Giorgia Meloni tra Ecr, Partito dei Conservatori e Riformisti Europei, e difficoltà ad essere parte attiva nell’ establishment europeo per la prossima legislatura

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Giorgia Meloni, nel quadro europeo, dovrà trovare la giusta misura per coesistere con gli altri partner della sua famiglia politica, i Conservatori e riformisti europei,  conservando, al contempo,   il posto a tavola guadagnato nell’establishment europeo per poter essere parte attiva nelle decisioni sulle nomine apicali dell’Unione per la prossima legislatura.

Meloni, leader di Fratelli d’Italia, è anche  alla guida di Ecr,   partito che riunisce i conservatori e riformisti ma che in Europa si tengono a debita  distanza dai cosiddetti ‘sovranisti’ (il partito di Matteo Salvini e Marine Le Pen),  sia dai popolari (quello a cui è legato tradizionalmente il gruppo di Forza Italia).  Le relazioni con gli Stati Uniti sembrano essere un fattore determinante per Giorgia Meloni. Come riportano molte fonti, negli ultimi anni Meloni ‘ha costruito la sua rete di contatti in maniera chirurgica e silenziosa’, e,  aderendo all’Ecr, Meloni ha scelto e proposto un percorso di destra che sia  in linea con una tradizione europea costruttiva e integrata, che non punti  alla distruzione dell’Eurozona o all’uscita dall’Unione europea sulla scia della Brexit.

I paesi che fanno parte del partito sono: Belgio, Bulgaria, Croazia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Spagna e Svezia.

I partiti nella Ecr sono quasi tutti all’opposizione, politicamente predisposti ad aree di conflitto con l’Ue. Sovranità degli Stati nazionali, difesa, rafforzamento delle frontiere esterne, lotta alla cancel culture, riequilibrio del Green Deal: sono questi alcuni delle priorità del partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei (Ecr) enunciate nel manifesto elettorale adottato all’unanimità nella riunione tenutasi recentemente.

“Oltre a sostenere la sovranità degli Stati nazionali, il manifesto dell’Ecr individua come priorità il rafforzamento dell’industria europea della difesa, la cooperazione tra l’Ue e la Nato e gli investimenti in tecnologia e sicurezza”, come si legge in una nota diffusa dall’Ecr.

Sul capitolo immigrazione si sottolinea in particolare che “nessun Paese dovrebbe essere costretto ad accettare migranti illegali” e si chiede “una strategia globale di sicurezza delle frontiere che copra tutti i possibili punti di ingresso, compresi i confini aerei, terrestri e marittimi”. “L’Ecr – si legge ancora – si oppone anche alla proliferazione della “cancel culture”, in quanto gli europei sono il frutto di un albero profondamente radicato, radicato nel pensiero millenario, nella filosofia, nei precetti religiosi e nelle avanguardie culturali e artistiche.

Nel manifesto si menziona anche il Green Deal che, secondo i conservatori, “deve essere stravolto”. “L’Ecr – si spiega – vuole sostenere una strategia climatica più equilibrata e localizzata che non dimentichi la gente comune, dia priorità al benessere socio-economico e smetta di trascurare le preoccupazioni di agricoltori, allevatori e pescatori, cittadini e imprese”. Quanto alle relazioni commerciali nel mondo, si sottolinea in particolare la necessità di un ampliamento e una diversificazione dei partner per “ridurre le dipendenze eccessive e rafforzare la competitività”.

Il partito riunisce i conservatori e riformisti europei e Giorgia Meloni, che ne è presidente, come detto,  è  la prima donna al vertice di un partito dell’Unione europea. Meloni è attualmente l’unica donna leader sia di un partito politico europeo che di un importante partito italiano.

