La presidente del Consiglio Giorgia Meloni in Libia, accompagnata dal ministro dell’Università e la Ricerca, Anna Maria Bernini, dal ministro della Salute, Orazio Schillaci e dal ministro dello Sport e i Giovani, Andrea Abodi. Atterrata all’aeroporto di Tripoli, la premier ha trovato ad accoglierla il ministro degli Esteri facente funzioni libico, Taher Baor, e l’Ambasciatore d’Italia in Libia, Gianluca Alberini.
La premier ha programmato gli incontri con il primo ministro del governo di unità nazionale libico, Abdul Hamid Mohammed Dabaiba, e con il presidente del Consiglio Presidenziale libico, Mohammed Yunis Ahmed Al-Menfi.
In occasione della visita, sono state firmate da tre ministri italiani con gli omologhi libici tre dichiarazioni di intenti in materia di cooperazione universitaria e ricerca, salute, sport e giovani nella cornice del Piano Mattei per l’Africa. Gli accordi sono stati firmati dal ministro dell’Università e la Ricerca, Anna Maria Bernini, dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, e dal ministro dello Sport e i Giovani, Andrea Abodi, con i rispettivi omologhi del Governo di unità nazionale della Libia (Gun), alla presenza della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e del premier del Gun, Abdulhamid Dabiaba.
L’approccio alla Libia, come alle altre Nazioni del Nord Africa, è un approccio a 360° che impegna l’intero governo. È il principio del Piano Mattei che mira a creare partenariati egualitari attorno a progetti concreti individuati di comune intesa. I Ministri coinvolti nella visita sono a Tripoli con proposte concrete per approfondire la cooperazione già esistente sul fronte dell’impresa, della salute, degli scambi culturali.
Di rilievo, il focus sulla gestione dei fenomeni migratori, nell’ottica di ampliare ulteriormente la cooperazione. Prevista con una tappa a Bengasi, per incontrare il Generale dell’Esercito Nazionale Arabo di Libia, Khalifa Belqasim Haftar, in linea con l’impegno consolidato dell’Italia a essere presente in tutta la Libia e a lavorare con tutti gli attori libici.
La premier Giorgia Meloni è intenzionata a spingere l’acceleratore sul Piano Mattei. L’Italia, rimarcano fonti italiane, è il secondo fornitore della Libia, con il 14.5% di quota di mercato, e il quinto mercato di destinazione dell’export libico. L’interscambio commerciale nel 2023 si è assestato sopra i 9 miliardi di euro. Eni è storicamente presente in Libia e continua a investire nella nazione. A questo si aggiunge un forte interesse delle imprese italiane, in particolare per quanto riguarda le grandi opere e le infrastrutture. Un consorzio italiano sta ricostruendo l’Aeroporto internazionale di Tripoli e diverse nostre imprese iniziano a essere presenti nelle diverse regioni libiche.
Il Piano Mattei mira a creare partenariati egualitari attorno a progetti concreti individuati di comune intesa, e ministri coinvolti nella visita sono a Tripoli con proposte concrete per approfondire la cooperazione già esistente. Molto si sta già facendo insieme nel quadro della salute: bambini libici gravemente malati sono stati e saranno curati in Italia per malattie molto gravi. Un’iniziativa per 3,2 milioni di euro ha permesso di sostenere tre ospedali pediatrici in Libia.
Sempre nel quadro del Piano Mattei, la cooperazione bilaterale nella formazione superiore e nella ricerca scientifica sono elementi strategici nella creazione di sviluppo sostenibile nelle Nazioni partner. La dichiarazione di intenti che il ministro Bernini adotterà con la controparte libica definirà quindi con maggior precisione gli ambiti di cooperazione prioritaria in vista di future più dettagliate intese. Tra le attività individuate vi sono l’aumento della mobilità internazionale di studenti, ricercatori e docenti, anche sfruttando programmi come Erasmus+, e attività di ricerca congiunta in settori chiave per le due Nazioni quali le energie rinnovabili. L’agri-food. La blue economy. E la valorizzazione del patrimonio culturale: settore quest’ultimo in cui l’Italia ha tradizionalmente svolto un ruolo di primo piano in Libia.
Sul versante dello sport e delle politiche giovanili, il ministro Abodi e i suoi omologhi hanno individuato come priorità la realizzazione e riqualificazione delle infrastrutture sportive di base nelle comunità libiche e lo sviluppo di programmi di volontariato e servizio per promuovere l’inclusione sociale giovanile.
Ma il tema chiave della missione in Libia della premier Giorgia Meloni rimane la gestione dei fenomeni migratori. Meloni, nell’incontro con il primo ministro del governo di unità nazionale libico, Abdul Hamid Mohammed Dabaiba e il presidente del Consiglio Presidenziale libico, Mohammed Yunis Ahmed Al-Menfi, ha sottolineato l’esigenza di «continuare sulla strada avviata, ampliando ulteriormente la cooperazione, anche in un’ottica regionale».
La conversazione con i partner libici va però oltre il contrasto dei movimenti illegali. Meloni, rimarcano le stesse fonti, ritiene la Libia un partner cruciale nel quadro del Processo di Roma che mira ad affrontare le cause profonde dei movimenti migratori. Il suo intento è quindi il raggiungimento e il consolidamento di un impegno libico all’interno dei gruppi di lavoro avviati nel quadro del Processo di Roma, all’interno dei quali nelle prossime settimane verranno individuati i primi progetti concreti da attuare in Africa.
