Elezioni americane 2024, tra grandi elettori e collegi elettorali, il 5 novembre saranno scelti Presidente e vicepresidente degli Stati Uniti d’America

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Con le elezioni presidenziali americane il 5 novembre prossimo gli elettori  dovranno scegliere non solo il prossimo presidente degli Stati Uniti, ma anche i nuovi membri del Congresso. Si voterà per tutti i 435 seggi della Camera dei rappresentanti, mentre per quanto riguarda il Senato, sono in palio solo 33 dei 100 seggi (ogni Stato ha due senatori che vengono eletti per un mandato di sei anni e ogni due anni un terzo del Senato viene rieletto). Attualmente, i Democratici sono al comando del Senato e i Repubblicani controllano la Camera.

Il Collegio elettorale è un organo di elettori istituito dalla Costituzione degli Stati Uniti, incaricato di eleggere formalmente il presidente e il vicepresidente. Infatti, negli Stati Uniti, presidente e vicepresidente sono eletti dal Collegio elettorale invece che da un voto popolare diretto.

Il collegio elettorale statunitense è formato da un gruppo di grandi elettori (“electors” in inglese) che rappresentano ciascuno dei 50 stati Usa e votano per il presidente. Ad ogni Stato viene assegnato un numero di grandi elettori in base alla popolazione.

Il Collegio elettorale è composto da 538 elettori scelti da ogni Stato, al quale viene assegnato un numero di elettori pari al numero totale dei suoi Senatori e dei Rappresentanti al Congresso degli Stati Uniti. Ad esempio, la California, essendo lo stato più popoloso, ha 55 elettori, mentre stati più piccoli come il Wyoming hanno 3 elettori (2 Senatori + 1 Rappresentante). Il processo di selezione degli elettori varia da stato a stato, ma in genere sono scelti dai partiti politici e spesso sono fedeli al partito.

Il giorno delle elezioni (5 novembre), quando gli elettori votano per il presidente e il vicepresidente, in realtà votano per una lista di elettori scelti dal partito politico dei rispettivi candidati. In breve, stanno dicendo al loro stato per quale candidato vogliono che si voti alla riunione degli elettori. In tutti gli stati, ad eccezione del Maine e del Nebraska, il candidato che vince il voto popolare riceve tutti i voti elettorali. Questo sistema viene spesso definito “winner-takes-all”.

Nel 2016 Hillary Clinton vinse il voto popolare, ma non quello dei grandi elettori, e così vinse Trump.

I critici del Collegio elettorale sottolineano che può portare a situazioni in cui un candidato vince il voto popolare a livello nazionale ma perde il voto elettorale, come è accaduto nelle elezioni del 1876, 1888, 2000 e 2016.

Durante le convention nazionali, i delegati selezionati durante le primarie e i caucus “per rappresentare il popolo” appoggiano i loro candidati preferiti. In parole povere, i delegati statali si recano alla convention nazionale per confermare la loro scelta di candidati. Il candidato presidenziale definitivo di ciascun partito viene annunciato ufficialmente al termine delle convention. È proprio in questa occasione che il candidato presidenziale sceglie anche chi vuole al suo fianco, il cosiddetto “running mate”, cioè il candidato alla vicepresidenza.

Gli elettori si riuniscono nei rispettivi stati il 17 dicembre dopo le elezioni generali per votare per il presidente e il vicepresidente. Questi voti vengono poi inviati al Congresso. Il 6 gennaio, i voti vengono contati durante una sessione congiunta del Congresso. Il candidato che riceve la maggioranza assoluta dei voti elettorali (270 su 538) diventa il presidente eletto. Se nessun candidato ottiene la maggioranza, la Camera dei rappresentanti sceglie il presidente tra i primi tre candidati e ogni delegazione statale ha un voto.

Entrambi i candidati competono per ottenere i voti del Collegio elettorale. Ogni stato ha un certo numero di voti del Collegio elettorale (in parte in base alla popolazione) e ci sono in totale 538 voti in palio, quindi il vincitore è il candidato che ne ottiene 270 o più. Ciò significa che gli elettori decidono a livello statale piuttosto che a livello nazionale, motivo per cui è possibile che un candidato vinca il maggior numero di voti a livello nazionale – come ha fatto Hillary Clinton nel 2016 – ma venga comunque sconfitto dal Collegio elettorale. In tutti gli Stati, tranne due, vige la regola del “winner-takes-all” (Maine e Nebraska), per cui il candidato che ottiene il maggior numero di voti si aggiudica tutti i voti del collegio elettorale dello stato.

