Guerra è una parola che non passa mai di moda nell’esistenza degli esseri umani, neppure, nell’era super tecnologica e globalizzata. Guerra che definisce le differenze, i confini, la dominanza e la sottomissione che tanto piacciono agli esseri umani. Sempre più spesso si parla di pace ma si pratica l’arte della guerra, si parla di uguaglianza ma si tracciano i confini che delineano le varie appartenenze etniche, culturali, sociali, di genere e chi più ne ha più ne metta nel paniere delle differenziazioni che definiscono l’essere umano. Nel 1931 il Comitato permanente per la cultura e le arti della Lega delle nazioni invitò l’Istituto della cooperazione internazionale ad organizzare una serie di scambi epistolari tra gli intellettuali più rappresentativi dell’epoca. Anche Einstein aderì all’iniziativa del Comitato e volle scambiare delle lettere con Freud per cercare di rispondere alla domanda “Perché la guerra?”. Nelle ultime frasi di una lettera di Freud ad Einstein Freud si chiede e chiede allo scienziato: “quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino pacifisti? Non si può dirlo, ma forse non è utopistico sperare che l’influsso di due fattori – un atteggiamento più civile e il giustificato timore degli effetti di una guerra futura – ponga fine alle guerre in un prossimo avvenire. Per quali vie dirette o traverse non possiamo indovinarlo. Nel frattempo, possiamo dire una cosa: tutto ciò che favorisce l’incivilimento lavora anche contro la guerra”. L’incivilimento appare, dunque, per i due scienziati la chiave che apre la porta che conduce alla pace. Incivilimento che dovrebbe coniugare educazione, rispetto, ascolto, comprensione, reciprocità e scambio e non solo progresso tecnologico, crescita economica e “falsa” globalizzazione. Incivilimento che non fa rima con l’egocentrica visione dell’essere umano dell’“io” ma con la visione di un nuovo umanesimo che contempli una profonda declinazione del “noi” ma, anche, di una consapevole accettazione del “voi”.
Maura Ianni