A dirla tutta, i numeri sono più alti e preoccupanti: i ragazzi, tra i 18 ed i 34 anni, che hanno preso la decisione di trasferirsi all’estero, negli ultimi 13 anni, sarebbero 550mila secondo dati della Fondazione Nord Est. Per il 16% di loro, l’Italia rimane comunque nel progetto di vita e, anzi, spera di poterci tornare il più presto possibile; ma la stragrande maggioranza, invece, non intende abbandonare il Paese che li ospita.
Tra le tappe più gettonate ci sono Austria, Francia, Belgio e Germania Paesi che, a differenza dell’Italia, fornirebbero migliori opportunità lavorative e all’interno di un contesto culturale internazionale, pieno di nuovi stimoli. La nomea di Paese retrogrado e privo di prospettive costa all’Italia 134 miliardi di euro; a differenza della Svizzera, per esempio, che accoglie il 43% dei giovani europei “in fuga”, da noi ne arriva soltanto il 6%. Una consolazione così magra da non poter neanche essere definita tale, perché non in grado di bilanciare il deflusso di giovani menti lontano dai nostri confini.
Non è tutto vero: il lavoro, in Italia, c’è. E anzi, secondo il report JP Salary Outlook dell’Ocse, la retribuzione lorda è aumentata di due punti rispetto allo scorso anno. Le tasse ci sono ovunque, la crisi che ha reso il costo della vita sempre meno sostenibile in Italia è la stessa che ha colpito la Germania, per esempio, e governi dalle visioni progressiste ne sono rimasti pochi in Europa; eppure, il 35% dei giovani sotto i 30 anni non vede l’ora di scappare, vivere la stessa vita, ma altrove. Sarà che, qui, le persone sotto i 25 anni che producono reddito sono praticamente nulle, perché il prerequisito per costruirsi un’esperienza lavorativa è avere già un’esperienza lavorativa e nessuno è disposto a formare, informare, dare fiducia a chi non ha mai lavorato altrove: è il Paese più bello del mondo, ma solo se lo si ammira dall’esterno.