La vicenda Almasri, arrestato, scarcerato e riportato in Libia con volo di Stato, è vicenda di ‘realpolitik’, che rifugge ogni premessa ideologica o morale

Date:

E’ necessario ripercorrere la vicenda dell’arresto e del rilascio del generale libico Almasri che lasciano aperti molti dubbi e vive interrogazioni. E’ toccato a Matteo Piantedosi l’onere di intervenire in Parlamento sul rimpatrio, dopo l’arresto, dell’uomo che la Corte penale internazionale considera un torturatore di migranti, ed è stato fatto durante un Question time già programmato, al quale le opposizioni aggiungono domande su cosa è successo nelle circa 48 ore dall’arresto, fino al rimpatrio di Almasri con volo di stato.

Il ministro dell’Interno esamina gli aspetti di sua competenza, impegnandosi che quanto prima risponderà più diffusamente con un’informativa, in maniera decisamente più puntuale. Lo farà lui, non Giorgia Meloni, invocata dalle opposizioni – soffermandosi anche sulla “tempistica riguardante la richiesta, l’emissione e l’esecuzione del mandato di cattura internazionale, che è poi maturata al momento della presenza in Italia del cittadino libico”.

‘Forse’ il governo vuole incolpare l’Aja che ha emesso il mandato d’arresto quando Almasri – che, scrive il Foglio, era in Europa dal 6 gennaio e stava arrivando in Italia. Piantedosi, in verità, non si spinge ad additare la Corte visto che, in tandem, ci pensa Fratelli d’Italia che presenta un’interrogazione sull’operato della Corte de l’Aja. Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, entrando a Palazzo Chigi dice: “L’Aja non è il verbo, non è la bocca della verità. Si possono avere anche visioni diverse. Noi non siamo sotto scacco di nessuno: siamo un Paese sovrano e facciamo la nostra politica, l’opposizione può dire ciò che vuole”.

Piantedosi spiega al Senato, dopo aver ribadito che il ministero della Giustizia era stato avvertito dell’arresto di Almasri – avvenuto a Torino nella sera del 19 gennaio – solo a cose fatte, e che: “La Corte d’Appello di Roma, nell’ambito delle prerogative di vaglio dei provvedimenti di limitazione della libertà personale, ha dichiarato il non luogo a provvedere sull’arresto del cittadino libico, valutato come irrituale in quanto non previsto dalla legge, disponendone l’immediata scarcerazione se non detenuto per altra causa”. L’irritualità poteva essere sanata dal ministro della Giustizia Carlo Nordio. Ma questo Piantedosi – né alcun altro collega di governo – lo dice. In sostanza, dice il titolare del Viminale, l’arresto era sbagliato. Allo stesso tempo, però, Almasri viene rimpatriato in quanto ‘altamente’ pericoloso. È perché era pericoloso? Perché, dice Piantedosi: “Presentava un profilo di pericolosità sociale, come emerge dal mandato di arresto emesso in data 18 gennaio dalla Corte Penale Internazionale”. Per questo motivo, prosegue il titolare del Viminale, “ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato”. La notevole pericolosità del soggetto e la fretta con cui è stato espulso – “era la misura più appropriata”, una volta che l’uomo era stato scarcerato, ribadisce il ministro. Soprattutto alla luce del fatto che Nordio avrebbe potuto mettere una pezza su eventuali problemi di procedura.

Gli stati, anche quelli liberali, operano inevitabilmente in una “zona grigia” dove il pragmatismo prevale sui valori ideali, trattando con dittatori e tagliagole per difendere i propri interessi, spesso a scapito dei diritti umani. Questa realtà, sebbene moralmente discutibile, è inevitabile nella politica internazionale, mai come oggi dominata e assoggettata da interessi strategici e necessità di sicurezza. La Libia è un esempio emblematico, con la presenza del gruppo Wagner russo e delle forze turche che usano anche i flussi migratori come leva politica, mentre milizie e gruppi armati sfruttano il caos per vantaggi economici. Trattare con tali soggetti diventa, seppur scomodo, una necessità per evitare crisi peggiori, come il collasso della sicurezza o una crisi migratoria fuori controllo. Pensare che la “zona grigia” possa scomparire è utopico ed illusorio; l’importante è che rimanga un’eccezione e non diventi la norma, salvaguardando, all’occorrenza, i principi democratici. Le carenze nella comunicazione governativa sono secondarie rispetto alla complessità di queste sfide, dove il pragmatismo spesso si impone come unica via percorribile.

Ma lo scandalo della liberazione, e del rimpatrio di lusso con un volo di Stato, del torturatore libico Almasri, potrebbe essere una granata capace di far tremare il governo partendo dalle fondamenta. Questa realtà, di principio e di fatto, spinge ad un aperto nervosismo il ministro degli Esteri Tajani quando afferma che la ‘Corte non è il Verbo, non è la bocca della verità’, come se la stessa Corte non fosse pienamente riconosciuta dall’Italia, pertanto tenuta a rispettarla se non come Verbo ma come istituzione che amministra la giustizia.

