Eurispes: l’elemento religioso negli immigrati di fede islamica nella città di Napoli e la sua incidenza sulla loro integrazione sociale e culturale

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L’Islam ha rappresentato e rappresenta tuttora l’elemento connettivo di una vasta comunità di individui, il legame di riti e tradizioni comuni che segna di sé (al di là della frammentazione in tanti Stati, lingue e popoli diversi) tutti coloro che, in ogni parte del mondo, in esso si riconoscono.

L’immigrato islamico in un paese di maggioranza cristiana ha davanti a sé, fondamentalmente, due scelte opposte. La prima è quella di trovare nell’osservanza religiosa un punto di riferimento, un elemento rassicurante che lo aiuti a coltivare le proprie radici. O c’è la tendenza opposta di allentare la pratica religiosa, per accentuare lo sforzo di integrazione e assimilazione nella società ospitante. Ma molto praticato, comunque, appare il digiuno del ramadàn, come anche il rispetto delle principali regole alimentari, che non richiedono di raggiungere i luoghi di culto.

L’Islam a Napoli

Nonostante la presenza dell’Islam a Napoli abbia una lunga tradizione, la presenza musulmana è aumentata in modo significativo solo negli ultimi decenni. Oggi l’Islam – prevalentemente di tipo sunnita – rappresenta la seconda religione sul territorio nazionale, e il secondo culto diffuso tra quasi sei milioni di immigrati (dopo il Cristianesimo): i musulmani sul territorio nazionale sarebbero circa un milione e mezzo. Nella città di Napoli, secondo dati ministeriali, la presenza di immigrati si aggirerebbe attorno al 3,5% (contro il 6,2% della media italiana), di cui si stimano circa 15.000 musulmani, di varia nazionalità: pakistani, bangladesi, magrebini, senegalesi, gambiani, nigeriani, bosniaci, uzbechi, albanesi kirghizi, ceceni, tagichi, e altro.

La città di Napoli per molti rappresenta un territorio di transito, prima di trasferirsi nelle aree più ricche del Nord o di altri paesi europei. Altri invece vi si stabilizzano, abitando per lo più in provincia per poi svolgere le loro attività lavorative in città, o nell’area attorno a piazza Garibaldi. Questo spazio risulta significativamente caratterizzata dalla presenza di immigrati musulmani, di varia nazionalità: marocchini, algerini, tunisini, senegalesi, nigeriani, somali, sudanesi, nigerini, bangladesi, pakistani, ecc.

Qui sorgono diversi luoghi di culto e centri di cultura islamici, macellerie halal e alimentari che non vendono prodotti considerati haram, quali maiale e alcool. Pur non disponendo di una moschea vera e propria, a Napoli vi sono diversi luoghi di culto, per lo più bassi ridestinati a sale di preghiera, situate nell’area tra piazza Garibaldi e piazza Mercato. Oltre a disporre di una sala di preghiera, questi centri organizzano una serie di attività educative e culturali.

Per lo più, la presenza musulmana e le sue manifestazioni di culto non paiono essere percepite con sfavore o diffidenza, e anzi sono accolte con una certa flessibilità: alcune pasticcerie rivisitano dolci tipici come le sfogliatelle in versione halal, senza strutto. Prevale, negli immigrati di fede islamica, una tendenza all’attaccamento alla religione di origine, che viene professata con naturalezza, senza ostentazione e, generalmente, senza forme di radicalismo.

Va segnalata, riguardo all’atteggiamento nei confronti degli immigrati islamici, una posizione di generale apertura e sensibilità da parte della Chiesa locale. Un atteggiamento analogamente collaborativo è dato registrare da parte delle Amministrazioni cittadine e delle Municipalità, soprattutto quelle relative a zone di densa immigrazione. Particolarmente positivo appare anche l’impegno delle Istituzioni scolastiche.

Non sono poche le unioni tra partner di diversa professione religiosa. I figli nati da queste coppie sembrano raramente optare per la professione di fede islamica, ma spesso neanche per quella cattolica.

Appare anche rilevante il fenomeno delle conversioni di napoletani “tornati all’Islam” che riguarda anche due imam della città, ed è stato anche oggetto di alcuni documentari come Cercavo Maradona, ho trovato Allah di Emanuele Pinto, e Napolislam di Ernesto Pagano.

Non mancano manifestazioni, più o meno esplicite e dichiarate, di sospetto e diffidenza, spesso alimentate dagli atti di violenza perpetrati all’estero (in particolare in Francia) da frange islamiste. Nonostante gli imàm locali abbiano costantemente preso le distanze da tali gesti, non si può negare che essi producano degli effetti negativi sulla generale percezione dell’Islam da parte della popolazione autoctona. Ma tali fenomeni, nel complesso, appaiono alquanto marginali, e non valgono a confutare la valutazione della realtà urbana come una comunità generalmente inclusiva ed accogliente. La complessità e l’apertura della città danno luogo ad assetti ibridi, porosi e inclusivi.

Le “comunità transnazionali” rivestono grande rilevanza per chi arriva in un paese straniero, offrendo un quadro di riferimento spirituale, morale e concettuale.

In tali comunità i migranti si orientano, non perdendo, anzi rafforzando, le proprie identità sociali, culturali e religiose. A Napoli queste molteplici reti si intersecano e sovrappongono. Tra gli immigrati senegalesi, è molto diffuso il legame con le confraternite (da’ira), come la Qâdiriyya e la Tijâniyya e soprattutto la Muridiyya. Quest’ultima, fondata dallo Sheikh Ahmadou Bamba in Senegal e con un radicato approccio transnazionale, ha la principale sede regionale ‒ il centro (dahira) “Touba Campania” della “Federazione Regionale delle Associazioni Cheikh Ahmadou Bamba” ‒ a San Nicola la Strada, in provincia di Caserta, ma risulta radicata anche nel capoluogo campano.

Fondamentalmente, si può dire che l’identità religiosa degli immigrati di fede islamica, nello specifico tessuto civile della città di Napoli, presenti prevalentemente aspetti positivi, dal momento che offre all’immigrato la possibilità di preservare una propria identità culturale e nazionale, che non si pone come ostacolo al pur necessario processo di assimilazione e integrazione in una società a larga maggioranza di tradizione cattolica.

Non ci si può nascondere, tuttavia, la presenza di atteggiamenti di diffidenza e rifiuto da parte di fasce abbastanza larghe della popolazione. Tali resistenze non sembrano tanto scaturire da un’ostilità verso l’Islam di per sé, ma dall’ansia generata dalle difficoltà economiche e dal timore per la sicurezza. Ma non c’è dubbio che, indirettamente, tali sentimenti vadano a riflettersi anche sulla stessa percezione della religione islamica, vista come potenzialmente portatrice di depauperamento e pericolo, se non di “snaturamento” dell’italianità.

A Napoli, in ragione della sua millenaria storia di apertura e inclusione, la situazione appare migliore rispetto ad altre zone del nostro Paese. Ma, in prospettiva, l’evoluzione dell’“Islam partenopeo” appare inevitabilmente collegata alla crescita dei valori di rispetto, pluralismo, inclusione, dialogo, in Italia e in Europa.

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