Dopo Biden, che rinuncia alla rielezione, la candidata per la Casa Bianca è la vice presidente Kamala Harris

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Con la decisione di Joe Biden di rinunciare alla rielezione  e l’endorsement dato a Kamala Harris, la vice presidente democratica è di fatto la front runner a diventare la nuova candidata alla Casa Bianca. Ma il passaggio di testimone non è automatico, dal momento che la decisione sofferta dell’81enne presidente di fatto ha aperto la strada ad una ‘open convention’, cioè una convention che il 19 agosto prossimo a Chicago si aprirà senza il candidato già prescelto nelle primarie. Ed altri democratici potranno contendersi con Harris il voto dei delegati. Bisogna comunque ricordare che i delegati non solo sono stati eletti in quota Biden ma sono stati anche selezionati dalla sua campagna. Quindi per avere una maggioranza di delegati che scelga un candidato diverso da Harris ci dovrebbe essere un massiccio numero di defezioni da parte dei supporter di Biden. In teoria comunque secondo le regole del partito democratico i delegati eletti per Biden non hanno nessun obbligo di appoggiare il successore da lui indicato.

Bisogna poi considerare un altro gruppo di delegati, i cosiddetti ‘super delegati’, circa 700 leader del partito e funzionari eletti che diventano autonomamente delegati. Loro hanno maggiore libertà di voto – solitamente possono partecipare solo dalla seconda chiamata – ma non è ancora chiaro se in questa convention senza precedenti si seguiranno altre regole, diciamo di emergenza.

“Pioneer”. Questo il nome in codice che Kamala Harris aveva scelto per il Secret Service, che ha incominciato a proteggerla durante la campagna elettorale per la vice presidenza Usa. E la sua vocazione di pioniera, dopo averla dimostrata come prima vice presidente donna alla Casa Bianca, l’ha confermato come prima candidata donna alla presidenza americana. In precedenza, è stata la prima donna di colore eletta procuratore distrettuale della California, poi prima donna attorney general, prima senatrice di origine indiana ed ora ad un passo dal diventare la prima donna presidente degli Stati Uniti. 

Kamala Devi Harris è nata il 20 ottobre 1964, a Oakland, in California. Sua madre, Shyamala Gopalan, era un’oncologa specializzata nel cancro al seno, emigrata dal Tamil Nadu (India) nel 1960 per conseguire un dottorato in endocrinologia  presso UC Berkeley.  Suo padre, Donald J. Harris, è professore emerito di economia presso la Stanford University, anche lui emigrato dalla Colonia della Giamaica nel 1961 per laurearsi in economia alla U.C. Berkeley. In un articolo del 2018 in Jamaica Global, Donald Harris affermò di essere discendente dello schiavista Hamilton Brown. Avendo origini indiane tamil  e giamaicane, Kamala Harris si definisce semplicemente “americana”.

Harris crebbe a Berkeley (California) assieme alla sorella minore Maya Harris.  Frequentò sia una chiesa battista per neri sia un tempio induista, e talora con la sorella faceva visita alla famiglia materna a Madras (oggi Chennai) (India). Per questo motivo, Harris scrive nella sua biografia di capire qualche parola di lingua tamil.   Gopalan insistette per dare alle figlie nomi associati alla cultura indiana per cercare di preservare la loro identità indiana; Kamala fu chiamata “Kamala Devi” per motivi religiosi, poiché sono entrambe parole derivate dalla mitologia induista. “Kamala” in sanscrito significa “loto” ed è un nome alternativo della dea Lakshmi, spesso rappresentata con tale fiore; “Devi” in sanscrito significa “dea” ed è pure il nome della divinità femminile che protegge i villaggi.

Harris iniziò la scuola dell’infanzia  nel secondo anno, per la scuola di Berkeley, del programma di desegregation busing, che sfruttava il servizio di scuolabus per mitigare gli ostacoli razziali nelle scuole pubbliche della città; un autobus la accompagnava in una scuola che, due anni prima, aveva il 95% di alunni bianchi. I suoi genitori divorziarono quando lei aveva sette anni; ha detto che quando con sua sorella si trovavano dal papà a Palo Alto nei weekend, i bambini dei vicini non potevano giocare con loro perché erano nere. Quando aveva 12 anni, Harris e sua sorella si trasferirono con la madre a Montreal (Canada), dove la madre era diventata ricercatrice presso il Jewish General Hospital e insegnante presso la McGill University.  Kamala frequentò la Westmount High School a Westmount, diplomandosi nel 1981.

