È mezzogiorno passato da pochi minuti quando il 20 aprile 2025 le tende di velluto rosso della Loggia delle Benedizioni si aprono, svelando la figura di Papa Francesco. La sua presenza, attesa e sperata, dà inizio a uno dei momenti più solenni della liturgia cattolica: la benedizione Urbi et Orbi di Pasqua. Il Pontefice, dopo giorni di incertezze sul suo stato di salute, si presenta alla folla e al mondo con parole che suonano come un testamento spirituale, un appello pressante alla coscienza globale. “La guerra è una sconfitta dell’umanità. La pace non è mai scontata: è un impegno quotidiano, artigianale, che richiede il contributo di tutti.” Con queste parole, pronunciate con fermezza e compassione, Papa Francesco richiama il mondo a riscoprire il valore della pace come fondamento della convivenza umana. Il suo messaggio si fa eco di una realtà straziante: la guerra nel cuore dell’Europa, le crisi in Medio Oriente, le tensioni dimenticate in Africa e in Asia. Scuole e ospedali bombardati, civili inermi sotto il fuoco, comunità intere in fuga dalla distruzione. “Non vengono colpiti bersagli, ma persone con un’anima e una dignità”, ha ribadito con dolore il Pontefice, mentre invitava tutte le nazioni a riscoprire la diplomazia, il dialogo, la fraternità. Dal cuore di San Pietro, davanti a 35 mila fedeli raccolti in una piazza fiorita e assolata, Francesco ha scandito nomi e luoghi della sofferenza: Ucraina, Gaza, Israele, Yemen, Sudan, Myanmar, Armenia e Azerbaigian. Ogni nome è una ferita, ogni Paese una speranza sospesa. La sua voce si fa preghiera: “Cessate il fuoco. Liberate gli ostaggi. Date da mangiare alla gente. Date loro un futuro di pace.” Nel cuore del suo messaggio pasquale, il Papa rifiuta con forza la “cultura dello scarto” che segna le società contemporanee. “Ogni vita è preziosa agli occhi di Dio: quella del bambino non ancora nato, come quella dell’anziano o del malato, spesso ritenuti inutili.” Francesco denuncia la volontà di morte che pervade il nostro tempo: la violenza domestica, l’odio razziale, la persecuzione dei più deboli, la mancanza di libertà religiosa. Ma il suo è anche un messaggio di speranza: “Il male non ha più dominio. L’amore ha vinto l’odio. La luce ha vinto le tenebre. Cristo è risorto!” Ed è proprio nella Risurrezione che si radica il suo invito a non perdere la fiducia: “Vorrei che tornassimo a sperare che la pace è possibile.” Papa Francesco insiste anche sull’urgenza dell’educazione alla pace. Non è solo un compito per i leader, ma un impegno che chiama ogni cittadino del mondo: “I giovani devono essere educati alla fraternità, alla solidarietà, alla non violenza.” Solo attraverso il cuore e le mani di ciascuno potremo costruire ponti là dove si sono eretti muri. Con una lucidità rara, il Papa ha denunciato anche l’illusione del riarmo: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo. L’esigenza che ogni popolo ha di difendersi non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo.” La sua è una chiamata a scelte politiche responsabili, a un’umanità che metta al centro la persona e non l’interesse strategico. In questa Pasqua segnata dalla guerra e dalla paura, Papa Francesco ci ha lasciato un messaggio che va oltre la liturgia: è un vero e proprio testamento di pace, di speranza, di resistenza morale. Un richiamo al coraggio di sognare un mondo diverso, in cui la guerra sia davvero impensabile. “Fratelli e sorelle, buona Pasqua!” ha concluso, con la voce vibrante e lo sguardo pieno di misericordia. Di fronte a un mondo insanguinato da guerre, divisioni e indifferenza, la voce del Pontefice risuona come un vento leggero ma inarrestabile: “La pace è possibile.” E forse, più che un augurio, è stata una consegna: un invito a essere testimoni di pace in un tempo che ha sete di vita.
Paolo Iafrate