Giorgia Meloni ha incontrato ieri Orban, prossimo presidente di turno del Consiglio Europeo, a Roma. Sul tavolo, in primo piano, le nomine Ue

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Il premier ungherese Viktor Orban si prepara per il semestre di presidenza Ue che si apre il prossimo 1 luglio. Il 24 è stato a Roma per un faccia a faccia con la premier Giorgia Meloni. Il motto scelto scelto dal premier magiaro per inaugurare la sua presidenza di turno europea non lascia dubbi sulla matrice trumpiana.  L’Ungheria lancia lo slogan “Make Europe Great Aagain” al trumpiano “Make America Great Again”. L’ammirazione di Orban per l’ex presidente Usa in pista per il bis non è un mistero.

Denso  il programma del semestre europeo ungherese. “L’Ungheria assume la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea in un momento di circostanze e sfide straordinarie” si legge nelle premesse del programma che pone l’accento sul “ritardo” di Bruxelles “rispetto ai suoi concorrenti globali”. Tra le principali problematiche vengono elencate “la migrazione illegale, la vulnerabilità dell’approvvigionamento internazionale, le catastrofi naturali  e l’impatto del cambiamento climatico e l’impatto delle tendenze demografiche”.

In queste ore Orban ha puntato il dito contro un’alleanza Ue guidata dal Ppe, che bolla come “una coalizione in favore della guerra e dell’immigrazione e contro l’economia”. Il premier  accusa il suo ex gruppo al Parlamento europeo di aver assunto posizioni proprie della sinistra. In una intervista radiofonica ha attribuito “un ruolo diabolico” al tedesco Manfred Weber, presidente del Ppe. Orban è convinto che l’alleanza con i socialdemocratici sia stata già “stretta”, come si è visto nell’incontro informale dei leader  dopo il voto.

Secondo il leader di Fidez, la coalizione scelta dai popolari “porta l’Europa alla guerra. Non ha senso voler sconfiggere la Russia se implica un prezzo elevato che non vale la pena pagare”. Orban sostiene che la maggioranza starebbe attuando un presunto piano ordito da George Soros, che a suo dire prevedrebbe l’arrivo di 1 milione di migranti in Europa ogni anno. L’accusa è pesante: “In Europa – dice – è in atto uno scambio di popolazione. La popolazione bianca europea sta diminuendo, mentre il numero dei migranti musulmani sta aumentando radicalmente”.

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Germania, Italia e Francia: Viktor Orban ha scelto tre Paesi chiave per il suo mini-tour prima di guidare il semestre di presidenza europeo.

Il suo attivismo nelle ultime settimane è cresciuto anche perché, per il premier magiaro, le elezioni europee non sono andate bene. E l’ingresso nel Ppe dell’astro nascente dell’opposizione ungherese, Peter Magyar, lo ha innervosito non poco. Delle tre capitali oggetto della missione è con Roma che Orban ha una maggiore comunità di vedute. Su immigrazione, sfida demografica, limitazione della sovranità europea il leader di Fidesz cercherà l’asse con Giorgia Meloni. Ma sul posizionamento rispetto alle nomine dei vertici Ue i due restano distanti. E solo la premier italiana può giocarsi la carta del dialogo con la maggioranza.

Un vertice politico tra presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, e primo ministro ungherese, Viktor Orban,   chiaramente volto a delineare strategie comuni in vista delle scelte per il prossimo Parlamento Europeo.

Il tour di Orban, come detto,  peraltro non riguarda soltanto Roma. Il numero uno d’Ungheria infatti sarà ospite nei prossimi giorni anche di Francia e Germania, e si presenterà in ciascun Paese in qualità di presidente di turno del Consiglio europeo.

Obbiettivo della Meloni potrebbe perciò essere quello di trovare punti di contatto con il collega di Budapest, da sempre uno dei più vicini ai temi cardine della politica del Governo targato Fratelli d’Italia. Chiaro intento sarebbe dunque quello di mettere da parte i disaccordi e lavorare fianco a fianco, in una posizione così di vantaggio, verso le nomine UE.

In campo ci sono le nomine UE. Questo appare ormai piuttosto chiaro, e le discussioni in merito vanno avanti da qualche settimana, spaccando di fatto i quadri politici dell’intero continente. Se fino ad oggi una soluzione che faccia tutti contenti non è ancora stata trovata, i prossimi giorni potrebbero rivelarsi decisivi in tale direzione.

Giovedì 27 giugno l’Europa tutta si riunirà a Bruxelles e verranno discusse modalità e nomi relativi al prossimo Parlamento europeo. I fronti sembrano essere delineati con Macron e Scholz decisi a tagliare la Meloni e lasciare così in un angolo, da un punto di vista decisionale, l’Italia.

