ciò che concerne anche i trattenimenti “ordinari” nei Cpr.

“Non può essere la magistratura a definire uno Stato più o meno sicuro, è una decisione di alta politica“. e a spiegarlo con chiarezza è stato il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, parlando con i cronisti a margine della XI edizione dell’Assemblea Mondiale della Gentilezza a Palermo, dove è stato insignito della benemerenza come ambasciatore della gentilezza. “Da ex magistrato riterrei quasi sacrilego pensare che il governo a cui appartengo dichiari guerra alla magistratura. Cosa che peraltro non è e non sarà mai”, ha aggiunto Nordio, precisando che “la reazione della politica non è stata contro la magistratura, ma contro il merito di questa sentenza. Non è una polemica contro la magistratura, ma contro un tipo di sentenza che non solo non condividiamo, ma riteniamo addirittura abnorme“. Il Guardasigilli di fatto ha dato un’indicazione implicita sul Consiglio dei ministri convocato sul caso dal premier Giorgia Meloni per lunedì. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha anche già annunciato un ricorso contro la decisione dei giudici, chiarendo che ”noi la battaglia la faremo all’interno dei meccanismi giudiziari per l’affermazione di quella che è la nostra visione in punta di diritto”.

Secondo quanto emerso, il governo potrebbe varare un provvedimento che chiarisca senza margini di interpretazione chi ha la competenza per definire un Paese sicuro. L’ipotesi su cui si lavorerebbe è quella di un decreto che non solo ribadisca che il compito è della Farnesina, ma che ne blindi le indicazioni inserendo nella legge l’elenco stilato dal ministero degli Esteri. Contemporaneamente si lavora anche sul fronte europeo per anticipare l’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo sui rimpatri nei Paesi parzialmente sicuri, in modo che il diritto europeo non diventi il bastone tra le ruote per il nuovo corso al centro di decisioni politiche già assunte dall’Ue (il regolamento è stato approvato, ma allo stato attuale è previsto che entri in vigore nel 2026). E che, insieme, non diventi la foglia di fico dietro cui si possono mascherare alcune decisioni ideologiche assunte dalla magistratura, come accaduto da noi. Un passaggio sul quale l’Italia ha il supporto di altri Stati membri.

“Se la magistratura esonda dai suoi poteri, come in questo caso, attribuendosi delle prerogative che non può avere, come quella di definire uno Stato sicuro, allora – ha spiegato – deve intervenire la politica perché la politica esprime la volontà popolare. Noi rispondiamo al popolo: se il popolo non è d’accordo con quello che facciamo andiamo a casa. Ma la magistratura, che è autonoma e indipendente, non risponde a nessuno e quindi proprio per questo non può assumersi delle prerogative che sono squisitamente ed essenzialmente della politica”.

Il tema dei Paesi sicuri, del resto, come chiarito da Nordio, ha effetti che travalicano la stretta pratica dei rimpatri, per sfociare direttamente nel terreno diplomatico. “Queste decisioni – ha sottolineato il ministro – rischiano di creare degli incidenti diplomatici perché definire non sicuro un Paese amico come il Marocco può anche creare dei problemi. Se noi ritenessimo che non sono sicuri Paesi dove vigono regole che noi abbiamo ripudiato, come la pena di morte, allora neanche gli Stati Uniti sarebbero un Paese sicuro. Oppure dove vigono le pene corporali. Allora questi Paesi dovrebbero essere espulsi dalle Nazioni Unite. Queste sono questioni di alta politica che non possono, non devono e non saranno lasciate alla magistratura. Prenderemo provvedimenti legislativi”.

La decisione del Tribunale di Roma sui migranti trasferiti nei centri albanesi è “una cosa grave: una decisione precostituita” e “quella magistrata doveva astenersi”. Lo ha detto Sara Kelany, responsabile immigrazione di FdI, intervistata dal Corriere della Sera.

Secondo la deputata di FdI, “i giudici hanno male interpretato una sentenza della Corte europea che non c’entra” perché, sostiene, non ridimensiona il concetto di Paese sicuro ma “solo di ‘porzioni’ insicure in un Paese sicuro, citando la Transnistria in Moldova. Non è il caso nostro. E la norma è pure cambiata. Perché citarla se non c’entra nulla?”-

Kelany nega inoltre che ci sia una guerra con la magistratura: “No, con i magistrati ideologizzati che ricoprono, guarda caso, sempre gli stessi ruoli. E mentre gli altri lavorano alacremente tra le difficoltà, questi si dedicano a smontare le leggi sull’immigrazione”. L’esponente di FdI poi guarda alla giudice Silvia Albano: “Se mi sono pronunciata sui social contro la linea del governo non dovrei astenermi visto che il giudice deve anche apparire imparziale?”, chiede. E aggiunge: “Sembra ricalcare le orme della giudice Iolanda Apostolico. Sono sentenze che si sostituiscono all’attività di governo in materia di immigrazione”.

Virginia Piccolillo del Corriere chiede alla parlamentare di Fratelli d’Italia se, in quanto figlia di egiziani, vede un giro di vite. La risposta sgombera il campo da ogni equivoco. “Mio padre ha fatto un percorso regolare – chiarisce Kelany – Qui parliamo di immigrazione clandestina”.

I giudici in questa fattispecie hanno valorizzato la sentenza del 4 ottobre della Corte di Giustizia dell’Unione Europea “nella quale si sottolinea che il giudice ha il dovere di rilevare, anche d’ufficio, l’eventuale violazione, nel caso sottoposto al suo giudizio, delle condizioni di qualificazione di Paese sicuro”. Del resto “non esiste una lista europea di ‘Paesi sicuri’, i singoli Stati membri possono designarli a livello nazionale ma è una nozione in continuo aggiornamento perchè sono Paesi caratterizzati da forte instabilità”.

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