Kamala Harris parla, come Silvio Berlusconi, di diritti e della ‘politica del fare’

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Nella serata finale  della convention democratica per la sua apoteosi a Chicago Kamala Harris costruì un look da  donna affidabile, da executive ma piena di tocchi femminili per proiettare un’immagine di sicurezza, non spavalda ma che detta sicurezza e affidabilità. Harris per accettare la nomination a presidente degli Stati Uniti sceglie il blu scurissimo di un tailleur della casa francese Chloé, con un grande fiocco che chiude al collo la camicia di seta in tono, e dagli alti tacchi a spillo. Da applicare per la Harris la teoria della relatività ristretta esposta  nel 1905 da Albert Einstein. La sua teoria si basava su due postulati fondamentali: il principio di relatività, secondo il quale le leggi della fisica sono uguali per tutti gli osservatori inerziali. Il secondo postulato è quello della costanza della velocità della luce, che significa che la velocità della luce nel vuoto è costante indipendentemente dal movimento dell’osservatore. Questi due princìpi hanno straordinarie conseguenze. La prima è la dilatazione del tempo, che scorre in modo diverso per osservatori che si muovono a velocità diverse. Un osservatore che viaggia molto velocemente, ipotizziamo ad una velocità quasi prossima a quella della luce, percepirà il tempo in maniera molto più rapida da un osservatore che si trova fermo in uno stato di quiete. L’altra conseguenza è quello della contrazione dello spazio, ed afferma che gli oggetti in movimento appaiono più corti lungo la direzione del loro moto rispetto a quando sono fermi. Con la teoria di Einstein due concetti che sembravano acquisiti come dogmi, come quello di velocità assoluta e simultaneità assoluta, perdono completamente senso e significato. Il tempo e lo spazio diventano relativi. Dieci anni dopo Einstein estese a tutto il mondo fisico questa sua intuizione rivoluzionaria elaborando la teoria della relatività generale. Torniamo alla formula della relatività, che è semplice, lineare, elegante ma densa di contenuti. Così sono stati i discorsi alla Convention democratica di Michelle Barack Obama e soprattutto di Kamala Harris. Michelle Obama ha fatto un discorso veloce, pratico, essenziale.  Ha parlato dell’opportunità che deve essere concessa a ogni cittadino di immaginare una vita migliore, di vedere riconosciuta la propria libertà e i propri diritti, indipendentemente dalla religione che professa, dal suo orientamento sessuale, dalla sua condizione sociale di partenza, dalla sua provenienza etnica. Lo ha detto con efficacia e una semplicità sconosciuta all’ampollosità barocca degli italiani, e soprattutto con il suo slogan così banale e riuscito – do something, fai qualcosa – ha invitato ogni cittadino americano alla cittadinanza attiva, al protagonismo.

La politica del ‘fare’ che univa un mix rivoluzionario e deflagrante per la politica italiana fu la proposta ‘visiva’ di Silvio Berlusconi. Innovazione e conservazione, entrambe estreme e che si alternavano, nella persona come nel politico. Forza Italia fu  una creatura rivoluzionaria che si presentò quando la mappa del potere in Italia era vuota, pronta ad essere occupata dalla sinistra non socialista, anticraxiana. Berlusconi capisce subito che chiamarla ‘pericolo comunista’ fu una gran trovata. L’anticomunismo è conservazione, l’identificazione di un nemico che non esiste – o non esiste più, è grande innovazione. Farà scuola.

Il modo in cui Berlusconi annunciò la sua discesa in campo è diventato un caso di studio. Videomessaggio registrato, la libreria, la scrivania, il ‘Paese che amo’. Conservazione rassicurante. Se mi voti non ti succederà niente. Potrà solo andar bene, com’è andata bene a me. La visione del mondo che ti propongo è la mia, anzi sono io e può bastare per un futuro radioso. Dietro la conservazione, la vera rivoluzione: il leader non è più l’uomo più adatto a creare consenso a un’idea del mondo. Il leader è l’uomo più adatto a creare consenso per sé stesso e per quelli che seguiranno non l’idea, ma lui. Da quel momento chi parla di idee e ideologie è vecchio.

E poi il videomessaggio. Pura visione del futuro, il nostro presente. Quello dove la politica si fa sui social network, l’informazione non ha bisogno dell’intermediazione, dei media, dei giornalisti. Allora, però, ci voleva la tv e lui ce l’aveva. Anche la scelta delle alleanze, riflette quel mix micidiale. Conservatore, perché accanto a lui ci sono gli ex democristiani e gli ex socialisti. Prima repubblica. Ma poi sdogana la destra. Fini e Alleanza Nazionale, che al Sud pesano. E insieme ci mette la Lega di Bossi, allora dichiaratamente antifascista, che vuole la secessione del Nord. La casa delle libertà è come il volo del calabrone. Inspiegabile. Ma Berlusconi la immagina, la fa e la fa vincere. Così arriva un’altra innovazione, che durerà molto. A ben vedere fino ad oggi. La politica italiana diventa bipolare e tendenzialmente leaderistica. Esattamente il mare in cui Berlusconi voleva e sapeva navigare meglio degli altri. Lo ha fatto, per quasi trent’anni. Sempre innovando, sempre conservando.

Una formula breve come quella della relatività, ricca di senso soprattutto nel tono della voce, nelle espressioni del viso, nella postura elegante e nella allusiva formula finale: yes she can. Che recitata come ha fatto il Cavaliere  dice che anche lei ce la può fare. Lo dice il discorso di Kamala: vigoroso, vibrante, teso a delineare un’America che continua e consolida il successo dell’economia interna e che si riappropria di un ruolo che le compete: ergersi a guardia e difesa della democrazia e della libertà ovunque nel mondo. E la stoccata finale a Trump: un uomo inutile che può fare danni profondi. Questi nostri discorsi ci parlano di una politica che evita le pericolose e impervie vie dell’ideologia, che si relativizza per parlare a tutti e indicare l’unica strada percorribile: quello di un riformismo pragmatico, che guarda le contraddizioni del mondo negli occhi e punta al miglior risultato possibile. Una formula semplice, lineare, per questo forse rivoluzionaria.

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