Ordine del giorno saranno in special modo le nomine UE, con la premier romana che punta ad avere dalla sua parte il prossimo presidente di turno del Consiglio Europeo. Peraltro le posizioni dei due politici sono vicine da tempo, e un allineamento su tematiche delicate quali migranti, conflitto in Ucraina e Green Deal, potrebbero offrire a Giorgia Meloni uno strumento con cui presentarsi in Europa in una posizione di maggior forza.

La figura di Ursula Von der Leyen in particolare potrebbe diventare nodo del dialogo tra i due presidenti. La numero uno della Commissione Europea non è profilo particolarmente gradito ad Orban, ma una trattativa di più ampio respiro con Giorgia Meloni potrebbe spingere verso scenari diversi.

Quale in dettaglio potrebbe essere la strategia di Giorgia Meloni verso l’euro-summit di giovedì 27 giugno? Giorgia Meloni vorrebbe convincere Viktor Orban ad appoggiarla in sede continentale, così da creare un fronte di destra saldo e resistente, che possa contrapporsi in modo deciso ai moderati. In palio, se così si può dire, ci sono le poltrone europee, ovvero quei famosi commissariati sui quali la premier ha da tempo messo gli occhi.

Anche per questo la strada romana volta a convincere il leader ungherese non è l’unica battuta. Da giorni infatti sarebbero andate in scena alcune telefonate di supporto tra il presidente del Consiglio e la stessa Ursula Von der Leyen. Una serie di contatti informali e ufficiosi dunque, che però gettano le basi per un’alleanza europea dalle maglie decisamente più larghe.

Il campo di gioco però è scivoloso e impervio. Questo osservando ad esempio come lo stesso Orban potrebbe non volere l’appoggio italiano e scegliere piuttosto di presentarsi al vertice europeo in solitaria. L’ipotesi di un terzo gruppo e di una conseguente spaccatura nelle destre del continente non è infatti da scartare a priori.

A maggior ragione tale scenario va considerato partendo dal presupposto che i risultati interni ottenuti da Orban in Ungheria non sono stati esaltanti.

Nel quadro del Vecchio Continente quindi appoggi e sostegni diventano determinanti per far sentire la propria voce in maniera più alta e stentorea. Questo sembra essere ben chiaro alla stessa Meloni, che vorrebbe convincere il collega di Budapest ad affiancarla sul difficile campo di Bruxelles.

Un fronte sovranista e di destra compatto rappresentato da Italia e Ungheria sarebbe certamente ostacolo più duro da superare per i vertici di Francia, Germania e Polonia. L’esclusione dell’Italia che Macron, Scholz e Tusk puntano a concretizzare sarebbe infatti affare ben più complesso qualora al fianco di Roma sia ben presente anche Budapest.

Tutto ciò considerando pure la delicata situazione vigente oltralpe, dove le elezioni del prossimo 30 giugno potrebbero delineare uno scenario politico stravolto, con il fronte di Marine Le Pen in questo momento indicato quale possibile trionfatore. Insieme al giovane Jordan Bardella, la leader della destra francese potrebbe rivelarsi un’ulteriore alleata per Giorgia Meloni. O almeno potrebbe presentarsi come un avversario politico decisamente meno accanito rispetto a quello rappresentato dagli attuali vertici transalpini.

La trattativa con Orban non è priva di complessità. Meloni chiede garanzie pubbliche e scritte sulla posizione atlantica dell’Ungheria e il sostegno a Kiev, richieste difficili per un leader come Orban, noto per la sua vicinanza a Mosca. Tuttavia, le difficoltà non si limitano alla scena internazionale. Anche all’interno del suo partito, Fratelli d’Italia, c’è scetticismo sulla riuscita dell’operazione, con alcuni esponenti che stimano le probabilità di successo intorno al 30%.

Un ulteriore ostacolo è rappresentato dai polacchi del partito PiS, fortemente atlantisti, che potrebbero decidere di uscire dall’ECR piuttosto che accettare l’ingresso di Orban. Meloni, nel tentativo di assicurarsi un ruolo di rilievo nella futura Commissione Europea, punta a una vicepresidenza con un portafoglio significativo, preferibilmente quello relativo al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), da affidare a Raffaele Fitto.

Appare perciò probabile che la premier qualora non riesca a disegnare un accordo saldo con Orban nel pomeriggio romano di lunedì 24 giugno, possa spingere per un rinvio dello stesso summit europeo di giovedì 27, così da far traslare la discussione ad oltre la fine del mese di giugno, e a giochi politici fatti a Parigi e dintorni.

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