Chicago si prepara alla convention dem per l’incoronazione di Kamala Harris come candidata per la presidenza degli Stati Uniti d’America

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La metropoli affacciata sul magnifico Lago Michigan si prepara all’evento più atteso dai media locali e del mondo. Trentamila volontari – il form d’iscrizione è andato sold out dopo pochi minuti dall’attivazione – pattuglieranno la zona per guidare lo spirito dello Union Center nella direzione giusta. Saranno 5.000 i delegati, 15.000 i giornalisti e 50.000 i visitors.

Le restrizioni stradali intorno a McCormick Place, uno dei luoghi dell’evento che comincerà il 19 di agosto e si concluderà il 22, cominceranno già il 16 ma la presenza dei Servizi Segreti, della CPD (Chicago Police Department) e di numerosi rappresentanti di agenzie di sicurezza private è tentacolare già da settimane anche se quasi invisibile: a preoccupare le forze dell’ordine sono soprattutto gli esplosivi.

I residenti delle aree direttamente interessate dai vari e numerosissimi eventi in agenda la scorsa settimana hanno partecipato a una sessione informativa virtuale durante la quale sono stati messi a conoscenza dei potenziali pericoli, delle restrizioni alla mobilità, dei pass per entrare e uscire da casa e dai luoghi di lavoro o per potere accedere ai luoghi di cura (il distretto medico di Chicago, compreso il Rush Hospital, è proprio in quella zona).

Ogni forma di protesta sarà democraticamente consentita: ci saranno aree dedicate all’esercizio della libertà di espressione e rivendicazione, di opposizione. Questi spazi sono disponibili su prenotazione, il tempo a disposizione per la protesta è di 45 minuti a gruppo, le polizie in divisa garantiscono la presenza attenta per evitare incidenti.

Le aree in cui si svolgeranno gli eventi sono state ripulite da cima a fondo, il verde è ancora più bello e curato, è quasi agli stessi livelli della natura sontuosa del Lake Shore Drive. I senzatetto che sono soliti pernottare nelle tende (sembrano campeggi virtuosi) su Desplaines Road, troppo vicina a Roosevelt Road, sono stati allontanati (nessuno però ha saputo dirmi dove né come) e ai residenti sono stati regalati nuovi campi da basket.

Quanto accaduto a Milwaukee non impressiona più di tanto i residenti delle zone protagoniste dell’evento, le politiche che regolano gli accessi agli eventi pubblici e privati (outdoor e indoor, che sia un parco acquatico o la candidatura di un futuro presidente della Nazione non cambia) sono davvero restrittive: non solo lo scontato ‘niente armi’ ma anche niente cibo e bevande, nessuna borsa (ai concerti e nei parchi a tema solo sacche trasparenti che comunque vengono radiografate), solo borsellini a una sola tasca 10x6x2, nessun farmaco se non con prescrizione e in dose singola.

Kamala Harris sarà seguita in città,   ma quello che conta davvero è il governatore dello stato, non il presidente della nazione.

Come noto, il presidente Joe Biden ha deciso di non partecipare alle elezioni del 2024, trasferendo il testimone alla vicepresidente Kamala Harris e questo ha portato ad accendere i riflettori sulla sua vita e carriera. Questa decisione storica non solo ridefinisce il panorama politico americano, ma pone la Harris in una posizione di rilievo, offrendo una nuova prospettiva sulla sua leadership e sulle sue future sfide. Con un percorso che l’ha vista passare da procuratrice a senatrice, e ora alla soglia della presidenza, la Harris è pronta a scrivere un nuovo capitolo nella storia degli Stati Uniti.

Una manifestazione dei dem a Chicago in agosto, con un presidente che rinuncia alla rielezione, la necessità di nominare in assemblea un candidato che non è stato benedetto dalle primarie, il sangue che compare sulla scena della campagna elettorale con il colpo di pistola sparato a Donald Trump.

