Donne in Politica: Progressi Lenti e Disparità Globali

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Durante la 69ª sessione della Commissione sullo Status delle Donne, è stata presentata la nuova mappa IPU-UN Women “Donne in politica”, che mostra progressi limitati nell’uguaglianza di genere nella leadership politica. A trent’anni dalla Dichiarazione di Pechino, il divario tra uomini e donne nelle posizioni di potere rimane significativo. Secondo i dati raccolti, gli uomini superano le donne di oltre tre volte nei ruoli esecutivi e legislativi. La percentuale di donne nei parlamenti nazionali è aumentata di appena 0,3 punti percentuali, raggiungendo il 27,2%, mentre nelle posizioni di governo si è registrato un calo dello 0,4%. La presidente dell’Unione Interparlamentare, Tulia Ackson, ha definito questa crescita “glaciale” e ha sottolineato la necessità di azioni decisive per abbattere le barriere alla rappresentanza femminile. Anche il segretario generale dell’UIP, Martin Chungong, ha ribadito che il coinvolgimento attivo degli uomini è essenziale per accelerare il cambiamento.Seconda la nuova mappa IPU-UN Women “Donne in politica”presentata durante la 69esima sessione della Commissione sullo Status delle Donne, il 12 marzo all’interno del più grande incontro delle Nazioni Unite sull’uguaglianza di genere. I nuovi dati dell’Unione interparlamentare (UIP) e di UN Women rivelano progressi limitati nel raggiungimento dell’uguaglianza di genere nella leadership politica all’inizio del 2025, anno in cui ricorre il 30° anniversario della Dichiarazione e della Piattaforma d’azione di Pechino, il quadro di riferimento delle Nazioni Unite che ha definito la tabella di marcia per l’uguaglianza di genere e i diritti delle donne. Secondo l’edizione 2025 della mappa IPU-UN Women “Donne in politica”, gli uomini superano le donne di oltre tre volte nelle posizioni esecutive e legislative. La mappa presenta le ultime classifiche delle donne nelle posizioni esecutive e nei parlamenti nazionali al 1° gennaio 2025. Mentre la percentuale di donne in parlamento è aumentata di 0,3 punti percentuali, raggiungendo il 27,2% rispetto a un anno fa, nelle posizioni di governo è diminuita di 0,4 punti percentuali. La disparità globale evidenzia un fallimento sistemico nel far progredire l’uguaglianza di genere in politica in alcune parti del mondo. È giunto il momento di agire con decisione per abbattere queste barriere e garantire che le voci delle donne siano equamente rappresentate in politica in tutto il mondo. Ne va della salute delle nostre democrazie”. Martin Chungong, Segretario generale dell’UIP, ha dichiarato: “La mancanza di progressi nel raggiungimento dell’uguaglianza di genere nella leadership politica è un invito all’azione che fa riflettere. Accelerare i progressi richiede la partecipazione attiva e il sostegno degli uomini. È nostra responsabilità collettiva abbattere le barriere e garantire che le voci delle donne siano equamente rappresentate nei ruoli di leadership, promuovendo una democrazia più inclusiva e solida per tutti”. Sima Bahous, direttore esecutivo di UN Women, ha dichiarato:“Trent’anni dopo la Dichiarazione di Pechino, la promessa della parità di genere nella leadership politica rimane disattesa. I progressi non sono solo lenti, ma stanno arretrando”. Le donne ricoprono le massime cariche dello Stato in soli 25 Paesi. L’Europa rimane la regione con il maggior numero di Paesi a guida femminile (12). Sebbene nel 2024 si siano registrati dei primati storici, tra cui le prime donne presidenti elette direttamente in Messico, Namibia e Macedonia del Nord, in 106 Paesi non c’è mai stata una donna alla guida. Diminuisce la rappresentanza femminile tra i ministri di gabinetto. Al 1° gennaio 2025, la percentuale di donne a capo dei ministeri è scesa al 22,9%, rispetto al 23,3% di un anno fa. Questo calo è dovuto al fatto che 64 Paesi hanno registrato una diminuzione della rappresentanza femminile a questo livello e