Mai dalla fine della seconda guerra mondiale si era registrato un così alto numero di focolai di guerra divampati, contemporaneamente, nel pianeta. Molti sporadici episodi, anche, importanti, ma mai così tanti tutti insieme. Con la caduta del muro di Berlino, la destituzione di dittatori come Saddam Hussein e Gheddafi, l’eliminazione di Osama bin Laden e così via sembrava che il terzo millennio dovesse volgere lo scorrere del suo tempo all’insegna della pacifica convivenza contrastata, magari, da soli contrasti di natura finanziari. Ma così non è stato. Nell’ultimo anno stiamo assistendo a un éscalation di conflitti che si moltiplicano come formiche che fuoriescono dalle loro tane. Da Israele alla Palestina, dall’Ucraina alla Russia, dall’Iran al Libano le tensioni si moltiplicano. E il mondo che fa? Parole, proclami, dichiarazioni, vertici, summit che crescono come il lievito madre del pane di semola. Perché? Forse perché stiamo vivendo un vero e proprio periodo di “decadentismo politico” con personaggi che poco hanno a che fare con il carisma di leader politici. L’unico baluardo che pare essere rimasto, quasi come uno scoglio in mezzo al mare in tempesta, l’unica voce autorevole che si leva sul mondo in subbuglio arriva da oltre Tevere dove sul soglio pontificio di Pietro siede un anziano, ma lucido, gesuita argentino di origini italiane. Per il resto tabula rasa, nisba, nulla! Dove sono personaggi della levatura e caratura internazionale come Churchill, Marshall, Kissinger, Ghandi, Mandela, King, Mubarak, Shimon Peres, Yasser Arafat e Leo Rabin? Il pianeta è rimasto orfano di padri, di quei padri che con la loro abilità hanno garantito pace e stabilità anche in momenti critici della storia geopolitica del globo. Sembra che negli ultimi anni il globo sia governato da gente che non riesce a vedere al di là del proprio naso. Personaggi che sono sempre alla ricerca di capire se la strategia debba essere legata all’uovo o alla gallina. Insomma un pollaio di galletti, altezzosi, presuntuosi e poco ruspanti certamente non utili alla cucina della pace mondiale. E quindi? Cosa o chi ci resta? La voce rotta dall’oblio dell’età, ma non dalla lucidità del pensiero, di un ultraottantenne pontefice che, in tutti i modi, si sforza di far sentire il suo grido di pace, troppo spesso, inascoltato. Sperare nel buon senso di chi predilige l’ego all’essere, il dire al fare oggi, più che mai, è un’utopia che ricorrendo a una metafora non ha, neanche, il sapore illusorio del rimpianto “dolce stil novo”. La volgarità ha preso il sopravvento sull’eleganza, l’arroganza sull’umiltà, l’avventatezza sulla lungimiranza. Perfino l’intelletto sta cedendo, senza controlli il passo all’intelligenza artificiale che pur, se utilizzata nel modo giusto, sarebbe una grande opportunità del nostro tempo. Per questo ricorrendo all’ausilio della cinematografia, mai come in questo momento potremmo dire: “non ci resta che piangere”. Ma il pianto non rende così come non rendono alcun beneficio al mondo le posizioni di rendita delle quali beneficiano gli attuali leader mondiali.