Conte su Renzi: ‘Come Bettini sono convinto che resuscitare Renzi sia un errore, visto che ha esaurito un ciclo’

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L’intervento di Matteo Renzi  alla Festa dell’Unità di Pesaro ha  testimoniato la sua volontà di entrare a far parte del campo largo del centrosinistra. Senza mettere veti, ma  lanciando stoccate soprattutto al Movimento 5 Stelle. Il Partito democratico, socio di maggioranza di questa immaginaria coalizione, deve  cercare di tenere unita questa incerta alleanza. Ad indicare una linea è una delle voci più influenti al Nazareno per quanto riguarda le strategie, Goffredo Bettini.

Nell’ultimo anno Bettini si è spostato dall’ombra alla luce dei riflettori. O forse sarebbe meglio dire dalla scena romana – dov’è sempre stato protagonista – a quella nazionale. Bettini, consigliere sempre ascoltato del segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti ed  estimatore dell’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, suggeritore e pontiere nella crisi, convinto sostenitore di un’alleanza fra Partito democratico e Movimento 5 stelle.

Bettini si è iscritto al Partito comunista italiano a 14 anni e negli anni ’70 era già un dirigente delle Federazione Giovani Comunisti Italiani, prima nella segreteria romana, poi nella segreteria nazionale, guidata in quegli anni da Massimo D’Alema. Nella Fgci ha conosciuto anche Walter Veltroni, a cui è rimasto legato politicamente per il resto della sua carriera.

Negli anni ’80 è diventato il segretario del Partito comunista italiano di Roma. A soli 32 anni è entrato nella Direzione nazionale del Pci.

La biografia sul sito del Partito democratico gli attribuisce il merito, negli anni ’90, di aver «inventato la candidatura» di Francesco Rutelli a sindaco della Capitale. L’Espresso ha raccontato che Rutelli, «prima creatura politica plasmata da Bettini», è stato anche il primo a tradirlo preferendogli Paolo Gentiloni come consigliere, una volta arrivato al Campidoglio.

La carriera di Bettini si è svolta prevalentemente negli ambienti romani: assessore ai Rapporti istituzionali del Comune, presidente dell’Auditorium di Roma, consigliere in Regione Lazio e dal 2001 eletto deputato con i Democratici di Sinistra. Nel 2006 è invece entrato in Senato, ma per un solo anno, decidendo poi di dimettersi per dedicarsi al suo ruolo all’interno del partito.

Bettini è infatti stato una figura centrale nella fondazione del Partito democratico. Ha fatto parte della prima segretaria di Walter Veltroni e dal 2007 ne è diventato coordinatore nazionale. Dal 2014 al 2019 ha ricoperto la carica di europarlamentare sempre per il Pd.

Nello stesso articolo, l’ex parlamentare ha dichiarato una certa distanza dai vertici del Pd negli anni precedenti: «Dopo le dimissioni di Veltroni, con il quale alla nascita del Pd si è rafforzato un sodalizio durato una vita, ho vissuto anni di isolamento. Nel Pd non avrò alcun ruolo di gestione né avrò incarichi. Troverò il modo di aiutare la mia comunità con stimoli culturali e con le mie idee politiche».

Nell’ultimo anno, Goffredo Bettini è stato fra i più convinti,  ed espliciti,  sostenitori dell’asse fra Pd e M5s.

In un articolo sul Fatto Quotidiano, Bettini smorza gli entusiasmi di Renzi e dei suoi, che già si vedono protagonisti di questo ipotetico campo largo. “Nelle settimane agostane si sono moltiplicati dei confronti e alcune iniziative che hanno messo al centro proprio chi (Renzi) avrebbe dovuto per una volta aiutare un processo virtuoso, piuttosto che volerlo incarnare, interpretare, condizionare, dando perfino maliziosi consigli al Pd, circa il modo di trattare la sua segreteria Elly Schlein”, ha scritto Bettini. “Renzi si dimostra ancora una volta un politico svelto e scaltro. Ma non intendo parlare di lui. Piuttosto del quadro che si sta determinando: da inopportuno si sta trasformando in un letale errore politico. Giusto far cadere i veti, stravagante dare le chiavi dell’allargamento del centrosinistra a Renzi. L’ex premier ha esaurito un ciclo. Ha lasciato detriti che non vanno scaricati sul futuro, ma suggeriscono quella condotta misurata che in politica è un aspetto decisivo.  Quello che magari potrebbe essere possibile per il Pd (non credo), non è sicuramente digeribile dal resto della sinistra e dal M5s. Legittimamente. Aiutare l’emergere di un centro democratico deve essere un obiettivo concordato dall’insieme della coalizione; non uno strappo politicista solitario, che rischia di essere una bolla mediatica, piuttosto che una ricollocazione di parti dell’elettorato moderato” dice  Bettini. “Inoltre, ogni ipotesi di accordo va messa con i piedi per terra circa i programmi, i valori, i comportamenti condivisi. Le prossime elezioni locali sono una prova fondamentale per procedere. A partire dalla Liguria, dove un po’ solitariamente la candidatura autorevolissima di Orlando sta cercando di comporre un quadro difficile”, conclude l’esponente del Pd.