Della vice Bide, negli anni, si ricordano soprattutto le clamorose gaffe fatte pubblicamente, da quelle verbali, come quando confuse “population” con “pollution” (inquinamento) trasformando in maniera surreale il senso della frase che stava pronunciando. “Quando investiremo in energia pulita e in veicoli elettrici e ridurremo la popolazione sempre più i nostri figli potranno respirare aria pura e bere acqua pulita”. La Harris fu anche al centro di una polemica per aver indossato dei pantaloni Dolce & Gabbana da 900 dollari durante un comizio in cui parlava di povertà, ma i suoi scivoloni sono legati soprattutto alla sua tendenza a ridere in momenti poco opportuni. Come quando, a una domanda sulla tragedia del’Afghanistan, all’aeroporto di Singapore, dove era in visita per incontrare il primo ministro Lee Hsien Loong, sulla domanda sulla questione della frepressione afghana, interruppe la cronista. “No, un momento, aspetta, rallenta”, e scoppiò a ridere fragorosamente. Durante una conferenza stampa  congiunta ll presidente polacco Andrzej Duda Varsavia, in Polonia, la vicepresidente degli Stati Uniti non riuscì a trattenere le risate alla domanda di una cronista se l’America accoglierà profughi ucraini.

Dopo le scuole superiori a Montreal, dove la madre aveva avuto un posto all’università, Kamala si laurea prima alla Howard University, il prestigioso Black college di Washington, e poi torna a San Francisco per la Law School. Nel 1990 diventa avvocato ed entra nell’ufficio del procuratore di Oakland, concentrandosi sui crimini sessuali. A chi, anche all’interno della sua famiglia liberal, esprime scetticismo sulla sua scelta indicando la cattiva reputazione dei procuratori, replica che intende cambiare il sistema dall’interno.

Negli anni trascorsi nell’ufficio del procuratore Harris si crea i contatti con gli ambienti politici e ricchi di San Francisco che nel 2003 appoggeranno l’avvio della sua formidabile carriera politica. Durante i suoi primi tre anni come procuratore distrettuale il tasso delle condanne sale dal 52 al 67%, numeri che le hanno dato l’etichetta di procuratrice di ferro e che le hanno fatto guadagnare critiche e sospetti da parte del movimento Black Lives Matter.

Diventata poi attorney general, Harris diventa poi alleata della prima ora di Barack Obama ed una dei suoi fund raiser in California. E il presidente nel 2013 la definisce “il procuratore generale più affascinante del Paese”, scusandosi poi per il tono sessista.

Anche alcune azioni di Harris come attorney general sono messe sotto accusa dal movimento di protesta contro la polizia: in particolare il fatto di non aver avviato un’inchiesta sull’uccisione di due afroamericani nel 2014 e 2015 e non aver sostenuto un progetto di legge per la nomina di un procuratore speciale per i casi di uso eccessivo della forza da parte della polizia. Nel 2014 si sposa con Doug Emhoff, un avvocato degli studios di Hollywood, che ha due figli adolescenti da un precedente matrimonio che ora la chiamano Momala. Nelle elezioni del 2016, quelle della vittoria di Donald Trump, vince il suo seggio al Senato e la Harris diventa famosa a livello nazionale nel 2017 quando, da esperta procuratrice, mette alle corde l’allora ministro della Giustizia, Jeff Sessions, all’esordio dell’inchiesta del Russiagate.

“Potresti essere la prima. Ma assicurati intanto di non essere l’ultima”. Lo slogan che ama ripetere Kamala Harris è una frase che le ripeteva sua madre da bambina. Candidata democratica per le presidenziali dopo il passo indietro di Biden, e possibile prima presidente Usa donna di origine asiatica e afroamericana, in caso di vittoria su Donald J. Trump il prossimo 5 novembre nella corsa per la conquista per la Casa Bianca.

