Era stato annunciato come il più grande piano di rilancio dell’istruzione italiana dal dopoguerra. Una pioggia di miliardi per modernizzare scuole e università, combattere la dispersione scolastica, rafforzare la didattica digitale, attrarre talenti. Ma a tre anni dall’avvio del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), è lecito chiedersi: cosa ne è rimasto davvero?
Nel comparto istruzione e ricerca, il PNRR ha stanziato circa 17 miliardi di euro, divisi tra scuola (12,1 miliardi) e università-ricerca (quasi 5 miliardi). Risorse che avrebbero dovuto rivoluzionare il sistema: nuovi asili, edilizia scolastica sostenibile, laboratori innovativi, borse di studio, dottorati, rientro dei cervelli, partenariati pubblico-privati. Un’occasione irripetibile.
Eppure, i segnali che arrivano dal territorio non sempre corrispondono a quel che era stato promesso. Molti bandi sono partiti tardi. Alcuni interventi, come quelli sull’edilizia scolastica, scontano ritardi nella progettazione e nell’affidamento dei lavori. Altri, come i piani contro la dispersione scolastica, sono partiti ma con tempi troppo brevi per misurarne l’impatto reale.
Nelle università si vedono i primi risultati: nuovi dottorati finanziati, borse potenziate, laboratori rinnovati, spazi per residenze studentesche, ma anche qui restano ombre. La burocrazia è spesso un ostacolo. Le tempistiche europee stringenti costringono gli atenei a correre per non perdere i fondi. E le collaborazioni con il mondo produttivo, su cui puntavano i partenariati estesi, richiedono un cambio di passo culturale che non si fa in un giorno.
Un altro punto critico è la sostenibilità nel tempo. Molti interventi del PNRR sono “a termine”: bandi, borse, progetti finanziati una tantum.
Ma cosa accadrà quando finiranno i fondi? Il rischio è di creare isole d’eccellenza in un sistema che, nel suo complesso, continua a soffrire di cronico sottofinanziamento.
Già si iniziano ad avere i primi effetti: dottorati istituiti e/o potenziati che non possono continuare la loro attività e ricercatori che stanno concludendo il loro triennio e che non potranno rimanere nell’ambito universitario.
Anche sul fronte della digitalizzazione – altro pilastro del Piano – la situazione è a macchia di leopardo. Le tecnologie ci sono, ma spesso mancano formazione per i docenti, infrastrutture uniformi e una visione condivisa. Il rischio è di sprecare strumenti senza cambiare davvero la didattica.
Il PNRR resta una grande opportunità, ma serviva – e serve ancora – una regia forte, una capacità di spesa efficiente, e soprattutto una visione di sistema. Non si tratta solo di spendere, ma di costruire un’istruzione e una ricerca all’altezza delle sfide globali.
Oggi più che mai, serve trasparenza: cosa è stato fatto, cosa è rimasto sulla carta, e cosa possiamo ancora salvare. Perché da quella risposta dipende non solo il futuro della scuola e dell’università, ma quello del Paese intero.
Valentina Alvaro