Francia: coabitazione o governo di minoranza. Entrambi rischiosi per la stabilità in Ue 

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Domenica sera la sinistra del Nuovo Fronte Popolare – che riunisce, tra gli altri, il Partito Socialista, il partito ecologista Europe Écologie Les Verts e La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon – ha vinto le elezioni, ma ha ottenuto una maggioranza solo relativa. Tutti i principali leader della coalizione hanno chiesto al presidente Emmanuel Macron di rispettare il voto dei cittadini e delle cittadine e di nominare un nuovo primo ministro che rispecchi i risultati. Nel frattempo l’attuale primo ministro Gabriel Attal, che fa parte di Ensemble, ha presentato le sue dimissioni a Macron, in quanto presidente della Repubblica, che però le ha respinte, chiedendogli di rimanere in carica fino a quando non sarà creato un nuovo governo. Macron ha fatto sapere che attenderà la composizione della nuova Assemblea Nazionale per «prendere le decisioni necessarie», cioè per decidere che primo ministro nominare al posto di Attal.

Per prassi il presidente nomina come primo ministro un rappresentante del partito che ha preso più voti: in caso di una nomina assegnata a un rappresentante di NFP si verificherebbe la cosiddetta “cohabitation” (coabitazione), quando presidente della Repubblica e primo ministro fanno parte di parti politiche diverse. Nella storia francese le coabitazioni non conducono necessariamente a una situazione di stallo politico, cosa che invece avviene spesso negli Stati Uniti quando ad esempio c’è un presidente Democratico ma un parlamento a guida Repubblicana. Ma questa volta sarebbe comunque diverso.

Dall’inizio della Quinta Repubblica francese, ci sono state tre coabitazioni, ma ogni volta la destra o la sinistra avevano ottenuto la maggioranza assoluta.

La prima coabitazione si verificò fra il 1986 e il 1988 quando il presidente della Repubblica era il socialista François Mitterrand ma il governo era guidato dal primo ministro di centrodestra Jacques Chirac, che al tempo faceva parte del partito Raggruppamento per la Repubblica. Una coabitazione durante la presidenza Mitterrand si verificò nuovamente dal 1993 al 1995, sempre con un primo ministro che faceva parte del Raggruppamento. L’ultima volta che c’è stata una situazione di coabitazione è stato dal 1997 al 2002, quando Jacques Chirac, che era a quel punto diventato presidente della Repubblica, governò insieme a una maggioranza parlamentare di sinistra, dopo la vittoria della coalizione Sinistra Unita a cui faceva capo il Partito Socialista, che espresse il primo ministro, Lionel Jospin.

Governare il paese in una situazione di coabitazione è di per sé difficile e richiede una buona dose di collaborazione fra le diverse parti: essendo la Francia una repubblica semipresidenziale, il presidente ha infatti un ruolo particolarmente attivo nel processo legislativo. Ma una coabitazione senza la presenza di una maggioranza assoluta in parlamento presenta un ulteriore livello di difficoltà.

Esiste la possibilità che diverse parti politiche si accordino per formare una coalizione trasversale e arrivare alla maggioranza assoluta che corrisponde a 289 seggi su 577: cosa che non avrebbe comunque dei precedenti in Francia dall’inizio della Quinta Repubblica. Mettere insieme una coalizione del genere però sembra assai complicato. La campagna elettorale della coalizione macronista, impostata principalmente contro la sinistra, rende molto difficile un’alleanza tra la coalizione del presidente e il Nuovo Fronte Popolare, i cui leader si sono tra l’altro già pronunciati in modo unanime a sfavore. «Nessun sotterfugio, nessun accordo», ha detto Mélenchon. «Non ci presteremo a una coalizione degli opposti che tradirebbe il voto dei francesi», ha detto a sua volta il socialista Olivier Faure.

Sembra inoltre improbabile la creazione di una coalizione che vada dal partito di Macron all’estrema destra di Rassemblement National passando per il centrodestra dei Repubblicani. Lo scenario più probabile è dunque la formazione di una maggioranza relativa, debole e a continuo rischio di mozioni di sfiducia da parte delle opposizioni. Il prossimo governo dovrebbe insomma negoziare di volta in volta e su ciascuna legge con altri gruppi politici e vivrebbe sotto la costante minaccia di sfiducia. Cosa che potrebbe portare a sua volta alla rapida successione di diversi altri governi.

In assenza di una maggioranza chiara all’Assemblea Nazionale e per superare il rischio molto concreto di un blocco istituzionale, negli ultimi giorni sono state fatte diverse ipotesi: la formazione di un governo di unità nazionale, quella di un governo tecnico o di un governo per la gestione degli affari correnti.

Sul governo di unità nazionale, formato cioè sull’appoggio trasversale del parlamento a un primo ministro sopra le parti e condiviso, si è pronunciato Jacques Attali, ex consigliere speciale di François Mitterrand ed ex mentore di Emmanuel Macron, citando il problema principale: «Chi potrebbe essere il capo di governo di una tale coalizione? Non abbiamo un Mario Draghi francese».

Un governo tecnico sarebbe invece affidato a economisti o accademici non legati a un partito e dovrebbe essere sostenuto da quasi tutti i partiti in attesa di nuove legislative che permettano, questa volta, di far emergere una maggioranza più chiara. Camille Bedock, ricercatrice del CNRS e specialista in scienze politiche comparate, ha però fatto notare che un governo tecnico rimanderebbe immediatamente al progetto che aveva Macron nel 2017, al momento della sua prima elezione a presidente della Repubblica.

La premessa dell’allora partito di Macron, En Marche, «era infatti quella che fosse necessario essere governati dalla competenza, piuttosto che dall’ideologia», dice Bedock. Ma immaginare che le attuali opposizioni appoggino un esecutivo essenzialmente tecnico non sembra realistico.

Un governo per la gestione degli affari correnti corrisponderebbe a un governo dotato di poteri limitati e che rimarrebbe in carica per gestire le emergenze in attesa che si riesca a formare un accordo di coalizione. Libération definisce lo scenario «abbastanza esotico per i francesi, anche se è comune tra i vicini belgi, italiani e tedeschi».

Il mandato di un deputato dura cinque anni e le prossime legislative, visto che queste sono state anticipate, si dovrebbero teoricamente svolgere nel 2029, a meno che il presidente non si decida di sciogliere prima, e nuovamente, l’Assemblea Nazionale. Ma l’Assemblea può essere sciolta, secondo la Costituzione, solo una volta in un anno e almeno un anno dopo l’ultimo scioglimento. L’Assemblea Nazionale non potrà dunque essere sciolta prima del luglio del 2025: eventuali nuove elezioni legislative quindi si terrebbero fra almeno un anno.

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