Energie Rinnovabili e Green Deal tra evidenze scientifiche e contesti nazionali differenti tra i 27 Paesi europei

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Le commissioni Ambiente e Attività Produttive della Camera dei deputati, come noto,  si stanno preparando ad esprimere un parere sul testo unico per le energie rinnovabili, un documento che accompagnerà il provvedimento fino alla definitiva approvazione in Consiglio dei ministri e a cui il governo sarà tenuto a dare attenzione.

L’obiettivo del testo unico è chiaro: velocizzare la diffusione delle fonti energetiche rinnovabili (Fer), in linea con il target europeo “Fit for 55” che prevede un incremento di 80 Gw di capacità installata entro il 2030. Tuttavia, questo obiettivo, ambizioso e necessario per la transizione energetica, impone nuove sfide legate alla sostenibilità territoriale. Il provvedimento velocizza e semplifica i processi autorizzativi per i nuovi impianti, nonché il “revamping” e il “repowering” degli impianti esistenti.

Questa seconda ipotesi, allunga il ciclo di vita di tali infrastrutture e il loro impatto sui territori. È fondamentale dunque che la semplificazione non comprometta le legittime esigenze di tutela paesaggistica, di promozione del turismo e della salute delle comunità locali.

Per armonizzare il potenziamento delle Fer con la protezione del territorio, sarà fondamentale coinvolgere in modo incisivo i Comuni, le Regioni e il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase), i quali dovranno esprimersi sulla compatibilità degli impianti.

Oltre alla crescita delle Fer, la nostra Nazione deve considerare la grande domanda energetica generata dalla digitalizzazione. La transizione digitale, con il crescente impiego di tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale, sta spingendo la domanda energetica a nuovi livelli.

La sfida è doppia: rendere sostenibile il modello di sviluppo energetico e, al contempo, garantire che la digitalizzazione non comprometta il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione. Per l’Italia, si tratta di adottare un mix energetico equilibrato e puntare su una neutralità tecnologica capace di rispondere sia alle necessità energetiche delle Fer sia a quelle della digitalizzazione.

La neutralità climatica entro il 2050 sembra sempre più un’utopia e il Green deal europeo un sogno che si scontra con una realtà complessa, dalle mille sfaccettature. Esperti, rappresentanti del governo e delle istituzioni, imprenditori e manager hanno cercato di rispondere alle domande più urgenti su come gli Stati stanno elaborando le strategie politiche adeguate per una vera attuazione del Green deal e su come il mercato e il mondo delle imprese si stanno adoperando per dare un contributo concreto nel contrasto al cambiamento climatico. Ma i conti non tornano e, soprattutto, il percorso non è univoco e coerente.

La necessità di un Green Deal all’insegna del pragmatismo

In Europa non c’è più posto per approcci che non tangono conto di evidenze scientifiche e contesti nazionali. Non c’è più posto in Europa per approcci che non tengano conto di quelle che sono le evidenze scientifiche e di contesti nazionali differenti tra i 27 Paesi europei. Credo che su questa linea si possa lavorare nel nuovo Parlamento, nella Commissione e nei Consiglio europei. Come già fatto al G7 clima, energia e ambiente così a Cop29, che si apre tra pochi giorni, porteremo con responsabilità la voce del sistema Paese espressione di valore e di eccellenza”.

Urso spiega che “in questa fase, sul settore automotive, insieme alla Repubblica Ceca, il nostro Paese si è fatto promotore di un non paper che sarà presto discusso in Commissione al fine di riesaminare le modalità che porteranno allo stop ai motori endotermici nel 2035. La transizione deve esserci, ma occorrono le condizioni per raggiungerla. Il processo va sostenuto con una forte immissione di risorse pubbliche a oggi fuori dalla portata dei bilanci pubblici non solo dell’Italia, ma di tutti i Paesi europei. Non solo: serve un approccio basato su evidenze empiriche e non su posizioni ideologiche, che guardi con favore alla neutralità tecnologica e all’inserimento dei biocarburanti tra le modalità per raggiungere l’abbattimento di Co2. Per questo chiediamo di anticipare alla prima metà del prossimo anno il Rapporto di valutazione previsto per fine 2026”. Il governo – ha concluso il ministro delle Imprese – è consapevole che l’obiettivo della decarbonizzazione non può essere messo in discussione, ma occorre un confronto aperto su quale sia la modalità corretta per raggiungerlo.

Enrico Giovannini, direttore scientifico Asvis, quando ha parlato dell’Agenda 2030 e degli obiettivi da raggiungere, ha sottolineato che “permane ancora un approccio ideologico al Green Deal, contrariamente alla realtà, ovvero un Piano immaginato come un programma di sviluppo economico dell’Europa e non come un programma meramente ambientalista. Per andare a negoziare a Cop29 e Cop16, il documento approvato dal Consiglio, e quindi dai governi, è: ‘massime ambizioni, dal Green Deal non si torna indietro, gli altri Paesi devono muoversi molto di più’. Cosa bisognerà fare? Il Clean Industrial Act perché – ha sottolineato – gli altri Paesi del mondo che vanno in questa direzione oltre a regolare ci mettono anche i soldi. Bisogna accompagnare molto di più la transizione del settore industriale”.

Non va trascurato anche un ulteriore dato oggettivo, ovvero che la cronaca recente ha registrato la forte contrarietà di una parte dell’industria automotive e le proteste dei lavoratori verso alcune delle proposte di strategie e piani industriali che vorrebbero “forzare” il percorso verso la neutralità climatica, a discapito del mercato e di meccanismi economici ormai strutturati. Insomma, un segnale chiaro di quanto la visione ottimistica europea non corrisponda pienamente alle singole realtà nazionali, sia a livello politico sia a livello industriale. E una conferma, seppure non con valore statistico, arriva anche da una rilevazione effettuata che ci dice che per il 65% il Green deal europeo andrebbe eliminato, per il 23% migliorato e solo per il 12% è una priorità. Dati rafforzati dalla percezione, secondo il 75% degli utenti intervistati, che così come viene realizzata la transizione danneggia l’economia (75%). Infatti, sono pochi che esprimono un parere positivo sull’acquisto delle auto elettriche a causa del prezzo ancora elevato (46%) e della carenza di colonnine per la ricarica (38%).

La discussione è aperta e il Piano avrà bisogno dei necessari aggiustamenti. In questo processo non si può non tener conto delle peculiarità politiche, economiche e sociali degli Stati membri e delle diverse velocità con le quali raggiungeranno l’obiettivo. Giocoforza, un percorso univoco e inclusivo per tutti presuppone un approccio differenziato e intersettoriale.

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