Incontro il 5 marzo a Palazzo Chigi tra Anm e governo

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Il governo Meloni si dice disponibile a un confronto con la magistratura, ma è chiaro sulla riforma della giustizia tira dritto. È quanto emerso dopo lo sciopero nazionale convocato dall’Associazione nazionale magistrati (Anm), che ha coinvolto da Nord a Sud tutte le principali città italiane.

Un confronto era stato infatti chiesto dal neopresidente Cesare Parodi subito dopo la sua elezione: “Ritengo indispensabile chiedere in tempi strettissimi un incontro con il governo. Siamo un potere dello Stato, cittadini che stanno portando avanti una battaglia e credo sia legittima la nostra richiesta”, aveva detto a caldo Parodi.

Parole alle quali aveva a strettissimo giro replicato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni: “Accolgo con favore la richiesta di un incontro col governo che il presidente Parodi ha già avanzato e auspico che, da subito, si possa riprendere un sano confronto sui principali temi che riguardano l’amministrazione della Giustizia nella nostra Nazione, nel rispetto dell’autonomia della politica e della magistratura”, aveva detto la premier.

La mobilitazione ha superato l’80% delle adesioni, come sottolineato dal presidente dell’Anm, Cesare Parodi. Al centro della protesta c’è la riforma portata avanti dal Guardasigilli Carlo Nordio, che si fonda sulla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, l’istituzione di un’Alta corte responsabile dei provvedimenti disciplinari, i due Csm distinti e il sorteggio dei suoi componenti, che non verranno più eletti.

Il 5 marzo infatti, la premier incontrerà le Camere penali e l’Anm e in quell’occasione ascolterà le loro richieste per una linea di confronto con la magistratura, pur mantenendo fermi alcuni punti. Il governo vuole proseguire sulla riforma che – assicurano da Chigi – non “è pensata contro i magistrati”. Chi contesta il disegno di legge infatti, ritiene che le novità introdotte finiranno controllo della politica nei confronti del potere giudiziario e per metterne in pericolo l’indipendenza. Su questo, Tajani ha garantito che non è intenzione dell’esecutivo e che “non ci sarà mai alcun tentativo di mettere sotto l’ala del governo i magistrati”.
Il governo punta a mantenere intatta la struttura della riforma ma apre all’ipotesi di piccoli ritocchi. Questi ultimi potrebbero riguardare la questione relativa alle cosiddette “quote rosa” dentro il Csm e il sorteggio “temperato” dei suoi membri. In sostanza, l’idea sarebbe quella di sorteggiare una gruppo di magistrati eleggibili, all’interno della quale giudici e pm voterebbero i futuri togati dei due Csm. Per i componenti laici del Consiglio, la platea di candidati verrebbe scelta dal Parlamento.

Ad ogni modo, per il momento si tratta solamente di ipotesi e per capire di più bisognerà attendere il prossimo incontro con i vertici dell’Associazione. Restano fuori dalla discussione invece gli aspetti centrali della riforma, tra cui naturalmente i percorsi separati per giudici e pm.
Attualmente il testo si trova al Senato dopo l’ok ricevuto dalla Camera il 16 gennaio scorso. Tuttavia, dal momento che la riforma interviene sulla Costituzione modificandola, il processo di approvazione sarà più lungo. L’iter è quello previsto per le leggi di revisione costituzionale che per entrare in vigore richiedono la doppia deliberazione da entrambe le Camere, a distanza di almeno tre mesi l’una dall’altra. Eventuali modifiche al ddl allungherebbero ulteriormente i tempi rispetto al termine fissato dallo stesso Nordio, che si è impegnato ad approvarla entro il 2026.

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