Non ama essere definita “la Barack Obama donna”, semplificazione inevitabile quando si parla di lei, nonostante l’amicizia di lunga data con il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti, che risale alla sua candidatura al Senato nel 2004.

Kamala Devi è un’avvocatessa e politica statunitense, 49º vicepresidente degli Stati Uniti d’America dal 20 gennaio 2021.

Nel 2016 si candida alle elezioni per il Senato per succedere a Barbara Boxer che aveva annunciato il suo ritiro dopo 24 anni come senatrice. Il 7 giugno risulta nettamente la più votata nelle cosiddette jungle primaries della California a cui partecipano i candidati di tutti i partiti e che ammettono i due candidati più votati alle elezioni generali di novembre. L’8 novembre sconfigge l’altra democratica Loretta Sanchez con il 62,5% dei voti, nelle prime elezioni senatoriali della storia della California a cui non partecipano candidati repubblicani, diventando la prima afro-asioamericana ad essere eletta al Senato.

Essendo stata formalmente eletta come Vicepresidente degli Stati Uniti dal Congresso, Kamala Harris rassegna le sue dimissioni da Senatrice per la California il 18 gennaio 2021, il suo seggio viene assegnato ad Alex Padilla dal Governatore dello Stato della California.

La Harris era sempre stata considerata una candidata di prim’ordine e una potenziale vincitrice nel processo di nomination democratica per le presidenziali 2020. Nel giugno 2018 si disse che lei “non lo escludeva”. Nel luglio 2018 si annunciò che avrebbe pubblicato un’autobiografia, un indizio del fatto che volesse “scendere in campo”. Il 21 gennaio 2019 la Harris annuncia la sua candidatura per le primarie democratiche in vista delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 2020, raccogliendo nelle successive 24 ore la somma di 1,5 milioni di dollari e superando il record stabilito da Bernie Sanders nel 2016. Il 27 gennaio più di 20.000 persone hanno partecipato all’evento per il lancio ufficiale della candidatura alla Frank Ogawa Plaza nella sua città natale di Oakland, in California.

Nel primo dibattito presidenziale dei democratici nel giugno 2019, la Harris biasimò l’ex vicepresidente Joe Biden per le sue dichiarazioni “offensive”, in riferimento alle sue manifestazioni di simpatia nei confronti di senatori che avevano ostacolato l’integrazione razziale negli anni 1970 e alla sua collaborazione con gli stessi nell’opporsi all’uso obbligatorio degli scuolabus. Il consenso riscosso dalla Harris crebbe nei sondaggi tra sei e nove punti in seguito a quel dibattito. Nel secondo dibattito in agosto la Harris fu criticata da Biden e dalla parlamentare Tulsi Gabbard per i suoi risultati in veste di procuratrice generale. Il San Jose Mercury News giudicò che alcune accuse di Gabbard e Biden coglievano nel segno — come l’aver bloccato il test del DNA di un recluso nel braccio della morte — mentre altre non superavano il vaglio. Subito dopo il secondo dibattito, la Harris crollò nei sondaggi. Nei cinque mesi successivi i suoi valori di sondaggio scesero alla cifra singola. In un momento in cui i liberal erano sempre più preoccupati degli eccessi nel sistema penale americano, la Harris subì critiche dai riformisti per la politica di durezza verso il crimine che aveva perseguito da procuratore generale della California. Per esempio, nel 2014 aveva fatto appello per chiedere la pena di morte per un condannato.

Considerata per alcuni mesi una promettente candidata, la sua caduta nei sondaggi d’opinione e una raccolta fondi fallimentare, incapace di coprire le spese da sostenere nelle primarie, costringono la senatrice a ritirare la propria candidatura presidenziale il 3 dicembre 2019.

Nel marzo 2020 diede il suo appoggio a Joe Biden, risultando una delle possibili scelte di Biden come candidata Vicepresidente.

Nel maggio 2019 i principali esponenti del Congressional Black Caucus approvarono l’idea di un ticket Biden—Harris. A fine febbraio Biden vinse plebiscitariamente le primarie dem per le presidenziali 2020 nella Carolina del Sud con l’appoggio del capogruppo alla Camera Jim Clyburn, e altri successi nel Super Tuesday. Ai primi di marzo Clyburn suggerì a Biden di scegliere come vice nel proprio ticket una donna nera, osservando che “le donne afroamericane devono essere ricompensate per la loro lealtà” In marzo Biden prese l’impegno di scegliere una donna come compagna di avventura elettorale.

