Der Leyen per una forza pacifica per difendere l’Europa, Macron che agita il nucleare contro Mosca

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Antonio Costa, presidente del Consiglio europeo, ha accolto il presidente ucraino al suo arrivo al vertice straordinario su Ucraina e difesa, insieme alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: ‘Volodymyr Zelensky è sempre il benvenuto a Bruxelles’. Zelensky ha avuto un breve incontro bilaterale sia con Emmanuel Macron sia con il premier belga, Bart De Wever.

“L’Italia deve raggiungere il prima possibile l’obiettivo di spendere per la difesa ogni anno una somma pari al 2% del Pil, concordato nel 2014 in sede Nato. E il piano ReArmEu dovrebbe contribuire a raggiungerlo”, afferma Antonio Tajani a margine del prevertice del Ppe a Bruxelles. Il ministro degli Esteri ha confermato la linea italiana sulle spese per la difesa nazionale. La soglia del 2% non si discute. “È un impegno che abbiamo. Dobbiamo farlo il prima possibile. Bisognerà trovare gli strumenti, uscendo ovviamente dal patto di stabilità con le spese per la difesa. Non possiamo non farlo, ne va della credibilità dell’Italia”.

Roma farà una proposta di lavoro perché Commissione Ue e Seae (Servizio Europeo per l’Azione Esterna) stabiliscano un meccanismo di rendicontazione trasparente di questo tipo di spese. In sostanza per l’Italia, che come la Spagna è tra i Paesi ancora al di sotto del target stabilito nel 2014 , ogni euro in più investito nella difesa europea dovrebbe contare ed essere contabilizzato in ambito Nato.

Quanto al piano presentato da Ursula von der Leyen, sul tavolo del consiglio straordinario, Tajani fa presente che l’Italia non è entusiasta del nome “ReArm Europe”. “È un nome infelice, perché non rende merito a quello che si sta facendo. La dimensione della difesa e della sicurezza oggi è una dimensione molto più ampia rispetto a quella delle armi”. Nome che tra l’altro ha dato la stura alle sinistre italiane per gridare all’Europa guerrafondaia. “Garantire la sicurezza”, ha detto il ministro, “significa garantire anche la sicurezza per strada. E come la controlli l’immigrazione clandestina se non hai la Guardia Costiera, la Guardia di Finanza, se non hai chi controlla le frontiere?”. Sicurezza, insomma, non è sinonimo di conflitto.

Roma è contraria a utilizzare per la difesa europea i fondi di coesione, che devono invece restare vincolati agli obiettivi previsti. L’Italia, secondo quanto emerso, ha fatto passare la volontarietà sull’utilizzo di questi fondi. Non si oppone al fatto che Stati al confine con la Russia possano considerare quella una loro priorità. Ma sicuramente il governo italiano non intende dirottare fondi di coesione sull’acquisto di armi. Lo ha detto molto chiaramente il vicepremier e ministro degli Esteri. “Noi non li useremo, perché devono essere destinati”.

⁠Fra le notizie positive c’è l’esclusione delle spese di difesa dal calcolo del rapporto deficit/Pil, che il governo Meloni chiedeva da tempo. L’Italia, inoltre, accoglie favorevolmente la proposta tedesca di non fermarsi qui e di arrivare anche a una revisione del patto di stabilità. Che, secondo Roma, non dovrebbe fermarsi alle materie della difesa, ma comprendere anche altri beni pubblici europei, a partire dalla competitività.

«Questo è un momento di svolta per l’Europa e l’Ucraina come parte della nostra famiglia europea. È anche un momento spartiacque per l’Ucraina», sono state le parole di von der Leyen. «L’Europa – ha aggiunto – si trova di fronte a un pericolo chiaro e attuale, quindi deve essere in grado di proteggersi, di difendersi, così come dobbiamo mettere l’Ucraina nella posizione di proteggersi e di spingere per una pace duratura e giusta».

«Vogliamo una forza pacifica. È per questo motivo – ha aggiunto la presidente della Commissione Ue – che presento oggi ai leader il piano ReArmEu, che prevede fino a 800 miliardi di euro per investimenti nella difesa. Offre agli Stati membri uno spazio fiscale per investire nella difesa, la possibilità di investire nell’industria della difesa ucraina o di acquisire capacità militari che vanno direttamente all’Ucraina».