Ci sono molti e sorprendenti elementi di somiglianza tra l’attuale situazione americana e quella dell’estate del 1968. Se srotoliamo il filo dei ricordi vedremo  forti interventi della polizia nei confronti dei ragazzi di sinistra e pacifisti che manifestavano davanti all’International Amphitheatre di Chicago. Hippies, studenti democratici, pacifisti si erano radunati per protestare contro la Convenzione che si svolgeva nella città. In quei giorni a Chicago ci furono 668 arrestati, 425 feriti e la polizia scatenò davvero l’inferno contro migliaia di giovani che manifestavano pacificamente.

Oggi l’America è davvero divisa, ancor più di allora. Forse come non mai, perché le linee di separazione hanno ora a che fare con valori fondamentali della democrazia. La campagna elettorale si svolgerà attorno a grandi temi: l’immigrazione, l’aborto, l’ambiente, il ruolo degli Usa nel mondo. Ma tutto è radicalizzato, tutto estremo, persino con la minaccia estrema di non riconoscere, da parte di Trump, l’esito del voto.  I democratici, con la candidatura di Harris, hanno cambiato il tavolo di gioco.  Trump, ora, apparirà come  il figlio di un’altra stagione, a fronte di una donna di vent’anni più giovane. In realtà si è stati ad un passo dalla guerra civile in America, con l’attentato a Trump.  Robert Kennedy pronunciò, la mattina in cui poi sarebbe stato ucciso: «Se qualcuno volesse sparare al presidente degli Stati Uniti, non sarebbe un’impresa molto difficile. Non deve fare altro che nascondersi in un edificio alto con una carabina munita di mirino telescopico e nessuno sarà in grado di difenderti».  A Chicago, oggi, si rappresenta  un’America  più fragile e più divisa dall’odio.

Kamala Harris, nel 2021, affermandosi come vicepresidente degli Stati Uniti, ha segnato un momento storico importante per l’America, diventando la prima donna, la prima persona di colore e la prima americana di origine indiana a ricoprire questa importante carica. Tuttavia, la Harris non è nuova a questi traguardi pionieristici: nel 2011 aveva già raggiunto obiettivi impensabili fino a qualche tempo prima, diventando la prima donna di colore e di origine indiana a essere eletta procuratrice generale della California.

Kamala Harris, nella sua carriera di avvocato e senatrice degli Stati Uniti, è stata profondamente influenzata dalle sue radici familiari. La sua identità politica e personale è stata modellata dalle esperienze dei suoi genitori immigrati: sua madre, Shyamala Gopalan, immigrata indiana e dottoressa specializzata in oncologia scomparsa nel 2009, e suo padre, Donald J. Harris, immigrato giamaicano. Tali influenze culturali e familiari hanno giocato un ruolo cruciale nel forgiare la sua visione della vita e i valori, contribuendo a definire il suo percorso.

Durante la Convention Nazionale Democratica dell’agosto 2020, Kamala Harris ricordò la sua formazione parlando di suo padre. “All’Università della California a Berkeley,  mia madre,  ha incontrato mio padre, Donald Harris, che era arrivato dalla Giamaica per studiare economia. Si sono innamorati nel modo più americano, mentre marciavano insieme per la giustizia durante il movimento per i diritti civili negli anni ’60. Nelle strade di Oakland e Berkeley, ho avuto la visione di un gruppo di persone che si cacciavano in quelli che il grande John Lewis chiamava ‘guai buoni'”. Con queste parole, Harris ha sottolineato l’influenza fondamentale dei suoi genitori e del loro impegno per la giustizia sociale, evidenziando come le loro esperienze abbiano plasmato la sua visione della vita e i suoi valori.

In un libro del 2018 intitolato ‘Riflessioni di un padre Giamaicano’, Donald Harris ha sottolineato il suo impegno nel far mantenere un forte legame tra Kamala e la sorella Maya con le proprie radici giamaicane, oltre a quelle americane. “Ancora oggi, conservo una profonda consapevolezza sociale e un forte senso di identità che la filosofia popolare giamaicana ha alimentato in me”, ha scritto. “Come padre, ho naturalmente cercato di sviluppare la stessa sensibilità nelle mie due figlie.” Con queste parole, Donald Harris ha evidenziato l’importanza della doppia eredità culturale nella formazione del carattere e della coscienza sociale delle sue figlie, un aspetto che ha profondamente influenzato il percorso personale e professionale di Kamala Harris.

