Comitati, Pac e SuperPac: i finanziamenti elettorali negli Usa per le campagne elettorali, a partire dalle presidenziali

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E’ noto che uno degli elementi fondamentali nella decisione di Joe Biden di ritirarsi dalla campagna elettorale sia stata la sospensione dei fondi di finanziamento a lui indirizzati, visto che 60 milioni di dollari sono stati congelati dai manager e dai ricchi, per convincere il presidente a mollare.

L’andamento dei soldi diventa persino più importante di quello dei sondaggi, il consenso a milioni prende il posto di quello a persone. Nel 2015 il democratico Jimmy Carter, eletto presidente nel 1976 e sconfitto da Reagan nel 1980, dichiarò in una intervista alla radio che oramai il sistema politico del suo paese era dominato da una ristretta oligarchia finanziaria e che i soldi decidevano su tutto, sia per i democratici che per i repubblicani. Carter aggiunse che lui stesso non sarebbe mai potuto arrivare alle elezioni presidenziali, se fosse già stato in auge il condizionamento finanziario attuale.

Secondo il Center for Responsive Politics, la campagna per il presidente degli Usa quest’anno raggiungerà il budget complessivo di 14 miliardi di dollari. Le elezioni presidenziali negli Usa sono il più costoso spettacolo nel mondo, anche perché i soldi non servono solo per fare arrivare lo show ovunque, ma anche per pagare tanti biglietti agli spettatori. È chiaro che questa marea di danaro diventa un muro. Una barriera attraverso la quale passano solo i candidati che sono graditi a chi può spendere milioni per sostenerli.

Sono i grandi ricchi, le multinazionali, le società finanziarie e le banche che decidono chi sia il candidato presidenziale, per entrambi gli schieramenti. Poi certo il popolo può scegliere, ma la vera selezione è già avvenuta. Ad esempio nel passato il muro dei soldi ha sbarrato la via nelle primarie democratiche a Bernie Sanders, che si proclamava socialista di stampo europeo e che i sondaggi davano probabile vincente in una elezione presidenziale.

Negli Usa è previsto il finanziamento pubblico alla politica, ma ovviamente esso fornisce cifre inferiori a quelle dei fondi privati e soprattutto è incompatibile con questi ultimi. Cioè chi si candida deve scegliere se farsi finanziare dal pubblico o dal privato. Ovviamente tutti i candidati scelgono di inseguire i soldi dei ricchi, anche se i fondi pubblici ammontano a ben 300 milioni di dollari.

Se ci vogliono miliardi per diventare presidente degli Usa, le cariche più importanti – governatore di uno stato, senatore, rappresentante alla Camera, sindaco delle grandi città – richiedono milioni e quelle inferiori centinaia di migliaia di dollari, a persona. I politici inseguono i ricchi, i ricchi scelgono quei politici per loro più adatti a concorrere alle cariche istituzionali.

In poche ore dal ritiro di Joe Biden dalla corsa alla Casa Bianca, la sua erede designata, la vicepresidente Kamala Harris, ha raccolto quasi 50 milioni di dollari in donazioni. Nei due giorni successivi questa cifra ha raggiunto i 250 milioni di dollari pareggiando quanto raccolto da Joe Biden nei mesi precedenti.

Soldi che vengono sia dai grandi donatori del Partito Democratico sia da persone comuni e che hanno permesso alla nuova candidata di superare la cifra raccolta da Donald Trump. Non tutti questi soldi vengono però donati direttamente ai candidati. La legge statunitense rende complesso donare grandi cifre ai partiti, per questa ragione esistono i comitati di azione politica, o Pac.

Il finanziamento ai partiti in campagna elettorale negli Usa è complesso ed è regolato da alcune leggi molto restrittive. Ogni partito può avere un certo numero di Political actions committee, comitati di azione politica, o Pac. Queste organizzazioni raccolgono fondi espressamente a favore di un candidato o di un partito e possono donare direttamente alla campagna elettorale che hanno scelto.

Ogni persona però può donare un massimo di qualche migliaio di dollari all’anno a un Pac e l’organizzazione deve registrare i propri donatori trasferendo i dati al Fec, la Federal election commission, che sorveglia il regolare svolgimento delle elezioni. Fino al 2008 questo era l’unico modo per finanziare una campagna elettorale, che quindi si basava su un grande numero di donazioni relativamente piccole.