altri 63 una stagnazione, mentre solo 62 sono aumentati rispetto a un anno fa. Solo nove Paesi, prevalentemente in Europa, hanno raggiunto la parità di genere nei gabinetti, con il 50% o più di donne che ricoprono posizioni di gabinetto come capi di ministeri. Si tratta di Nicaragua (64,3%), Finlandia (61,1%), Islanda e Liechtenstein (60%), Estonia (58,3%), Andorra, Cile, Spagna e Regno Unito (tutti al 50%). Ciò rappresenta un calo rispetto al 2024, quando 15 Paesi avevano armadietti con parità di genere. In altri 20 Paesi la rappresentanza femminile tra i ministri di governo è compresa tra il 40% e il 49,9%, e la metà di questi Paesi si trova in Europa. Nove Paesi, per lo più in Asia e nel Pacifico, non hanno donne come ministri di gabinetto, con un aumento rispetto ai sette Paesi del 2024. L’Europa e il Nord America (31,4%) e l’America Latina e i Caraibi (30,4%) hanno le quote più alte di donne ministro. Al contrario, le donne sono significativamente sotto rappresentate nella maggior parte delle altre regioni, con percentuali che arrivano al 10,2% nelle isole del Pacifico (escluse Australia e Nuova Zelanda) e al 9% in Asia centrale e meridionale. L’assegnazione dei portafogli ministeriali evidenzia il persistere di un pregiudizio di genere. Le donne sono ancora assegnate principalmente a dirigere le aree politiche riguardanti l’uguaglianza di genere, i diritti umani e gli affari sociali.Le aree politiche più influenti, come gli affari esteri, gli affari finanziari e fiscali, gli affari interni e la difesa, restano in gran parte controllate dagli uomini. Portafogli ministeriali % donne Donne e uguaglianza di genere 86,7; Affari della famiglia e dell’infanzia 71,4; Inclusione sociale e sviluppo 55,6; Protezione sociale e sicurezza sociale 42,1; Affari esteri 17,8; Affari finanziari e fiscali 16,4; Affari interni 13,2; Difesa 13,0 Anche se ancora sotto rappresentate, i nuovi dati mostrano un maggior numero di donne alla guida di altri importanti portafogli politici, come la cultura (35,4%), l’istruzione (30,6%) e il turismo (30,5%). La mappa segue la pubblicazione del rapporto annuale dell’UIP “Donne in Parlamento”, che ha rivelato che, nonostante il 2024 sia un anno di super elezioni, i progressi verso una maggiore rappresentanza femminile sono stati i più lenti dal 2017. In altri termini i dati rivelano anche significative disparità regionali: le Americhe hanno la più alta percentuale di donne deputato (34,5%) e di donne Presidente del Parlamento (33,3%). L’Europa si colloca al secondo posto con il 31,8% di donne deputato e il 30,4% di donne Presidente del Parlamento. La regione del Medio Oriente e del Nord Africa si colloca all’ultimo posto, con le donne che occupano solo il 16,7% dei seggi parlamentari e attualmente nessuna donna Presidente del Parlamento. In un raro momento di luce, il numero totale di donne Presidente del Parlamento è salito a 64 su 270 posizioni, raggiungendo il 23,7%, rispetto al 22,7% del 2023 (62 su 273). Le donne vicepresidenti del Parlamento sono ora il 32,6% del totale, rispetto al 28,9% del 2023. Per garantire una democrazia inclusiva, le istituzioni devono agire concretamente: riforme elettorali, quote di genere e campagne di sensibilizzazione sono strumenti fondamentali per colmare il divario. L’uguaglianza di genere non può più aspettare sono simboli visibili della fede e della determinazione dei primi santi e martiri affinché il cristianesimo viva e diventi universale».Ma Roma, ricorda il presidente americano, è più antica del cristianesimo: «La storia di Roma risale ai tempi delle fondamenta della nostra civiltà. Possiamo ancora vedere i monumenti dell’epoca in cui Roma e i romani controllavano tutto il mondo allora conosciuto. Anche questo è significativo, perché le Nazioni Unite sono determinate a far sì che in futuro nessuna città e nessuna razza possa controllare il mondo intero».Ecco, Roosevelt era sincero quando diceva questo. Così come un altro presidente, il primo afroamericano, Barack