In sintesi, mentre i delegati svolgono un ruolo nella nomina del candidato presidenziale di un partito alla convention nazionale, il Collegio elettorale è responsabile dell’elezione formale del presidente e del vicepresidente degli Stati Uniti in base all’esito delle elezioni generali.

Nel sistema politico degli Stati Uniti d’America, uno swing state (Stato in bilico, o altalenante), anche detto battleground state (Stato in disputa, o conteso), purple state (Stato viola), o anche Stato chiave e Stato indeciso, è uno Stato federato nel quale nessun candidato o partito ha un sostegno storico tale da assicurare i punti dello Stato stesso nel collegio elettorale. Tali Stati sono oggetto di attenzione di entrambi i principali partiti delle elezioni, dato che vincere in questi Stati è la migliore opportunità per un partito di ottenere i voti del collegio. I non-swing states, gli Stati non in bilico, sono talvolta chiamati safe states, Stati sicuri, dato che un candidato gode di un supporto sufficiente tale da poterlo considerare già vincitore nello Stato. Gli Stati in bilico nel 2024 sono Michigan, Georgia, Arizona, Pennsylvania, Wisconsin, Nevada e North Carolina. Gli swing states, come detto,  noti anche come “battleground states”, sono stati che potrebbero supportare sia candidati democratici che repubblicani. Poiché possono essere potenzialmente vinti da entrambi i candidati, i partiti politici spesso investono maggior tempo e denaro per la campagna elettorale in questi stati.

Negli Stati Uniti del 2024, la vicepresidente Kamala Harris è in vantaggio rispetto all’ex presidente Donald Trump in tre stati in bilico nella corsa alla Casa Bianca. Secondo l’ultimo sondaggio pubblicato dal New York Times in collaborazione con il Siena College, Harris è avanti rispetto a Trump nei seguenti stati:

Michigan

Pennsylvania

Wisconsin

Tuttavia, è importante notare che questo vantaggio rientra nel margine di errore del sondaggio. Harris dovrà continuare a generare entusiasmo, soprattutto negli stati chiave, per mantenere questa posizione. La campagna di Trump ha dichiarato che i risultati sono “truccati”, ma non ha fornito prove in tal senso.

I due candidati alla Casa Bianca non potrebbero essere più distanti in questa fase della corsa e non solo per i loro programmi. Mentre la vice presidente continua a inanellare sondaggi positivi,  il tycoon sta vivendo il momento più difficile della sua campagna ed è spiazzato dal successo della rivale.

Dopo aver ridato slancio alla campagna dei democratici la numero due di Joe Biden sta guadagnando terreno sull’avversario repubblicano. Secondo un sondaggio del New York Times/Siena College, sarebbe addirittura in vantaggio su tre Stati in bilico – Wisconsin, Pennsylvania e Michigan, dopo che per un anno Biden e Trump erano stati dati testa a testa.

Certo, è troppo presto per stabilire se la scia positiva della vicepresidente durerà fino al 5 novembre e si tradurrà in una vittoria o se sia solo frutto dell’entusiasmo del momento, tanto più che molti dei sondaggi sono stati effettuati dopo la nomina di Tim Walz e tradizionalmente i candidati guadagnano punti nei giorni successivi all’annuncio del loro numero due. Sul fronte opposto è sempre il New York Times a riferire delle “tre settimane peggiori” della campagna di Trump. Da quando Harris è scesa in campo, il tycoon sarebbe di “pessimo umore” e “confuso” sulla strategia da adottare per attaccarla. Nonostante pubblicamente insista sul fatto che preferisca sfidare Harris piuttosto che Biden, le persone vicine al tycoon rivelano che non è così e che, mentre prima era avviato ad una facile vittoria, adesso deve guadagnarsela. In più, per la prima volta nella sua carriera politica, la sua avversaria ha avuto una copertura mediatica più ampia di lui, battendolo nella gara dei cosiddetti “media guadagnati”, ovvero quella copertura che non costa nulla alla campagna ma porta voti.

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