Dal 31 gennaio al 1° marzo 2025, la Galleria Mucciaccia di Roma ospita Songs of the Canaries e Songs of the Gypsies, i due più recenti capitoli della produzione artistica di Jan Fabre. Un’occasione importante per avvicinarsi al lavoro di uno degli artisti più discussi della scena contemporanea, capace di unire tradizione e sperimentazione, filosofia e scienza, autobiografia e storia collettiva.
La poetica del pensiero e della materia
Fabre, noto per la sua capacità di trasformare materiali e concetti in opere dalla forte carica simbolica, esplora qui il rapporto tra corpo e mente, memoria e identità. Songs of the Canaries rende omaggio a Robert Stroud, l’ornitologo di Alcatraz, e al fratello dell’artista, Emiel, attraverso una serie di sculture in marmo di Carrara e disegni su Vantablack. Canarini e cervelli si intrecciano in un dialogo tra pensiero e libertà, in un gioco di metafore che punta in alto, verso il cielo e l’infinito. Centrale in questa sezione è la scultura The Man Who Measures His Own Planet, un’immagine potente che si presta a molteplici letture, tra ricerca interiore e tensione verso l’ignoto.
Songs of the Gypsies, invece, si muove sulle note del gypsy jazz, con un tributo a Django Reinhardt e a Django Gennaro, il figlio dell’artista. Qui l’infanzia si fa materia, con sculture monumentali di un neonato fuori scala, mentre incisioni e disegni evocano una dimensione musicale, fatta di ritmo e improvvisazione. Un omaggio alla forza creativa che nasce dalla fragilità, dalla musica che trasforma il limite in possibilità.
Evocazione o narrazione?
Fabre è un artista che non lascia indifferenti, capace di accendere riflessioni e di spingere lo spettatore a interrogarsi. Le sue opere, sempre cariche di riferimenti culturali e personali, giocano con l’idea del simbolo e della rappresentazione, cercando di connettere passato e presente, materia e spirito. Ma è proprio in questo equilibrio tra concettualità ed estetica che si può aprire una domanda: le immagini che propone riescono davvero a evocare, a trasmettere un senso di poesia e di emozione, o restano ancorate a una narrazione che spiega troppo e suggerisce poco?
La mostra si presenta come un viaggio tra scultura e disegno, tra memoria e musica, tra omaggi e riflessioni personali. Un percorso che invita a misurare il cielo, ma che forse, a tratti, si sofferma più sulla scala che sulla vastità dell’orizzonte.
(Foto di Marco Marassi)
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Barbara Lalle