Obama, non intendeva certo rivendicare un dominio, quando chiudeva i comizi delle sue due vittoriose campagne elettorali del 2008 e del 2012 definendo l’America “the Greatest Nation on Earth”, la più grande nazione della terra. Eppure l’America ha oggettivamente costruito un impero. Ha unificato colonie inglesi affrancandole da Londra, ha comprato territori dai francesi, ne ha strappati altri ai messicani. Con il presidente Monroe ha stabilito che non avrebbe più tollerato ingerenze europee nel cortile di casa, cioè il Canada e l’America Latina. I suoi cannoni hanno tolto Cuba all’impero spagnolo. Poi l’America è intervenuta nelle due grandi guerre europee del Novecento, le ha vinte o meglio le ha decise gettando sulla bilancia il proprio peso militare e industriale, e ha esteso la propria influenza prima sull’Europa occidentale, poi dopo il crollo del Muro fino ai confini della Russia, con cui ha combattuto e vinto una guerra fredda anche sui frontiasiatici e africani. Proprio come un imperatore romano, il presidente degli Stati Uniti esercita una sovranità diretta su un vasto territorio, e stringe patti di diversa natura con altri Paesi, che vanno dal protettorato – Porto Rico – all’alleanza militare, dal trattato di libero scambio al sostegno contro un nemico comune. Nel 2025, un anno cruciale per gli sforzi globali in materia di pace e sicurezza, diritti umani e sviluppo sostenibile, l’Italia e’ pronta a collaborare: questo il messaggio del Rappresentante Permanente italiano all’ONU, Ambasciatore Maurizio Massari, in un video diffuso sui profili social della missione.Nel messaggio, in cui ricorda che il 2025 segnera’ l’80esimo anniversario dell’ONU e il 70esimo dell’adesione dell’Italia alle Nazioni Unite, Massari fa il punto sull’azione italiana nell’anno che sta per chiudersi e ribadisce l’impegno condiviso per un mondo più pacifico e prospero, celebrando al contempo la profonda tradizione multilaterale dell’Italia.“L’ultimo anno è stato sia dinamico che produttivo per l’Italia alle Nazioni Unite, con eventi di rilievo come la Visita di Stato di Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica Italiana, in maggio e la conferenza sull’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile (SDG) 16, organizzata dall’Italia in collaborazione con il DESA e l’IDLO per promuovere la creazione di società pacifiche, giuste e inclusive”, ha detto Massari, ricordando anche il Vertice sul Futuro di settembre, in cui l’Italia, insieme all’Unione Europea, ha svolto un ruolo cruciale nel sostenere l’adozione del Patto per il Futuro: “Un accordo innovativo, il più completo degli ultimi decenni, che non solo affronta questioni emergenti, ma si occupa anche di sfide di lunga data che in passato hanno ostacolato il consenso”. Durante la Settimana ad Alto Livello, l’Italia ha inoltre organizzato un incontro dei Ministri degli Esteri del G7 per discutere le questioni più urgenti dell’agenda globale.Nel corso del 2024, il lavoro dell’Italia alle Nazioni Unite si è concentrato su tre linee d’azione principali:Primo, in materia di pace e sicurezza, di fronte al crescente numero di conflitti ed emergenze umanitarie in tutto il mondo, l’Italia ha rinnovato il proprio impegno presentando, insieme al gruppo Uniting for Consensus, una proposta di riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Questa riforma mira a renderlo più efficace, democratico e rappresentativo, garantendo al contempo il principio di uguaglianza di tutti gli Stati membri.Secondo, in tema di diritti umani, l’Italia ha co-facilitato insieme all’Argentina la Risoluzione per una moratoria sull’uso della pena di morte, come primo passo verso la sua abolizione, approvata con un record di 130 voti favorevoli. Abbiamo inoltre celebrato per la prima volta la Giornata Internazionale contro la Criminalità Organizzata Transnazionale, istituita con una risoluzione promossa dall’Italia e da un gruppo di Paesi interregionali.Terzo, sullo sviluppo sostenibile, vorrei