Governo Meloni tra schermaglie interne e voti opposti fa pensare alla premier ad elezioni anticipate. ‘Noi Moderati’ presenta un nuovo simbolo

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Un cerchio bianco con la scritta blu “Noi Moderati”, sovrastata da una dello stesso colore: “Popolari per l’Europa”. E in basso, un ponte tricolore. Questo il nuovo simbolo di Noi Moderati presentato nell’assemblea nazionale del partito che si è aperta a Roma.

«Il primo messaggio che diamo è che Noi Moderati dà il via ad un nuovo inizio anche col simbolo, rinnovandolo e cambiandolo», spiega il presidente Maurizio Lupi. Raffigurati ci sono due valori fondamentali del partito: «Il richiamo all’Italia popolare ed europeista, in attesa della formalizzazione Partito popolare europeo, e un ponte che è per noi l’Italia». Lupi indica la direzione: «Abbiamo costruito con fatica una nostra casa, ma questo partito si deve aprire. Il primo segnale per aprirsi è rinnovarsi, perché le case hanno delle fondamenta solide ma poi si possono costruire gli altri piani».

Alla presentazione del nuovo simbolo ha partecipato anche il vicepresidente del Senato, Ignazio La Russa, intervenuto all’assemblea: «Mi piace esteticamente e per il significato che vuole avere. Mi ricorda il mio vecchio capo, Pinuccio Tatarella, quando parlava del centro come una zattera in mezzo al fiume, dove la riva destra e la sinistra si contrappongono e fanno da argine a un Paese che va verso il futuro. Se la zattera sta in mezzo e non trova un punto di attracco non ha una sua utilità. Quindi deve ormeggiarsi a destra o a sinistra, deve fare una scelta».

Dall’opposizione, Giorgia Meloni ripeteva il solito refrain: “Il governo è alla frutta” aggiungendo: “Gli italiani hanno bisogno di un Governo unito, forte, che pensi in grande e che lavori per gli interessi nazionali”.

Oggi, del governo Meloni in carica dal 22 ottobre 2022, caratterizzato sempre più da schermaglie interne e da spaccature come quelle registrate l’altro giorno nella maggioranza, messa ko sul canone Rai e sulla sanità in Calabria, per non parlare dei “punti di vista diversi” sulla guerra in Ucraina, con il vice premier Salvini che strizza l’occhio all’invasore Putin?

Fra Lega e Forza Italia si è passati al ‘voto opposto’ a cominciare da quello sul canone Rai, legate ad aspetti elettorali e identitari dei due partiti: Salvini deve dar voce all’elettorato leghista che vede la Rai come carrozzone romanocentrico e punta a una riduzione del canone e Tajani deve tener conto di Mediaset preoccupata di una riduzione del proprio budget pubblicitario se la Rai dovesse incrementare più pubblicità in caso di minori introiti del canone.

Fra i due partiti, in palio c’è il secondo posto nella coalizione del governo di centrodestra. Le opposizioni, Pd in testa, parlano di implosione della maggioranza. La storia dice che in Italia i governi non cadono mai per una spallata delle opposizioni ma per le divisioni della maggioranza. È un fatto che i due vice premier Salvini e Tajani procedono a spade incrociate, fra sgambetti e minacce, più interessati alle sorti personali e dei loro partiti che a quelle del governo. Ufficialmente, Meloni minimizza: “Sono solo schermaglie”. Ma alla premier non piace l’aria che tira nella sua maggioranza e a brutto muso dice ai due vice premier: “A che gioco state giocando? Se il governo va in crisi il vostro futuro non sarà come il presente”.

Intanto, Sul tavolo c’è il rimpasto del governo, non senza rischi per la sua tenuta. Giorgia minaccia elezioni anticipate certa di stravincere, addirittura con il suo partito sopra il 40%. È il Quirinale a decidere.

Maurizio Lupi, che ha aperto la due giorni di Noi Moderati a Roma, avverte: «Tutte le maggioranze sono cadute per implosione, per problemi interni, mai a causa delle opposizioni». E se quello di ieri era l’ultimo Cdm con il ministro Raffaele Fitto, che Meloni ha ringraziato e applaudito per il nuovo incarico europeo, la sua sostituzione non sarà facile, né scontata. Prende piede – su tutte – l’ipotesi dello spacchettamento del suo ministero. Lo stesso portavoce di Forza Italia, Nevi, lo aveva detto al Riformista: «Vanno ridefinite le deleghe». Dopo Fitto, non ci sarà un altro Fitto. Affari europei, Affari regionali e Pnrr non staranno più sotto lo stesso cappello.

La premier deve valutare un insieme di elementi, non ultima la spada di Damocle che la Procura di Milano tiene sospesa su Daniela Santanchè. Se Santanchè fosse rinviata a giudizio, la premier Meloni potrebbe chiederle di fare il passo indietro. Lei non ci sta e lo fa sapere. Ma alla fine deciderà la presidente del Consiglio. A Meloni serve un salto di qualità: deve entrare nel terzo anno di governo con una squadra rinnovata che al contempo certifichi la continuità istituzionale. Tra le voci, anche quella della chiamata di tecnici super partes, sui cui nomi c’è il massimo riserbo. Si parla di un tecnico di straordinaria carriera diplomatica come l’ex ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, ma anche di un giurista del calibro di Sabino Cassese per gli Affari regionali e si torna a fare il nome di Roberto Cingolani per l’attuazione del Pnrr.

Tre nomi di peso, tre super tecnici che farebbero del governo Meloni l’invidia d’Europa. I tre passi avanti per l’esecutivo Meloni corrisponderebbero a tre passi indietro per i partiti della coalizione. C’è poi l’ipotesi Letizia Moratti, che molti considerano “sprecata” in un ruolo non proprio di primo piano in Europa: l’ex sindaca di Milano, fautrice dell’Expo 2016, potrebbe avvicendare Santanchè. Se Forza Italia occupasse quella casella – affidarla alla Moratti sarebbe molto gradito anche da Tajani – il Pnrr e gli Affari regionali potrebbero allora tornare sotto l’ala di FdI. Anche riallocando le deleghe tra più ministri. In pole position c’è Nello Musumeci, ministro per il Sud che potrebbe prendere le politiche di Coesione, mentre le competenze degli Affari europei potrebbero andare alla Farnesina, mettendole in capo a un viceministro di peso come Edmondo Cirielli. II Pnrr, con i fondi in massima parte già allocati o in via di perfezionamento, potrebbe andare in dote alla Lega con il sottosegretario Freni oppure assunto con l’interim dalla presidente del Consiglio, che se ne occuperebbe con il tramite dei sottosegretari Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari.

Ancora fermo un turno Luca Zaia, che qualche voce accredita in arrivo a Roma, ma alla presidenza del Coni.

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