La Corte di Cassazione il 4 dicembre 2024 ha ritenuto quindi la necessità di unire la trattazione dei ricorsi relativi alla mancata convalida dei trattenimenti dei richiedenti asilo in Albania e il rinvio pregiudiziale del Tribunale di Roma del luglio 2024, al fine di offrire una risposta tempestiva sul piano interpretativo che dia coerenza al sistema ed eviti il moltiplicarsi di un contenzioso seriale in un settore nel quale sono coinvolti i diritti fondamentali.Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione chiedono alla Corte di Cassazione di voler sospendere il presente giudizio sino all’esito del procedimento pendente dinanzi alla CGUE (Corte di Giustizia dell’Unione Europea) per il quale è fissato udienza il 25 febbraio 2025. L’Avvocatura dello Stato (Ministero dell’ Interno e Questura di Roma), ha richiesto in relazione ai ricorsi per Cassazione presentati l’accoglimento, le difese dei migranti richiedenti asilo provenienti dal Bangladesh per i quali non è stato convalidato il trattenimento hanno chiesto l’inammissibilità dei ricorsi presentati dall’ Avvocatura dello Stato, in subordine hanno chiesto alla Corte di Cassazione il rinvio pregiudiziale alla CGUE, per la definizione di un criterio uniforme in relazione al concetto di Paese sicuro.Si ritiene, che la corretta lettura del diritto dell’Unione, così come interpretato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 4 ottobre n.406/2022 , con l’autorité de la chose interprétée, propria delle sentenze pregiudiziali aventi efficacia erga omnes, imponga di considerare che un Paese terzo non possa essere considerato sicuro se tale non è per gruppi di individui, sia che ciò dipenda dalla porzione di territorio in cui si trovano o potrebbero trovarsi (com’era il caso nella fattispecie esaminata dal giudice ceco), sia che dipenda dalla “categoria” di soggetti alla quale appartengono. Quest’ultima ipotesi deve distinguersi– si badi – da quella in cui un Paese, designato come sicuro e che tale risulti essere senza esclusioni né territoriali né per categorie di persone, possa tuttavia ritenersi non sicuro per un singolo richiedente asilo che abbia fornito – come vuole l’art. 36 della Direttiva 2013/32 UE «gravi motivi per ritenere che quel paese non sia un paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso»Al riguardo, è opportuno osservare che Corte Europea Dei Diritti dell’Uomo 21 novembre 2019, Ilias and Ahmed c. Ungheria (Ricorso n. 47287/15), ha accertato la violazione dell’art. 3 della CEDU da parte dell’Ungheria, le cui autorità avevano rigettato la domanda di protezione di due cittadini bengalesi espulsi verso la Serbia, sul semplice presupposto che tale Stato era stato incluso in un elenco governativo sui Paesi sicuri, senza compiere una valutazione seria e approfondita del caso specifico e senza preoccuparsi degli effetti di un respingimento a catena verso altri Stati.La compatibilità della normativa interna non solo con le norme della Direttiva “Procedure” che disciplinano la nozione e la designazione dei Paesi sicuri (artt. 36, 37 dir. 2013/32/UE), ma anche con il diritto al ricorso effettivo (art. 46 dir. 2013/32/UE), appare dunque in discussione dalle caratteristiche della procedura accelerata non adatte all’accertamento di simili situazioni di persecuzione.I criteri che consentono di designare un Paese terzo come Paese di origine sicuro devono, infatti, essere rispettati in tutto il suo territorio. In particolare, la prassi di escludere aree o categorie era contemplata dalla direttiva europea 85 del 2005, è stata abrogata dalla direttiva 32 del 2013, quella che attualmente regola la materia. Tanto più che l’articolo 37 della direttiva europea 2013/32 che regola la materia censura di fatto la possibilità di trattenere, ai fini delle procedure accelerate, chi proviene da Paesi parzialmente sicuriL’obiettivo è evitare che la Commissione Europea intraprenda una procedura d’infrazione contro l’Italia, evidenziando che, in base all’articolo 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), solo la CGUE ha il potere di interpretare e garantire la compatibilità delle norme nazionali con i Trattati europei. Questa procedura è un segnale per tutti gli Stati membri e riafferma la necessità di rispettare le decisioni della CGUE per preservare l’integrità dell’ordinamento europeo.La legge deve rispettare le fonti gerarchicamente superiore, come la Costituzione e la normativa dell’Unione Europea, l’art 38 della Direttiva 2013/32/UE prevede la necessità di una verifica della effettiva sicurezza del Paese da parte del giudice in base ai criteri determinati, tanto più che il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 maggio 2024, n. 2024/1348/UE, che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale dell’Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE e, in particolare, l’articolo 61, paragrafo 2 secondo cui «La designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro a livello sia dell’Unione che nazionale può essere effettuata con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili» potrà trovare nel caso applicazione a partire dal 12 giugno 2026.
Paolo Iafrate