Cardinal Lojudice, qual è il ricordo più personale che ha del Santo Padre, Francesco?
“Quando mi nominò prima Vescovo e, poi, Cardinale, in entrambe le occasioni gli dissi: ma Lei è sicuro di voler riporre in me la sua fiducia? E Lui mi rispose, abbi fiducia percorri la tua strada”.
Tra i centotrentacinque cardinali conclavisti ci sarà, anche, il quasi sessantunenne Cardinal Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo metropolita di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino e vescovo di Montepulciano, Chiusi e Pienza, e da un anno giudice della Corte di Cassazione dello Stato del Vaticano e presidente della Conferenza episcopale toscana. Don Paolo, come ama farsi chiamare dai suoi fedeli, ha origini pugliesi. Suo nonno era un pittore di Palombaio, una frazione di Bitonto e sua nonna era dirigente dell’ufficio postale. Un porporato voluto da Papa Francesco che nel giro di soli cinque anni da parroco di San Luca Evangelista al quartiere “Prenestino” a Roma, lo ha prima nominato vescovo nel 2015, poi nel 2019 Arcivescovo e nel 2020 Cardinale, creando per lui la sede cardinalizia senese. Per quattro anni dal 2015 al 2019 è stato il più diretto collaboratore di Bergoglio nella Curia Romana, ricoprendo il ruolo di Vescovo Ausiliare di Roma. Lui che a Papa Francesco per ben due volte, in occasione della nomina a Vescovo e a Cardinale gli aveva detto “ma Lei è sicuro di voler riporre in me la sua fiducia”, parla di quello che il Pontefice “venuto dalla fine del mondo”, lascia al mondo e alla Chiesa.
Eminenza, qual è secondo lei l’eredità più importante che lascia Francesco?
“La sua eredità è, certamente, un Chiesa in uscita accanto ai più fragili. Ci ha lasciati un grande Pastore che fino all’ultimo è voluto essere accanto al popolo di Dio, soprattutto, a quelle donne e a quegli uomini che vivono le periferie del mondo. Il suo Pontificato ha portato la Chiesa ancora di più tra le gente, accanto ai poveri e ai fragili e al servizio della pace e della giustizia sociale. Questa è la sua grande eredità che dobbiamo continuare a rendere reale nelle nostre vite di tutti i giorni. Grazie Papa Francesco”.
Ma qual è la scommessa che la Chiesa, adesso, è chiamata a cercare di vincere?
“A mio giudizio, ritengo che bisogna considerare il fatto che Papa Francesco spinto dallo Spirito Santo, anche in prosecuzione di altri precedenti pontificata, ha un po’ accelerato questo processo di vicinanza e apertura della Chiesa a quelle che comunemente vengono chiamati gli ultimi, ma che per Dio ultimi non sono. Un processo del quale la Chiesa aveva assolutamente bisogno che non finisce con questo Papa e credo non finirà neanche con il prossimo e con quello dopo ancora, credo che andrà ben oltre i prossimi dieci o cinquanta Papi ma che di fatto arriverà fino alla fine dei tempi”.
Quindi, alla vigilia del Suo ingresso nella Cappella Sistina cosa vede nel futuro della Chiesa?
“Vedo un rinnovamento continuo della Chiesa, perché veramente la Chiesa è scelta e reformanda come ci dicevano i nostri padri. Io penso che Papa Francesco è stato un acceleratore della storia, anche la mia esperienza e la mia sensazione è stata quella di una forte accelerazione verso il ritorno della Chiesa alla carità evangelica a quella purezza di fondo del messaggio evangelico che è il riferimento fondamentale del cattolicesimo per ogni credente e per ogni cristiano fondamentalmente”.
È questa, quindi, la grande eredità di Francesco?
“Penso proprio di si, perché questo è un cammino che bisogna continuare a portare avanti. Credo che è questa la cosa fondamentale, per quanto possa sembrare semplice o banale da dire in questo momento. L’impegno che la Chiesa adesso deve assumere davanti a Dio e al mondo è quello di continuare a percorrere questo cammino che Papa Francesco ha iniziato, senza esitazioni con la determinazioni dell’essere figli di Dio e fratelli di Gesù Cristo che è morto e risorto per noi e per il bene dell’umanità intera”.