Il partito Ecr è nato nel 2009 dopo gli eventi causati dall’uscita dei conservatori britannici (Tories) dal Ppe. L’Ecr ha un orientamento di destra, liberista, conservatore, cristiano-cattolico ed è contrario al federalismo europeo. Oggi è dominato dal Partito diritto e giustizia (Pis) polacco, l’unico ad avere 24 europarlamentari e un governo alle spalle. Ecr è gemellato con il Partito repubblicano statunitense e con il Likud israeliano. In virtù dell’egemonia del Pis polacco, ha un una fortissima impronta di orientamento cattolico-conservatore. Con i suoi 6 eurodeputati, Fratelli d’Italia è il secondo partito dell’Ecr, seguito da movimenti in ascesa come lo spagnolo Vox e il FvD olandese. A seguire c’è una costellazione di piccoli partiti, per lo più provenienti da vari paesi dell’Est.

Meloni, leader di Fratelli d’Italia, sarà dunque alla guida di un partito che riunisce i conservatori e riformisti,   che in Europa si tengono a distanza sia dai cosiddetti “sovranisti” (il partito di Matteo Salvini e Marine Le Pen, per intenderci), sia dai popolari (quello a cui è legato tradizionalmente il gruppo di Forza Italia). Le relazioni con gli Stati Uniti sembrano essere un fattore determinante per Giorgia Meloni. Come riportano molte fonti, negli ultimi anni Meloni “ha costruito la sua rete di contatti in maniera chirurgica e silenziosa”, al contrario del leader della Lega Matteo Salvini “che a un certo punto si è auto-ghettizzato e marginalizzato riproponendo all’infinito lo stesso copione”. Aderendo all’Ecr, Meloni ha scelto un percorso di destra, ma in linea con una tradizione europea costruttiva e integrata, non distruttiva come quella di Salvini e il suo gruppo Identità e Democrazia insieme a Marine Le Pen e ad Alternativa per la Germania (AfD), che puntava a unire tutti i cosiddetti sovranisti con obiettivi come la distruzione dell’Eurozona o l’uscita dall’Unione europea sulla scia della Brexit.

I paesi che fanno parte del partito sono: Belgio, Bulgaria, Croazia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Spagna e Svezia.

Questo è il panorama dei Conservatori e riformisti europei al momento. Il Pis, in polacco ‘Diritto e giustizia’, la forza politica più grande dell’Ecr insieme a Fdi, al governo in Polonia per anni fino alla clamorosa sconfitta elettorale di ottobre 2023, viaggia ancora sul 30 per cento nei sondaggi, nonostante la recente inchiesta che lo ha colpito: un secondo scandalo Pegasus, dopo quello che tempo fa colpì l’ungherese Viktor Orbán. Secondo gli inquirenti, sotto il governo del Pis in Polonia sarebbero state spiate oltre 500 persone, tra cui oppositori ma anche esponenti dello stesso partito sovranista. Ora il Pis ha voglia di rivalsa a suon di attacchi contro Bruxelles, contro l’euro, persino contro il progetto di difesa europea.

“Non puoi competere con la Nato”, segnalano gli account social del Pis mentre a Varsavia  i maggiori leader del partito sfilano sul palco della kermesse elettorale organizzata per lanciare la campagna verso il voto di giugno. C’è di tutto nelle parole d’ordine. Di tutto contro l’Unione, senza sconti, i toni duri e puri delle origini, quelli che puntano alla pancia dell’elettorato mettendo in piedi stratagemmi di propaganda elettorale che di solito funzionano. Ed eccolo qui il fondatore del partito, Jaroslaw Kaczynski che addirittura rispolvera tutta la narrazione anti-euro che riesce a trovare negli annali di Diritto e giustizia.

“Dobbiamo essere un paese sovrano – dice Kaczynski – Nessuno può dettarci e prendere decisioni per noi in questioni come la difesa, la politica estera, i confini e la politica sociale. La sovranità implica anche avere la propria valuta. Oggi, la maggior parte dei paesi europei utilizza l’euro, la valuta europea. Questa è una delle ragioni principali del lento sviluppo e spesso della regressione di molti paesi europei in termini economici”.

Contro la riforma dei Trattati europei: “Quale sarà l’effetto della modifica dei Trattati? Il risultato sarà che perderemo la nostra sovranità; che, di fatto, non saremo uno Stato polacco sovrano, ma un’area abitata da polacchi, governata dall’esterno. Questa è una situazione del tutto inaccettabile. Questa è una situazione che significherebbe che il nostro tesoro, recuperato dopo il 1989 – il tesoro dell’indipendenza polacca – sarà solo un altro incidente storico. C’è consenso a questo? Non c’è!”.