Donald J. Harris, nato in Giamaica nel 1938, ha intrapreso un percorso straordinario che lo ha portato negli Stati Uniti intorno agli anni ’60 per conseguire il dottorato di ricerca presso l’Università della California-Berkeley. Naturalizzato cittadino statunitense, Harris ha iniziato la sua carriera accademica insegnando presso l’Università dell’Illinois e la Northwestern University. Successivamente, ha ricoperto il ruolo di professore associato all’Università del Wisconsin-Madison, prima di trasferirsi in California e unirsi al prestigioso corpo docente di Stanford University come professore di economia. Harris ha concluso la sua carriera accademica alla fine degli anni ’90, ottenendo il titolo di professore emerito. La sua dedizione all’istruzione e il suo impegno nella promozione della consapevolezza sociale hanno influenzato profondamente le vite delle sue figlie, Kamala e Maya, contribuendo a formare il loro impegno civico.

Nel suo libro autobiografico, Donald J. Harris ricorda con affetto un viaggio significativo che fece con le sue figlie in Giamaica per connetterle con le loro radici. “Uno dei ricordi più vividi e cari che ho di quel primo periodo con le mie figlie è la visita che abbiamo fatto nel 1970 a Orange Hill”, scrive Harris. “Ci siamo incamminati tra lo sterco di mucca e i cancelli di ferro arrugginiti, in salita e in discesa, lungo stretti sentieri incolti, fino alla fine della proprietà di famiglia, tutto nella mia impazienza di mostrare alle ragazze il terreno su cui avevo vagato ogni giorno per ore da ragazzo.

Questo viaggio non fu solo una riscoperta delle radici familiari per Harris, ma anche un’importante lezione per Kamala e Maya, che hanno avuto l’opportunità di entrare in contatto diretto con la storia e la cultura giamaicana. Questa esperienza ha probabilmente avuto un impatto profondo e significativo su Kamala Harris, che menziona spesso le sue origini e i suoi antenati. Questi elementi sono stati fondamentali nella formazione della sua visione del mondo e nella sua carriera politica, influenzando il suo impegno verso l’inclusione e la giustizia sociale.

Ormai tutti conoscono l’episodio in cui Donald criticò la figlia per una battuta sulle sue origini giamaicane. Nel febbraio 2019, durante un’intervista al programma radiofonico The Breakfast Club, Kamala Harris scherzò con il conduttore Charlamagne tha God riguardo alla sua posizione sull’uso della marijuana. Quando le fu chiesto se fosse favorevole alla legalizzazione della droga, Harris rispose con un sorriso: “Metà della mia famiglia è giamaicana. Stai scherzando?” La battuta, sebbene scherzosa, suscitò una reazione tutt’altro che divertita da parte di suo padre.

Donald J. Harris, in una dichiarazione pubblicata su Jamaica Global Online, espresse il suo disappunto: “Le mie care nonne defunte, così come i miei genitori defunti, si rivolteranno nella tomba nel vedere il nome della loro famiglia, la reputazione e l’orgogliosa identità giamaicana essere collegati, in qualsiasi modo, scherzosamente o meno, allo stereotipo fraudolento di un fumatore di erba”.

La reazione di Donald Harris riflette la sua preoccupazione per la percezione pubblica della sua eredità culturale e il suo rifiuto di associare la rispettabile identità giamaicana della sua famiglia a stereotipi superficiali. Questo episodio mette in luce la tensione tra la vita pubblica e privata di Kamala Harris e gli sforzi che la sua famiglia affronta nel mantenere una reputazione rispettabile.

Da giornalista chiederei alla Harris: ‘Vicepresidente, cosa pensa di Bob Marley? Lo ha mai seguito?

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