Conte, da parte sua,  chiude definitivamente le porte a Renzi, sigilla il campo largo, che in realtà non è mai nato,  e ad Elly Schlein dice che è necessario rivedere la politica estera, che poi altro non è che il collante più importante per una coalizione. Mentre il centrodestra rilancia, coeso, il suo programma di governo, le opposizioni confermano di essere scisse e, soprattutto, si palesa ulteriormente il no all’ex premier e segretario nazionale del Pd.

Riferendosi alle critiche espresse da Goffredo Bettini sul leader di Italia Viva in un’intervista a Il Fatto Quotidiano, Giuseppe Conte dice testualmente: “Anche io sono convinto che resuscitare Renzi, premiandolo dopo la disfatta elettorale europea e i suoi ripetuti fallimenti, sia una scelta che avrebbe un costo pesantissimo per la serietà e credibilità del progetto di alternativa a Meloni”.

Per il presidente pentastellato, imbarcare Renzi, “sarebbe “una scelta peraltro incomprensibile per gli elettori, visto che l’Italia viva in questa legislatura ha votato quasi sistematicamente con il centrodestra e governa con le destre in molte amministrazioni territoriali. Ma è una scelta inaccettabile anche se vogliamo che il progetto politico progressista sia costruito nel segno, per noi imprescindibile, dell’etica pubblica e della lotta all’affarismo. Lasciare questo spazio a Renzi, incoronarlo così platealmente come credibile rappresentante di un polo moderato, è un grande harakiri. Il metodo e il merito con cui tutto ciò sta avvenendo e viene assecondato dai vertici del Pd sta aprendo una grave ferita con la mia comunità del Movimento 5 Stelle: una comunità che intende antropologicamente la politica in modo diametralmente opposto’’.

In sostanza, Conte dice, che allearsi con Matteo Renzi significa abbandonare, “un progetto politico progressista costruito sull’etica pubblica e sulla lotta all’affarismo”. Non una contrapposizione politica, che c’è sempre stata,  ma un’antitesi addirittura etica che derubricare a semplice dialettica sarebbe sbagliato. E aggiunge di sentire “come una ferita” per la comunità pentastellata, il metodo di riavvicinamento scelto da Schlein nei confronti di Renzi.

Il leader dei Cinquestelle ha poi evidenziato una diversità di vedute profonda con Elly Schlein, che passa anche attraverso il politico fiorentino e il suo presunto ruolo di intermediario diplomatico per il centrosinistra: “Se  qualcuno pensa che Renzi possa facilitare un dialogo diretto con il Partito democratico statunitense e con il governo israeliano allora dico che, a maggior ragione, occorre un forte chiarimento sulla politica estera: per noi del Movimento 5 Stelle i governi italiani non si decidono a Washington”.

Che il campo largo fosse diventato “campo santo” lo si è visto in Liguria. Andrea Orlando aveva lanciato l’ultimatum: o mi candidano entro fine settimana o rinuncio. Considerando che la settimana è finita la dichiarazione dell’ex ministro della giustizia va presa sul serio e cioè se domani non arriva l’investitura, Orlando si ritira, a meno che il suo non era un bluff. E proprio a Genova, con Nicola Morra candidato indipendente che rischia di drenare consensi alla sinistra, Giuseppe Conte non vuole lasciare spazio all’ex Guardasigilli, ne tantomeno imbarcare Italia Viva nella coalizione.

Mentre il centrosinistra litiga e in realtà non esiste, perché rifiuta apertamente Renzi e non ha buoni rapporti con Calenda, il centrodestra governa da due anni ed è coeso. Designa all’unanimità il commissario europeo, rilancia il prossimo triennio come opzione chiave di crescita e disegna, senza divisioni, la prossima manovra finanziaria. Eppure, la storia recente della politica italiana ha dimostrato che governare porta ad implodere nel giro di un anno e stare all’opposizione funge da collante: tutte tesi e statistiche ampiamente ribaltate.

Le dichiarazioni di Giuseppe Conte mettono una pietra tombale sul campo largo proprio perché “fondanti” e non frutto di schermaglie.

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