La sentenza della Corte suprema sul caso Citizens United v. Fed cambiò tutto. L’associazione che fece causa alla Fed, Citizens United appunto, aveva realizzato un documentario contro Hilary Clinton per screditarla durante le primarie che la politica democratica perse contro Barak Obama. La Corte stabilì che il documentario poteva andare in onda con una decisione presa da 5 giudici contro 4 e basata sul primo emendamento della costituzione, quello che garantisce la libertà di espressione, che venne esteso anche alle organizzazioni e alle aziende oltre che ai cittadini.

Nacquero così i SuperPac, organizzazioni che raccolgono fondi tramite donazioni e che, almeno in teoria, non sono in nessun modo coordinati con la campagna elettorale di nessun candidato. In pratica però spesso i nomi stessi dei Pac richiamano uno specifico candidato. I SuperPac possono ricevere donazioni di qualsiasi cifra e non devono riportare alla Fec chi siano i donatori. L’unica limitazione è quella di non ricevere fondi dall’estero. Queste associazioni hanno cambiato la politica statunitense negli ultimi 15 anni, aumentando a dismisura la quantità di fondi e soprattutto di grandi donatori coinvolte e rendendo meno trasparente il finanziamento ai partiti.

Per questa ragione è difficile ad oggi capire chi finanzi davvero le campagne elettorali dei due partiti maggiori. Entrambi sono sostenuti da molti SuperPac, legati a vari personaggi, che hanno raccolto somme enormi.

Harris ha raccolto 80 milioni di dollari da donazioni ai suoi Pac, quindi senza l’aiuto di grandi donatori, in 24 ore. Stando ai dati riportati dal sito della Fec, si tratta di 1,4 milioni di persone che hanno donato per finanziare la campagna elettorale della vicepresidente in maniera diretta.

Queste però sono soltanto le “piccole” donazioni, che mercoledì 24 luglio ammontavano già a 126 milioni di dollari. L’annuncio più importante è però arrivato da Future Forward, il SuperPac che supportava Joe Biden e che ora punta su Kamala Harris. L’organizzazione ha annunciato di aver ricevuto 150 milioni di dollari in donazioni che, con ogni probabilità, provengono dai cosiddetti “Big dollar donors” i donatori con grandi disponibilità economiche che avevano aspettato a supportare il presidente uscente Joe Biden.

I nomi che circolano e che sarebbero dietro a questa ondata di donazioni sono però solo ipotesi. Future Forward, come ogni altro SuperPac, non è tenuto a pubblicarli. I fondi di Harris non finiscono però qui. Quando la convention Democratica di Chicago la nominerà ufficialmente candidata, la vicepresidente erediterà 95 milioni di dollari donati alla campagna Biden-Harris prima che il presidente uscente si ritirasse. Una cifra criticata dai repubblicani, che temono che l’enorme quantità di donazioni possa porli in svantaggio nella campagna elettorale.

In precedenza, stando ai dati riportati dal sito Open Secrets, i fondi raccolti da queste organizzazioni per la campagna elettorale del 2024 sarebbero andati per il 60% o in favore dei repubblicani o contro i democratici.

Nessuno dei primi 10 SuperPac era esplicitamente a favore del Partito Democratico e in testa alla classifica c’era il principale sostenitore della campagna Trump, Make America Great Again Inc, che aveva raccolto oltre 178 milioni di dollari. Trump avrebbe infatti attirato in tutto 221 milioni di dollari, mentre Harris sarebbe già arrivata a sfiorare i 285 milioni.

Il secondo Pac più importante per i Repubblicani si trova in Texas ed è l’America Pac, fondato dall’imprenditore sudafricano naturalizzato statunitense Elon Musk. Nelle scorse settimane sembrava che il supporto del fondatore di Tesla a Trump fosse saldo e molto significativo. Lo stesso candidato aveva affermato in un comizio che avrebbe ricevuto 45 milioni di dollari al mese fino a novembre, un totale di 135 milioni di dollari, soltanto da Elon Musk stesso. L’imprenditore ha però smentito questa prospettiva in un’intervista pubblicata sul social network di sua proprietà X (già Twitter), confermando comunque il supporto di America Pac a Donald Trump.

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