Emmanuel Macron, per contro, rispetto alla der Leyen si esprime in tono “bellicoso”, come se la Francia fosse già schierata sul campo. «La Russia è diventata una minaccia per la Francia e l’Europa, la situazione è questa e dobbiamo affrontarla, solo che l’armata non c’è. Macron ha deciso di parlare alla Nazione alla vigilia del Consiglio europeo. Nel suo discorso snocciola cifre e scenari apocalittici: «Entro il 2030, la Russia prevede di aumentare ancora il suo esercito con tre mila carri armati in più e trecento aerei di combattimento. Chi può credere che la Russia si fermerà all’Ucraina? L’avvenire dell’Europa non può essere deciso a Washington o Mosca». Un messaggio che suona nobile ed avvincente, se non fosse che la Francia non è esattamente in posizione di dettare la linea. Soprattutto quando gli Stati Uniti si stanno ricalibrando e i leader europei, più che seguirlo, osservano con scetticismo la posizione assunta.

Nicola Procaccini, europarlamentare di Fratelli d’Italia e co-presidente del gruppo dei Conservatori e riformisti europei osserva: ‘Lo stesso argomento che ho sentito affermare al Congresso a Washington dallo stesso Trump: la Ue sta arricchendo la Russia attraverso l’importazione di gas liquido, come mai prima d’ora. Giustamente, Trump dice che l’Unione europea sta dando più soldi a Putin di quanti ne stia dando a Zelensky. Soldi che poi Putin utilizza per bombardare gli ucraini, gli stessi ucraini che l’Unione europea vorrebbe difesi dagli Stati Uniti. Ora capite bene che gli Usa dicono che qui c’è un’ipocrisia di fondo, e chi è che in questo momento risulta il più ipocrita? Il presidente francese», ha sentenziato, ricordando che «nessun Paese europeo ha incrementato gli acquisti di gas liquido dalla Russia come la Francia, addirittura dell’81% nel 2024 rispetto all’anno precedente». È questione di «essere obiettivi», secondo Procaccini.

L’esponente di FdI ha inoltre sottolineato che, pur essendo l’Italia il Paese più dipendente dal gas russo «in assoluto», il governo ha compiuto «salti mortali» per svincolarsi da Mosca, riuscendoci in tempi record grazie anche al ruolo strategico di Eni e alla diversificazione dei fornitori. Una «correttezza geopolitica» che non tutti hanno seguito, nemmeno quei Paesi che possono contare sull’energia nucleare.

Nella retorica del suo discorso Macron ha rivendicato che «la Francia ha l’esercito più efficace d’Europa» e che la sua deterrenza nucleare potrebbe proteggere anche gli altri Paesi del continente.

«Intanto, che cos’è uno scudo?», ha incalzato Procaccini. «Uno scudo è un sistema antimissilistico e quindi non capisco come si possa chiamare nucleare uno scudo antimissilistico. O c’è un errore di fondo o di traduzione nelle parole di Macron».

L’europarlamentare ha poi chiarito il nodo centrale della questione: «Forse ci si riferisce alla deterrenza offerta dalle armi nucleari, ma all’interno della Nato c’è già un presupposto, che è quello garantito dall’articolo 5, per cui se una Nazione viene attaccata, tutte le altre Nazioni che fanno parte dell’Alleanza intervengono in sua difesa». In altre parole, la dottrina della deterrenza non è una novità francese, ma un pilastro consolidato del diritto internazionale.

La risposta della Russia
Tuttavia, se l’obiettivo di Macron era impressionare Mosca, possiamo dire che ci è riuscito. Ma non nel senso che sperava. Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha bollato la sua retorica nucleare come «una minaccia alla Russia», mentre il Cremlino ha definito la sua posizione «molto aggressiva» e accusato la Francia di «volere la continuazione della guerra». Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, nonostante abbia inizialmente paragonato Monsieur le President a Napoleone e a Hitler, lo ha liquidato infine il discorso come «un tentativo di salvare la sua reputazione».

Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ha persino coniato un soprannome per il presidente francese: «Ole-Lukøye atomico», paragonandolo al personaggio della fiaba di Hans Christian Andersen che apre ombrelli sui bambini mentre dormono.

Dagli Stati Uniti all’Europa: l’isolamento di Macron
Se con Mosca i rapporti erano già ai minimi termini, la situazione dall’altro lato del mondo non è migliore. L’amministrazione Trump ha già dimostrato di avere le proprie priorità, e tra queste non c’è certo la grandeur francese. Con gli alleati europei, poi, il feeling è ai minimi storici: la Germania di Merz non apprezza le macroniane fughe in avanti, l’Italia lo deride, i Paesi dell’Est guardano più a Washington che a Parigi e perfino la Gran Bretagna di Starmer, con la quale ha lanciato “l’alleanza dei volenterosi”, lo ha smentito a proposito del patto per la tregua di un mese in Ucraina.

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