Il Bangladesh non può essere considerato un paese sicuro al momento a causa di gravi violazioni dei diritti umani e della situazione politica instabile. Sebbene nel 2024 sia stato inserito nella lista dei cosiddetti “paesi di origine sicuri” da alcuni stati, inclusa l’Italia, tale decisione è stata fortemente criticata. Infatti, sono state evidenziate diffuse violazioni dei diritti fondamentali, come esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate, e repressione della libertà di espressione, soprattutto in vista delle elezioni generali previste per gennaio 2024.Il governo del Bangladesh ha intensificato la repressione verso giornalisti e attivisti per i diritti umani, utilizzando leggi come quella sulla sicurezza digitale. Ci sono state anche proteste studentesche contro un sistema discriminatorio nelle assunzioni pubbliche, represse violentemente, con numerosi morti e arresti. A questo si aggiungono problemi legati ai cambiamenti climatici, che hanno colpito duramente l’economia e causato migrazioni forzate di milioni di persone.Dal punto di vista normativo, la direttiva europea 2013/32/UE stabilisce che un paese può essere considerato sicuro solo se non vi sono gravi violazioni come torture o conflitti armati. Tuttavia, la situazione in Bangladesh sembra contraddire questi criteri, come confermato da diverse organizzazioni internazionali e dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, che ha condannato la repressione delle proteste e l’interruzione prolungata di Internet durante le manifestazioni.
Ebbene, l’inserimento del Bangladesh nell’elenco emanato nel decreto interministeriale il 7 maggio 2024 sulla base della scheda elaborata dal Ministero degli Affari esteri allegata al decreto ha evidenziato alcune criticità.Nella scheda all’inizio si illustra a lungo la pressione migratoria dal Bangladesh verso l’Italia, il che è estraneo agli elementi che devono essere valutati ai fini della definizione di paese di origine sicuro, ai sensi dell’art. 2-bis d. lgs. n. 25/2008. Tuttavia, si riscontra nel Paese (ndr scheda 3 maggio 2024 pag.15) un effettivo bisogno di protezione internazionale principalmente per motivi legati all’appartenenza alla comunità LGBTQI+, ma anche per le vittime di violenza di genere (incluse le mutilazioni genitali femminili), per le minoranze etniche e religiose e per gli accusati di crimini politici, condannati a morte, sfollati climatici”.Secondo Amnesty International (ndr nota 5 agosto 2024) “Il governo bengalese ha intensificato la repressione dei diritti alla libertà di espressione e di riunione pacifica in vista delle elezioni generali previste per gennaio 2024. Le autorità hanno utilizzato i poteri della legge sulla sicurezza digitale e di altre leggi per colpire giornalisti e difensori dei diritti umani, sottoponendoli a detenzioni arbitrarie e torture. Si è registrato un preoccupante aumento delle sparizioni forzate e la mancanza di responsabilità per le morti in carcere”.L’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani ha affermato che misure brusche adottate dal governo durante le proteste, come lo spegnimento intenzionale di Internet per un periodo prolungato, sono in contrasto con il diritto internazionale.La grave crisi che attraversa il Bangladesh è esacerbata dai cambiamenti climatici che colpiscono il paese. Il Bangladesh è al settimo posto tra i paesi che, negli ultimi anni, hanno subito maggiormente l’impatto del cambiamento climatico. La vulnerabilità climatica ha impatti drammatici sulla produzione agricola e sull’economia e secondo le stime dell’Internal Displacement Monitoring Centre, nel solo 2022 oltre 7 milioni di bangladesi hanno dovuto spostarsi all’interno dei confini nazionali in ragione di eventi naturali disastrosi.Le condizioni generali del paese costringono ogni anno migliaia di persone ad emigrare innescando meccanismi debitori che favoriscono la tratta delle persone, come denunciato anche dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e della prevenzione del crimine. In altri termini non si può dire che il paese sia sicuro in tutto il suo territorio, per poter definire sicuro, così come sottolineato dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea il 4 ottobre 2024 che ha affermato il principio secondo il quale l’articolo 37 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione, enunciate nell’allegato I di tale direttiva
Paolo Iafrate