‘Altro che effetto-dazi di Trump. Fra crescita anemica e minacce dei dazi Usa le ultime settimane hanno fornito un duro promemoria sulle vulnerabilità dell’Europa considerando la dipendenza dalla domanda estera’, è il commento dell’ex premier italiano e presidente della Bce Mario Draghi pubblicato sul Financial Times dal titolo “L’Europa ha posto con successo i dazi su se stessa“.
“L’eurozona – scrive Draghi – è cresciuta a malapena alla fine dell’anno scorso, sottolineando la fragilità della ripresa interna. E gli Stati Uniti hanno iniziato a imporre tariffe sui loro principali partner commerciali, con l’Ue prossima nel mirino. Questa prospettiva getta ulteriore incertezza sulla crescita europea data la dipendenza dell’economia dalla domanda estera”.
Nell’Unione europea, ha avvertito il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, i dazi si faranno sentire soprattutto in Italia e in Germania. Ma l’Europa deve fare mea culpa, dice Draghi
Draghi lamenta come le normative Ue abbiano “ostacolato la crescita delle aziende tecnologiche europee impedendo all’economia di liberare grandi benefici in termini di produttività”. Un esempio, sono “i costi per conformarsi al Gdpr che si stima abbiano ridotto i profitti delle piccole aziende tecnologiche europee fino al 12%” ha scritto Draghi facendo riferimento al Regolamento generale per la protezione dei dati personali, la principale la normativa europea in materia di protezione dei dati personali.
“Un uso più proattivo della politica fiscale, sotto forma di maggiori investimenti produttivi, contribuirebbe a ridurre i surplus commerciali e invierebbe un forte segnale alle aziende affinché investano di più in ricerca e sviluppo”, afferma Draghi, esortando “un cambiamento fondamentale di mentalità”: “Finora, l’Europa si è concentrata su obiettivi singoli o nazionali senza calcolarne il costo collettivo”.
L’ “incapacità di ridurre le barriere interne ha portato a “una dipendenza dell’Europa dal commercio che oggi in termini di Pil pesa il 55% nella zona euro, mentre in Cina è al 37% e negli Stati Uniti solo al 25%.
“La conservazione del denaro pubblico ha sostenuto l’obiettivo della sostenibilità del debito. La diffusione della regolamentazione è stata progettata “per proteggere i cittadini dai rischi delle nuove tecnologie. Le barriere interne sono un retaggio di tempi in cui lo stato nazionale era la cornice naturale per l’azione. Ma ora è chiaro che agire in questo modo non ha portato né benessere agli europei, né finanze pubbliche sane, né tantomeno autonomia nazionale, che è minacciata dalle pressioni dall’estero. Ecco perché è necessario un cambiamento radicale“.
«Basta leggere un europeista convinto come Draghi, che ha scritto una cosa molto vera: l’Europa in qualche modo i dazi se li è messa da sola, e ora per uscirne deve concentrarsi su problemi che si è creata essa stessa»: lo dice, intervistato dal ‘Corriere della Sera’, il ministro per gli Affari Europei e l’attuazione del Pnrr, Tommaso Foti.
«Per esempio, l’automotive è uno dei temi che lasciano pochi dubbi, visto che è un settore in cui l’Europa è leader e ha 14 milioni di lavoratori coinvolti. Qualche riflessione, una presa di coscienza su un mondo che sta cambiando, sulla intelligenza artificiale, sulle nuove tecnologie, sulla ricerca, bisogna farla prima che sia troppo tardi», dice ancora l’esponente di FdI. Quindi, spiega Foti al Corriere, «l’Europa sa che dovrà trattare. Solo in Italia l’opposizione pensa di dover praticare o suggerire politiche che non pratica quando è in maggioranza…».
Foti: le spese della Difesa vanno detratte dal Pnrr
Secondo Foti, «l’Europa sa benissimo che deve riposizionarsi su molte questioni – aggiunge Foti -. La nostra competitività oggi è fortemente a rischio, non si devono più fare interventi sparsi in mille rivoli, ma trasformare i nostri Paesi in una potenza economica e politica che deve essere più chiara ed evidente».