E naturalmente contro il Patto sull’immigrazione e l’asilo che Meloni ha sostenuto, insieme a Francia e Germania: “Fermeremo tutte queste folli politiche sull’immigrazione e fermeremo il Patto sulla migrazione. I polacchi hanno il diritto di vivere in un paese sicuro e hanno il diritto di vivere in un paese con regole derivanti dalla loro cultura: la cultura polacca e la cultura cristiana. Ecco perché qui diciamo un deciso ‘no’. Siamo un Paese sovrano e faremo ciò che riteniamo sia meglio in questioni così basilari”.

Poi, contro il Green deal: “Andremo al Parlamento Europeo per respingere il Green Deal. Nella versione odierna, poiché erano diversi, danneggia l’agricoltura polacca, portandola praticamente alla liquidazione”. E anche contro la politica di aiuti a Kiev: “Tutto ciò che viene prodotto in Ucraina è così predominante proprio a causa dei costi di produzione, che l’apertura dei confini all’Ucraina significa semplicemente, nel peggiore dei casi, una liquidazione al cento per cento, nel migliore dei casi, una limitazione radicale della nostra agricoltura e la liquidazione della sicurezza alimentare”.

Passi per il no al Green deal, che è bandiera anche per la premier e tutto il governo italiano. Passi anche per il no alla riforma dei trattati: insieme alla Lega, anche Fratelli d’Italia ha votato contro all’Europarlamento su una risoluzione approvata a maggioranza per la riforma dei regolamenti dell’Unione. Ma la critica al progetto di difesa europea incrina la narrazione della premier, formalmente a favore anche se fin dalla campagna elettorale per le politiche Meloni ha cercato legittimazione in ambito Nato, al fianco di Kiev, più che nell’Ue, quasi a voler scegliere la ‘good company’ invece che la ‘bad company’. Il no dei polacchi al Patto sull’Immigrazione la mette decisamente in imbarazzo, dopo che la premier ha sostenuto l’intesa pur senza portare a casa alcuna soluzione al problema. Senza dubbio però il no all’euro e le critiche sugli aiuti a Kiev sono rivendicazioni che chiunque sia al governo in Europa non può sostenere a meno di volersi chiamare fuori dall’establishment. E Meloni non ne ha intenzione. Risultato: nessun evento in programma con i polacchi.

E non va meglio con Vox, che con il Pis è tra i più popolari partiti dell’Ecr. Nonostante l’aria di crisi intorno al governo Sanchez, per l’inchiesta che coinvolge la moglie del premier socialista, Vox resta una forza politica di opposizione potenzialmente compromettente per Meloni. E quindi anche in questo caso si tratta di usare qualche escamotage per non esporsi troppo senza tradire gli amici. Perciò, si apprende, Meloni parteciperà alla convention degli alleati spagnoli solo in collegamento video, non di persona, sperando nell’effetto tenue.

Al fondo, c’è la convinzione che questi siano gli alleati buoni per andare avanti al potere anche in Ue. E dunque la determinazione a prendere voti così, sul crinale dell’euroscetticismo,  con l’obiettivo di fermare il processo di integrazione e stabilire il principio secondo cui per il futuro dovrà esserci “meno Europa e più Stati nazione”, come Meloni ha avuto modo di sottolineare qualche sera fa nella riunione dell’Ecr a Strasburgo. Resta da capire dove trovare i fondi comuni necessari a vincere la sfida della competitività globale in una Europa con Stati sovrani più forti dell’Unione.

La premier ha compiuto vari passi verso una politica moderata e realistica, accettando  vari vincoli esterni, ponendo tagli e cesure  su vecchi compagni di viaggio, strutturando la sua campagna elettorale anche in modalità antieuropeiste e populiste,  ma ripulendoli in modo dignitoso ed europeo,  questo in attesa di creare  in Italia una maggioranza di elettori europeista e moderata.

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