Cesare Damiano e Rapporto Draghi: il futuro dell’UE passa attraverso investimenti e competitività. Come procedere?

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Cesare Damiano:

Incrementare la competitività europea attraverso grandi investimenti. E’ uno dei punti cardine del Rapporto di Mario Draghi, presentato il 17 settembre al Parlamento di Bruxelles, nel quale vengono poste le basi per la rinascita dell’UE. Qual è la strategia da attuare contro l’incombente recessione? Occorre “un finanziamento congiunto degli investimenti a livello dell’UE per massimizzare la crescita della produttività, oltre a finanziare altri beni pubblici europei”. Servirà anche l’istituzione nel Bilancio Ue di un “Pilastro della Competitività” e di schemi di finanziamento dedicati per affrontare il divario di investimento per le aziende tecnologiche in fase di crescita. Sarà sufficiente per la riforma dell’assetto europeo?

Presentando il Rapporto su “Il futuro della competitività europea” il 17 settembre scorso al Parlamento di Bruxelles, Mario Draghi ha affermato: “siamo tutti in ansia per il futuro dell’Europa. La mia preoccupazione non è che ci troveremo improvvisamente poveri e sottomessi agli altri, abbiamo ancora molti punti di forza in Europa, ma è che col tempo diventeremo inesorabilmente un posto meno prospero, meno equo, meno sicuro e che, di conseguenza, saremo meno liberi di scegliere il nostro destino”.

Cosa è, dunque, il Rapporto e quale direzione indica a un’Unione attraversata da una crisi economica segnata da una situazione recessiva per l’industria che si manifesta da molti mesi, ormai in modo eclatante? Basti pensare alla crisi evidente del settore automotive: in un breve lasso di tempo molte marche hanno annunciato sospensioni temporanee della produzione per mancanza di ordini, possibili chiusure di stabilimenti, revisioni dei piani per il passaggio alla produzione di veicoli full electric e il mantenimento della produzione di veicoli con motorizzazioni ibride, oltre gli obiettivi dichiarati in tempi, peraltro, recenti.

A spiegare i termini generali del problema è lo stesso Mario Draghi in un articolo pubblicato in corrispondenza con la presentazione del Rapporto: “La crescita in Europa è rallentata per decenni. Attraverso diverse misure, si è aperto un ampio divario nel Pil tra l’Unione Europea e l’America. Le famiglie europee hanno pagato il prezzo in termini di standard di vita perduti. Su base pro capite, il reddito disponibile reale è cresciuto quasi il doppio negli Stati Uniti rispetto all’UE dal 2000”.

Dall’inizio del XXI Secolo non si è assunta la necessaria consapevolezza che la decrescita progressiva dell’economia europea conduceva alla situazione critica che oggi è sotto i nostri occhi. La crisi demografica rende la produttività un fattore quantomai decisivo per sostenere una ripresa della crescita. Se questo non avvenisse, osserva Draghi, ci si limiterebbe a mantenere il Pil a un livello costante fino al 2050. Dovendo, al contempo, mantenere il modello sociale europeo con una popolazione che invecchia.

L’urgenza di riavviare la crescita va accordata con gli obiettivi politici dell’Unione che riguardano la decarbonizzazione, la digitalizzazione, l’autonomia nella difesa.

Dunque, la necessità di incrementare la produttività richiede, nella valutazione del Rapporto, enormi investimenti. Ossia, circa 5 punti di Pil, corrispondenti a circa 800 miliardi di euro all’anno dal 2025 al 2030, portando la spesa per investimenti dell’Unione dal 22 al 27% del Pil medesimo. Osserva Draghi che “per confronto, gli investimenti aggiuntivi forniti dal Piano Marshall tra il 1948 e il 1951 ammontavano a circa l’1-2% del Pil annuale”.

