Elly Schlein, leader del principale partito di opposizione si ritiene preparata e qualificata per sfidare Giorgia Meloni e sostituirla a Palazzo Chigi ma, a conti fatti, ci crede solo lei visto che per battere il centrodestra il posto di candidata premier non può essere suo.
In realtà l’operazione è più complicata di quello che si crede visto che si tratta di convincere la segretaria a trasmettere il suo tesoretto di voti nelle mani di qualcun altro.
Che Conte non la ami non è un mistero, Matteo Renzi, avendone la possibilità la ignorerebbe, per Carlo Calenda è un’estremista, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli si ritengono in grado di rappresentare loro stessi la sinistra. La troppa vicinanza con Maurizio Landini e i suoi referendum non l’aiutano. Romano Prodi gliela ha giurata da quando ha guidato la battaglia perché Elly non si candidasse alle Europee. Perché non ti puoi far eleggere se poi a Strasburgo non ci vai. «Schlein ha recuperato una valanga di consensi, ma non potrà mai vincere da sola. Il problema partito è risolto, il problema governo no». Beppe Sala spinge per la creazione del centro, lamenta che il Pd non sappia parlare al Nord, vuole il terzo mandato per sindaci e governatori. Graziano Delrio chiede più considerazione e potere per i cattolici, tralasciamo cosa pensi di Elly Vincenzo De Luca.
Dario Franceschini, l’unico potente che alle primarie si era schierato con Schlein contro Stefano Bonaccini, a Repubblica ha detto che è meglio marciare divisi per colpire uniti, che l’Ulivo è morto, e che, se pure il Pd arrivasse al 30 per cento, non basterebbe, visto che servirebbe comunque un’alleanza. E quindi, se questa alleanza si fa solo dopo il voto, quante possibilità ci sono che tutti possano indicare Elly come premier?
Poi, la frase liquidatoria di Schlein: «La strada per un’Italia diversa la stiamo già costruendo, con le iniziative comuni delle opposizioni contro il governo». No, il dibattito no, perché per lei il chiacchiericcio aiuta solo Meloni, che invece va colpita sulle cose concrete, dalla sanità al salario minimo. La discussione interna è bandita, la segretaria si ritrae e porta avanti lo stratagemma delle liste civiche che unite e rodate potrebbero costituire il centro e non sarà necessario un federatore, visto che basterà lei.
Ma il treno della ricerca del sostituto è partito, perché l’importante è vincere e non partecipare, anche se non si sa ancora in quale stazione si arriverà. Ma, ammesso che si possa convincere Schlein a dare via libera a nuove soluzioni senza sfasciare tutto, bisognerebbe capire a chi consegnare il timone.
Il tempo in cui Massimo D’Alema consegnò le chiavi a Prodi è ormai tramontato e la potenziale candidatura ventilata di Ernesto Maria Ruffini è caduta al primo vagito. L’unica strada al momento forse percorribile è che sia il Pd ad indicare un nome che venga dalle sue file, che non sia quello di Elly, magari quello di Paolo Gentiloni. Pochi giorni fa gli sono bastati i cinque minuti da Bruno Vespa per spiegarsi: «C’è una gran voglia di pluralismo interno, trasformarlo in una fronda contro Schlein sarebbe un errore. Quello che però è in discussione è: abbiamo uno schieramento sufficiente? Abbiamo un profilo di governo sufficiente?».