Si è riunito questa mattina, in prefettura a Bari, il comitato provinciale per la sicurezza e l’ordine pubblico, su convocazione del prefetto del capoluogo pugliese Franco Russo. All’ordine del giorno l’informativa legato al caso Bari, emerso all’indomani dell’operazione “codice interno” che il 27 febbraio scorso vide eseguire dalla squadra mobile della questura barese, su delega della procura della Repubblica di Bari, 137 ordinanze di custodia cautelare con accuse a vario titolo di associazione a delinquere con l’aggravante del metodo mafioso. Insieme all’esecuzione degli ordini di arresto, la terza sezione del tribunale di prevenzione aveva messo in amministrazione giudiziale l’Amtab, l’azienda municipalizzata dei trasporti di proprietà del comune, perché dalla dalle indagini, basate su dichiarazioni di collaboratori di giustizia, intercettazioni telefoniche e ambientali emergeva che il potente clan mafioso del quartiere “Japigia”, dei Parisi riusciva ad imporre all’azienda pubblica l’assunzione, sia pur a tempo determinato, di sodali, persone vicine e affiliate all’organizzazione malavitosa. In quella occasione finirono in manette, anche, un ex presidente di una società municipalizzata, la “Multiservizi”, guidata fino al 2015 dall’avvocato Giacomo Olivieri, in passato per due volta consigliere regionale con Forza Italia, prima, e con l’Italia dei Valori, poi, e la moglie Maria Carmen Lorusso, al momento dell’arresto consigliera comunale in carica di centro sinistra e organica alla maggioranza anche se cinque anni prima era stata eletta nelle fila del centro destra. Nei guai finirono, anche, due agenti del corpo di polizia locale del comune che dopo essere state offese in servizio da un automobilista indisciplinato, anziché procedere per legge denunciando l’autista in questione si erano rivolte a uomini del clan per avere giustizia del torto subito. Una situazione complessiva quella che emerse dalle carte dell’inchiesta che portarono il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi ad inviare in Puglia una commissione ministeriale di accesso agli atti, con il compito di verificare se l’attività politico-amministrativa barese era soggetta o infiltrata dai clan mafiosi della città. A fine marzo si insediarono a Bari, in prefettura i due prefetti Claudio Sammartino e Antonio Giannelli, viceprefetto e il maggiore Pio Giuseppe Stola, ufficiale della Guardia di Finanza, in servizio allo Scico, il servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata delle fiamme gialle. I tre 007 del Viminale, per portare a termine il compito ricevuto, vista la complessità della situazione e l’enorme mole di documenti e procedure da esaminare, hanno avuto bisogno di sei mesi, tre mesi in più rispetto a quelli inizialmente previsti. Al setaccio della commissione sono passate le procedure di appalti di beni e servizi, gli incarichi professionali, le assunzioni di personale e le loro progressioni di carriera. Un lavoro certosino alternato da audizioni di persone informate sui fatti amministrativi della città. A fine settembre i tre super commissari governativi hanno depositato nelle mani del prefetto di Bari la loro corposa relazione. Come previsto per legge, entro un mese e mezzo, il rappresentante del governo barese ha convocato il comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica per informare i componenti del contenuto della relazione sul rischio di infiltrazioni mafiose nel Comune di Bari. Sempre come previsto dalla legge, il prefetto Russo ha, anche, informato e sentito il procuratore capo della Repubblica di Bari, Roberto Rossi che sulla relazione è stato chiamato ad esprimere un parere, anche se non vincolante. Stamattina, poi, la relazione del prefetto, insieme a tutto l’incartamento raccolto e redatto dalla commissione è stata inviata al Viminale. Adesso la palla sulle sorti della città capoluogo di regione passa nelle mani del ministro Piantedosi che entro novanta giorni dovrà a sua volta, appena letti gli atti, trarre le sue conclusioni e sottoporle all’attenzione del consiglio dei ministri per gli adempimenti del caso, come l’archiviazione che chiuderebbe il caso con un decreto ministeriale o la proposta al Capo dello Stato di scioglimento del comune per infiltrazioni e condizionamenti mafiosi o di alcune municipalizzate dello stesso ente. Entro tre mesi, quindi, si conosceranno le sorti della pubblica amministrazione barese in tutte le sue articolazioni e derivazioni. Non trascurabile, nella vicenda è la posizione assunta, sin da subito, dagli inquirenti che più volte hanno evidenziato l’impegno e la collaborazione dell’amministrazione comunale, nel corso degli anni, nel contrasto ai clan mafiosi della città. Sull’altro piatto della bilancia della grammatura che dovrà essere soppesata dal ministro Piantedosi ci sarebbero, anche, alcune parentele di rappresentanti della pubblica amministrazione legate direttamente alle cosche. Occorrerà, dunque, attendere, tra mesi per sapere a inizio febbraio, in pieno carnevale se si è trattato di una burlesca farsa estranea alla politica e alla gestione della cosa pubblica o di un duro colpo assestato alla criminalità mafiosa barese e alle sue diramazioni nella pubblica amministrazione locale.