E qui si deve fare attenzione ad evitare letture improprie del ragionamento. Draghi non afferma assolutamente che serva un nuovo Piano Marshall, da porre come fardello sulle spalle dei contribuenti, in particolare, dei Paesi virtuosi. Il Piano Marshall consisteva infatti in aiuti a fondo perduto o con forti agevolazioni attuato dagli Stati Uniti a sostegno dei Paesi dell’Europa occidentale distrutti dalla guerra. Il riferimento a quell’azione del Dopoguerra è fatto come termine di paragone per l’entità dell’impegno da attuare.

Il Rapporto Draghi indica, invece, la strada di investimenti attuati sia dal settore privato che dal settore pubblico con il preciso obiettivo di attivare la leva della competitività.

Spiega il Rapporto (Parte A, pag. 56) che “è necessario un finanziamento congiunto degli investimenti a livello dell’UE per massimizzare la crescita della produttività, oltre a finanziare altri beni pubblici europei. Maggiore sarà l’attuazione della strategia delineata in questo rapporto da parte dei governi, maggiore sarà l’aumento della produttività e più facile sarà per i governi sostenere i costi fiscali a supporto degli investimenti privati e dei propri.”

Il Rapporto suggerisce di istituire nel Bilancio Ue un “Pilastro della Competitività” e schemi di finanziamento dedicati per affrontare il divario di investimento per le aziende tecnologiche in fase di crescita nell’UE. Inoltre (Parte A, pag. 58), “il bilancio dell’UE dovrebbe anche essere meglio utilizzato per supportare gli investimenti privati attraverso diversi tipi di strumenti finanziari e una maggiore propensione al rischio da parte dei partner attuatori”.

Ancora, “se le condizioni politiche e istituzionali sono soddisfatte come delineato sopra, l’UE dovrebbe continuare – basandosi sul modello del Next Generation EU – a emettere strumenti di debito comuni, che sarebbero utilizzati per finanziare progetti di investimento congiunti che aumenteranno la competitività e la sicurezza dell’UE”. Certamente, un nuovo, sistemico, ricorso al debito comune, come si è in parte già visto in questi giorni, è destinato a creare allarme tra i Paesi più ostili a un tale tipo di impegno. La contropartita è, però, decisiva per il nostro futuro. Ed è la capacità di mantenerci “liberi di scegliere il nostro destino”.

Il Rapporto analizza le criticità che abbiamo davanti e presenta 170 proposte suddivise in politiche settoriali e orizzontali. I settori esaminati sono energia, materie prime critiche, digitalizzazione e tecnologie avanzate, industrie energivore, tecnologie pulite, automotive, difesa, spazio, farmaceutica, trasporti. Le politiche orizzontali riguardano l’accelerazione dell’innovazione, la crescita delle competenze, il sostegno agli investimenti, il rilancio della competitività, la qualità della governance dell’Unione. In particolare, su quest’ultimo punto, è da rilevare l’indirizzo a semplificare il processo di decision making delle Istituzioni europee, adottando un maggior ricorso al sistema di voto a maggioranza qualificata anziché all’unanimità.

La sostanza del piano di Draghi è, insomma, una grande riforma dell’assetto europeo. L’acquisizione della capacità di rendere l’Europa e le sue imprese realmente concorrenziali nei confronti di Cina e Usa che, di fatto, minacciano la nostra indipendenza e prosperità, liberando le energie dell’Unione. Un’Europa dotata di un reale mercato unico, concorrenziale nell’innovazione, che offra a famiglie ed imprese l’energia a prezzi pari a quelli di cui godono i nostri concorrenti, forte nelle competenze, indipendente sullo scenario internazionale, oggi, così minaccioso.

In conclusione, come scrive Draghi: “l’Europa dovrebbe essere fiduciosa, anche se la dimensione della sfida raggiunge livelli senza precedenti rispetto alla dimensione delle sue economie. È passato molto tempo da quando l’autoconservazione era una preoccupazione così condivisa. Le ragioni per una risposta unitaria non sono mai state così convincenti e nell’unità l’Europa può trovare la forza per riformarsi”.

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