Le testimonianze del caso sono chiare e terribili, come quella del portavoce dell’organizzazione Refugees in Lybia David Yambio: “Sono stato torturato da Almasri nel lager di Mitiga che dirigeva”. Il governo si nasconde dietro l’errore procedurale anche con la formuletta: “Risponderemo nel dettaglio nelle sede adeguate”. Ma dovrebbe essere Giorgia Meloni a rispondere, ed a chiarire perché l’aereo di Stato, levatosi in volo a strettissimo giro per riportare in Libia il torturatore, affinchè fosse accolto con tutti gli onori, non dipendesse da una scelta di palazzo Chigi, dunque della stessa premier. La segretaria del Pd Schlein la incalza: “Non è possibile che non ci fosse un coinvolgimento diretto di palazzo Chigi. Meloni la smetta di nascondersi dietro i suoi ministri e si prenda la responsabilità di venire a chiarire cosa è successo”.

La premier tace e non è la sola a nascondersi. Il procuratore di Roma afferma infatti senza perifrasi di aver “interessato il ministro” appena ricevuti gli atti dalla Questura di Torino. La richiesta di convalida dell’arresto da parte del ministro avrebbe sanato tutte le “irritualità” che costituiscono oggi l’alibi risibile del governo. Quella di Nordio è stata una scelta politica, per la quale, se davvero la avesse presa da solo o se questa fosse comunque la versione ufficiale, le dimissioni sarebbero un atto dovuto. Anzi lo sono, e il silenzio del guardasigilli è sconcertante come quello della premier. E altrettanto profondo.

Va da sé che una scelta simile non può essere stata presa dal ministero di via Arenula senza un’indicazione precisa di palazzo Chigi. L’Italia ha scelto di ignorare la Corte della quale fa pure parte e di mettere in libertà un uomo con responsabilità enormi e sanguinose per non turbare i rapporti con la Libia, alla quale resta delegato in buona parte il compito di fermare il flusso di migranti, e con quali mezzi non è mai interessato molto a nessun governo, né di destra, né di sinistra, né di centro. Ma è probabile che nella fretta disorganizzata con la quale l’Italia si è affrettata a rispedire libero in Libia il direttore del lager di Mitiga non ci fosse solo la necessità di non irritare gli amici libici, che spesso sono proprio i trafficanti che l’Italia dovrebbe combattere.

È possibile che circolasse soprattutto il timore di rivelazioni del generale sugli accordi tra Italia e Libia, con l’obiettivo di fermare i migranti a ogni costo, ignorando i legami strettissimi, spesso anzi la sovrapposizione piena tra la Guardia Costiera finanziata dall’Italia e i trafficanti. L’opposizione sembra decisa a non mollare la presa. La richiesta di “chiarimenti” della Corte penale internazionale (Cpi) chiede spiegazioni al governo Melon. La vicenda non è destinata a finire sepolta in pochi giorni come si augurava il governo e alla fine a rispondere della liberazione di Almasri dovranno essere proprio i due ammutoliti: Giorgia Meloni e Carlo Nordio.

La vicenda del governo italiano, rappresentato in questi giorni da Giorgia Meloni e dai suoi apparati, è una vicenda di realpolitik (in tedesco “politica reale” o “politica concreta”) politica basata su una concreta pragmaticità, rifuggendo da ogni premessa ideologica o morale. Traducibile anche come pragmatismo politico nel contesto internazionale, identificata, ad esempio, su scelte basate più su questioni pratiche che su principi universali o etici.

Realpolitik, non solo legata all’immigrazione ma anche a vicende economiche. I cavilli giuridici non sono assolutamente e pienamente rispondenti a quanto accaduto: bisognerebbe chiedere alla cosiddetta corte di giustizia come mai, e perché, a questo ‘individuo’ è stato concesso, in assoluta libertà, di girovagare in Europa per un paio di settimane e, solo per ‘caso’ e disattenzione, è stato spiccato solo in ritardo il mandato d’arresto.

Il governo libico ha il potere di gestire gli immigrati irregolari come gli pare, non essendo vincolato da convenzioni di Dublino o da altro. L’Italia, in questa vicenda, ha scartato la possibilità di mettere in crisi il suo rapporto con la Libia, con tutto quello che porta con se, e parliamo di Eni e degli italiani che vivono in Libia. La Corte Internazionale richiede comunque al governo chiarimenti legali e giuridici relativi alla vicenda.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Condividi post:

Sottoscrivi

Popolare

Articoli Correlati
Articoli Correlati

Atti relativi al caso Almasri inoltrati al Tribunale dei Ministri. Meloni indagata, Calenda: ‘Surreale’

"In relazione all'indicato procedimento gli atti sono stati inoltrati...

L’innovazione nella stimolazione ormonale: fino al doppio degli ovociti con 12 iniezioni in meno

Il protocollo farmacologico per la PMA si evolve e...

L’Associazione Don Bosco 2000 accoglie Pietro Bartolo per una testimonianza sulle tragedie del Mediterraneo

L’Associazione Don Bosco 2000 esprime profondo dolore per la...

Elly Schlein, con un ‘coup de theatre’, ipotizza di candidare Cecilia Sala a sindaco di Milano nel 2027

Elly Schlein, per oscuri motivi, assediata dai catto-dem e...