ricordare il ruolo dell’Italia come Vicepresidente della 4ª Conferenza sui PICs (Piccoli Stati Insulari in via di Sviluppo), anch’essa co-finanziata dall’Italia, che ha adottato un nuovo Piano d’Azione storico per lo sviluppo dei PICs nei prossimi dieci anni. Inoltre, lo scorso giugno, l’Italia è stata eletta membro dell’ECOSOC per il triennio 2025-2027, risultando il Paese più votato del Gruppo Occidentale in questa tornata elettorale.L’impegno dell’Italia con le Nazioni Unite – ha illustrato Massari – si è manifestato anche attraverso la sua presidenza del G7, volta a rafforzare il partnerariato con i Paesi africani – anche nel quadro del Piano Mattei dell’Italia – e a migliorare il finanziamento per lo sviluppo, la protezione dei diritti delle donne e delle persone con disabilità, oltre a sfruttare l’intelligenza artificiale come motore per lo sviluppo sostenibile. La presidenza italiana del G7 è stata una delle più inclusive mai realizzate, con l’invito esteso a molti Paesi africani e non solo, a diverse istituzioni finanziarie e a numerose entità e rappresentanti delle Nazioni Unite, incluso il Segretario Generale.L’Italia è entrata a far parte delle Nazioni Unite il 14 dicembre 1955 dopo un lungo processo diplomatico in cui l’ammissione fu inizialmente ostacolata dalla contrapposizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica durante la Guerra Fredda. L’ingresso avvenne insieme ad altri 15 Paesi, segnando un’importante tappa per il reinserimento dell’Italia nella comunità internazionale dopo la Seconda Guerra Mondiale. (@OnuItalia)Il Nuovo Mondo ha in comune con Roma quello che per primo un giornalista, John L. O’Sullivan, nel 1845 definì il “destino manifesto”. Per i romani, il potere era assegnato dal cielo: a loro spettava il governo del mondo. Scrive Virgilio: «C’è chi è chiamato a erigere statue di bronzo o a trarre volti viventi dal marmo, chi a fare bei discorsi o a rivelare i segreti celesti; ma a te, romano, spetta l’arte di regnare; tu devi concedere la pace ai vinti, tu devi debellare i superbi».Il potere di Roma si esercitava prima sulle persone che sui territori. La principale preoccupazione era sottomettere i re stranieri e stringere con loro un patto di alleanza, senza aver necessità di truppe d’occupazione. Non bisogna pensare che le truppe romane presidiassero le frontiere: non avrebbero mai potuto tenere oltre 6400 chilometri. Ai confini Roma poteva contare su un sistema di regni satelliti, dalla Mauritania alla Tracia, dalla Cappadocia all’Armenia, dal Ponto alla Giudea, fino all’Arabia Nabatea, che oggi si chiama Giordania. A volte questi regni venivano annessi, a volte restavano formalmente indipendenti. Più oltre c’erano Stati o tribù legati a Roma da un rapporto di clientela, che dovevano fornire soldati all’impero, ma spesso ricevevano sussidi. Le legioni non erano schierate ai confini, ma tenute pronte a intervenire in caso di invasioni o di rivolte; e spesso erano rafforzate da ausiliari locali. Un potenziale militare che diventava anche un’efficace arma diplomatica. È esattamente la stessa strategia con cui si è espanso nel Novecento l’impero americano, stringendo vari accordi con vari Stati: alleati in posizione subordinata dall’America Latina all’Europa; altri convinti o costretti ad accogliere basi e soldati americani, dalle Filippine alla ribelle Cuba. I nemici sconfitti – come la Germania, l’Italia, il Giappone – entrano a far parte della sfera di sicurezza e di difesa garantita dagli Stati Uniti. Gli alleati forniscono truppe a Washington, proprio come le fornivano a Roma; ma sovente ricevono aiuti, e approfittano dei vantaggi che offre il legame con la prima potenza mondiale. E, come Roma, l’America coltiva il potere sulle anime, grazie alla lingua, all’arte, alla tecnologia. Compresa l’arte per eccellenza del Novecento: il cinema. E la tecnologia più rivoluzionaria del nostro tempo: il digitale.

Paolo Iafrate

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