La Libia rappresenta un partner fondamentale nel quadro del Processo di Roma che mira ad affrontare le cause profonde dei movimenti migratori. Roma chiederà un impegno nei gruppi di lavoro avviati nel quadro del Processo di Roma all’interno dei quali nelle prossime settimane verranno individuati i primi progetti concreti da attuare in Africa.
Secondo i numeri del ministro dell’Interno, in questi primi mesi del 2024 sono almeno 8.271 i migranti provenienti dalla Libia sbarcati in modo irregolare in Italia. Numeri nettamente inferiori rispetto allo stesso periodo del 2023, quando sulle coste italiane erano arrivate via mare 18.022 persone. Per gli esperti, i trafficanti libici avrebbero dirottato parte delle partenze dell’Italia verso la Grecia, considerando il netto aumento di sbarchi sulle isole elleniche. Inoltre, secondo l’ufficio in Libia dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), almeno 569 migranti sono morti o risultano dispersi in mare, nel Mediterraneo centrale, dall’inizio dell’anno al 4 maggio
Meloni si è impegnata personalmente per rafforzare il dialogo tra Unione Europea e Libia, anche nel quadro del più ampio sforzo del Governo per un nuovo paradigma nei rapporti tra Ue e Nord Africa. Nel corso del dialogo con Haftar, il premier ribadisce la necessità di fare progredire il processo politico nel Paese e di lavorare per mettere la parola fine alla presenza di forze straniere sul suolo libico. Il dialogo affronterà anche la ricostruzione di Derna, colpita nel settembre 2023 da una devastante alluvione, ricordando l’impegno immediato dell’Italia, attraverso le forze Armate, la protezione Civile e gli aiuti umanitari, e sottolineando come il mondo imprenditoriale italiano possa offrire competenze preziose per l’attività di ricostruzione.
L’obiettivo indicato, giorni fa, dal ministro Piantedosi vede Italia, Algeria, Libia e Tunisia alleate per una strategia regionale di controllo dei flussi migratori. Un obiettivo indicato nell’incontro che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha avuto con i colleghi Brahim Merad, Imad Trabelsi, Kamel Fekih, riuniti al Viminale con l’intenzione di creare una cabina di regia comune, per tenere sotto controllo i movimenti delle persone che vogliono sbarcare in Europa raggiungendo via mare il suolo italiano. Un’intenzione che tiene conto delle dinamiche dei flussi che dall’Africa portano al Vecchio continente, ma che si scontra con la complessità del fenomeno dell’immigrazione. L’orientamento dei quattro Paesi, infatti, è quello di prevenire il trasferimento dei migranti sulla costa agendo fin dall’area subsahariana. Ma in quella zona ci sono diversi Paesi che hanno voltato la faccia all’Occidente, come Niger, Mali e Burkina Faso. Per un vero controllo dei flussi bisognerebbe accordarsi anche con loro. L’Italia per questo è in una posizione privilegiata, essendo l’unica nazione occidentale rimasta proprio in Niger, dopo il sopravvento della giunta militare golpista. Una presenza che potrebbe non bastare per incidere sul fenomeno dell’immigrazione irregolare, sfruttata dalle bande criminali. In queste settimane si è fatto riferimento alla diminuzione degli sbarchi, elogiando gli accordi con la Tunisia, ma gli sbarchi proseguono: si continua a partire, se non da lì salpando da qualche altra parte. Poi bisogna tenere in considerazione anche i movimenti che avvengono a terra fra i Paesi nordafricani: c’è una rotta che porta interi gruppi di migranti dall’Algeria alla Tunisia. In questa fase controllare i flussi dall’Africa subsahariana a quella del Nord è molto difficile. Algeria, Tunisia e Libia non hanno tutti i mezzi e forse neanche la volontà per controllare i loro confini, che sono molto grandi e difficili da tenere sotto osservazione: sono linee nel deserto e nulla più. Occorre un’opera politica volta a cercare mediazioni con l’Africa subsahariana. L’Italia può svolgere un ruolo: è presente in Niger e il nuovo governo ha consentito la sua permanenza, a differenza di quello che è successo con francesi e americani. Abbiamo un contingente che non può affrontare il problema dei flussi verso la Libia, ma politicamente permette a Roma di svolgere un’opera importante nella mediazione e stabilizzazione dell’area. Un lavoro complicato che non dipende solo da noi, ma che resta una carta politica che si può giocare. La cabina di regia può essere utile se i Paesi nordafricani combattono le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di migranti: se vengono perseguite dai governi diventano meno aggressive. Non serve solo un controllo delle coste, ma un intervento a terra contro i trafficanti. L’Italia può promettere sostegno politico ed economico, soprattutto alla Tunisia. La questione, però, si intreccia con quella del petrolio e del gas. L’aspetto economico ed energetico è delicatissimo per l’Italia: dall’Algeria riceviamo gran parte del nostro gas. E anche gli algerini ci tengono a tenerci buoni come clienti: i nostri pagamenti sono introiti fondamentali per restare a galla. Algeri non è come Tunisi ma ha bisogno dei proventi dei gas. Inoltre, se la Libia non ritrova la sua stabilità sarà difficile contrastare i flussi nella parte meridionale del Paese.