Il 17 aprile 2020 la Harris replicò alle congetture giornalistiche dicendo che “sarebbe stata onorata” di “correre” con Biden. A fine maggio, in relazione alla morte di George Floyd e alle conseguenti proteste, Biden ricevette ulteriori inviti a scegliersi come ipotetica vice una donna nera, ponendo in rilievo le credenziali “legge e ordine” della Harris e Val Demings.

Il 12 giugno, The New York Times riferì che la Harris stava emergendo come favorita per affiancare Biden, essendo l’unica politica afroamericana di sesso femminile dotata dell’esperienza tipicamente richiesta a un vicepresidente. Il 26 giugno la CNN riferì che una dozzina abbondante di persone vicine al processo di ricerca di Biden consideravano la Harris una delle prime quattro concorrenti di Biden, assieme a Elizabeth Warren, Val Demings, e Keisha Lance Bottoms. L’11 agosto 2020 il candidato democratico alla presidenza ha ufficializzato la scelta di Kamala Harris come candidata alla vicepresidenza È la prima asioamericana ad essere scelta come compagna di corsa del candidato alla presidenza di un partito primario.

A seguito dell’elezione di Joe Biden a Presidente degli Stati Uniti, la Harris è stata la prima donna e la prima persona afroamericana e asioamericana ad assumere l’incarico di vice presidente degli Stati Uniti il 20 gennaio 2021, succedendo a Mike Pence.

Il 12 agosto 2020 è stata scelta dal candidato democratico Joe Biden come candidata vicepresidente in vista delle elezioni presidenziali, in cui ha prevalso il partito Democratico, rendendola la prima vicepresidente donna e la prima vicepresidente asio-americana della storia degli Stati Uniti d’America.

Nel dicembre 2020 il settimanale statunitense Time l’ha prescelta quale «persona dell’anno» insieme al presidente eletto Joe Biden.

Il 19 novembre 2021 diventa la prima donna a esercitare le funzioni di presidente degli Stati Uniti, sostituendo temporaneamente Biden mentre veniva sottoposto all’anestesia per una colonscopia.

La nomination di Harris, che nei sondaggi non ottiene risultati sensibilmente diversi rispetto a Biden, non è automatica.Il partito può scegliere un’altra figura, magari un governatore, e in ogni caso la nomination diventerebbe ufficiale solo con la convention.

In quella sede, il voto dei delegati potrebbe premiare un altro nome. L’ipotesi di una convention ‘aperta’, senza una chiara indicazione, sarebbe una situazione rara ma non unica: si è già verificata nel 1968. Ovviamente, questa ipotesi impegnerebbe il partito in una contesta interna che rischierebbe di pesare sul voto di novembre.

Biden ha espresso un endorsement immediato per Harris, ma la posizione del presidente non incide in maniera decisiva sulla nomination. Il Comintato nazionale democratico potrebbe avviare una procedura all’inizio di agosto per indicare il ticket e arrivare quindi con due nomi a disposizione della convention, in programma dal 19 agosto. Non si può escludere, però, che in quella sede vadano in scena delle reali ‘primarie’.

L’uscita di scena di Biden prima della nomination incide anche sulla gestione dei fondi raccolti sinora dal presidente. Secondo il Washington Post, che cita pareri di legali e funzionari. Biden potrebbe cedere il controllo delle risorse a Harris, visto che il nome della vicepresidente compare nei documenti consegnati alla Commissione elettorale federale. Dall’area repubblicana, però, questa ipotesi viene definita puramente teorica: secondo Charlie Spies, un legale di primo piano, servirebbe una nomination formale prima di procedere al passaggio di consegne nella gestione dei finanziamenti. Il partito democratico, inoltre, potrebbe scegliere un candidato diverso da Harris. In quel caso, la campagna di Biden potrebbe trasferire i fondi al Comitato nazionale democratico o ad un ‘super comitato’ che intende sostenere il nuovo ticket per la Casa Bianca.

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