La von der Leyen sposta al 15 settembre il rompicapo delle nomine per la Commissione

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A pochi giorni dalla scadenza di fine mese per la presentazione dei candidati da parte degli Stati membri Ursula von der Leyen è costretta a rimandare la scadenza di sabato prossimo: la nuova squadra sarà presentata solo a metà settembre. Complicatissimo l’equilibrio di genere visto che dei 22 Stati che hanno già ufficializzato il proprio candidato, solo sei hanno presentato candidature al femminile.

La von der Leyen manifesta un tono molto assertivo sulle candidature che i 27 Stati stanno presentando per la Commissione europea e trapela una “irritazione” verso l’Italia che non ha ancora presentato la candidatura, mentre si trovano giustificazioni varie per altri Stati (Belgio, Bulgaria, Portogallo, Danimarca) che ancora non l’hanno fatto. Sembra altresì che l’irritazione verso l’Italia sia aggravata dal fatto che il governo italiano vorrebbe un incarico di peso per il suo rappresentante che dovrebbe essere Fitto.  Se sarà seguito il “metodo” della passata commissione nel “cerchio” dei vicepresidenti saranno privilegiati i rappresenti dei piccoli Stati – che addirittura ebbero i tre vicepresidenti esecutivi (Lettonia, Slovacchia, Danimarca) mentre gli altri quattro andarono a Portogallo, Croazia, Cechia e Grecia. Tuttavia piu importanti sono i problemi che la Commissione dovrà affrontare nei prossimi cinque anni.

Von der Leyen ha scelto per la missione del quadriennio 2024-2029  quella di “Un nuovo piano per una Europa sostenibile, prospera e competitiva”, che ha successivamente denominato “Un nuovo piano per la prosperità europea”.

Su von der Leyen bisogna sospendere il giudizio perché nel passato quadriennio ha fatto importanti innovazioni, grazie anche all’aiuto  di Angela Merkel,  come i Pnrr finanziati dagli Eurobond. Ha fatto anche errori gravi, come  quello di aver impresso una tempistica strettissima alle misure ecosostenibili, e quella di non aver evitato l’irrigidimento del Patto di Stabilità e di Crescita, che andava collocato sul lungo periodo e nella connessione con i Pnrr, da estendere oltre il 2026.

Nella specificazione del suo Piano, von der Leyen include sei Programmi. Si tratta di:

1) Semplificazione delle regole per le imprese e approfondimento del mercato interno

2) Accentuazioni per un sistema industriale “pulito” e decarbonizzato unito alla riduzione dei costi della energia

3) Collocazione di ricerca e innovazione al centro della economia europea

4) Spinta alla produttività con le tecno-innovazioni digitali e diffuse

5) Investimenti massicci per una competitività sostenibile

6) Superamento dei divari nelle qualificazioni del lavoro.

Questa declinazione di obiettivi e di programmi fa riferimenti molto importanti a due italiani. Il primo è Mario Draghi che viene citato subito all’inizia del Mega Piano di von der Leyen. Piu precisamente viene richiamato il Rapporto Draghi sulla competitività europea  che dovrebbe essere presentato in autunno. Von der Leyen rinvia perché si attendono indicazioni per un’Europa che nel  passato ha dimostrato la sua capacità  industriale e di innovazione dentro i cambiamenti competitivi globali ma che deve adesso  reagire a una sfida sempre piu pressante. Il secondo è Enrico Letta che ha già presentato il Rapporto a lui richiesto dal Consiglio europeo. Con il Rapporto “Molto più che un mercato”,  Letta propone una “quinta libertà puntando su ricerca, innovazione e istruzione”, da collocare dentro tre criteri generali e cioè “Velocità, Sicurezza e Solidraietà”. Von der  Leyen lo cita a proposito della proposta di varare una “Unione del Risparmio e degli investimenti” per mobilitare capitali finalizzati a investimenti e innovazione.

Le nomine alla Commissione europea

Nella   Commissione europea si vedono già “piazzati” come commissari,  o addirittura vice presidenti,  personalità che da decenni sono nella Commissione. I piu longevi con durate che superano i  10 anni sono lo slovacco Maroš Šefčovič e il lettone Valdis Dombrovskis. Entrambi sono oramai così “connaturati “ alla Commissione Ue e alla sua tecnocrazia da “meritare” una vicepresidenza utile alla stessa von der Leyen.

L’Italia dalla fondazione della Europa Unita è sempre stata co-protagonista. In particolare dal varo dell’euro ha avuto posizioni apicali nella Ue e nell’Eurozona. Tra Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen era cominciata alla grande, tra cortesie reciproche e visite istituzionali. Ursula disponibile, modello mani tese, Giorgia cerimoniosa più del solito.  “È nata un’intesa – spiegavano sottovoce gli staff, con un po’ di apprensione – Le due presidenti si capiscono a meraviglia”. Poi,  l’intesa si è rotta: le cose a un certo punto hanno preso una direzione più scontata e  i caratteri hanno preso il sopravvento: l’underdog non ce l’ha più fatta a nascondere la sua diffidenza; la tedesca è tornata a essere la “tedesca’’. Così, dalla seduta di metà luglio del Parlamento europeo in cui i conservatori,  e Fratelli d’Italia,  hanno votato contro la riconferma della presidente von der Leyen, lo stato dei rapporti è rimasto quello che è: in pratica inesistente.  

Entro la fine di agosto bisogna mandare i nomi per la Commissione? L’Italia non l’ha ancora fatto, è tra i cinque paesi che non hanno inviato comunicazioni ufficiali (insieme a Portogallo, Danimarca, Belgio e Bulgaria), unica tra i grandi. D’altra parte la presidente del Consiglio si aspettava preventivamente un via libera da Palazzo Berlaymont, che naturalmente non è arrivato.  Ursula attende prima il nome, Giorgia vuole rassicurazioni sulla sua richiesta di avere una vicepresidenza esecutiva.

Lo staff della der Leyen  ha la bocca cucita sul calendario degli incontri con gli aspiranti commissari ed è avarissimo di commenti sul fallimento, per ora, della strategia uomo-donna nella composizione del prossimo esecutivo comunitario. I Trattati, d’altra parte, non contemplano l’opzione binaria e assegnano alle capitali il compito di designare il candidato.

L’Austria ha presentato il ministro delle Finanze Magnus Brunner; la Croazia Dubravka Šuica, attuale commissaria per la democrazia e la demografia; Cipro Costas Kadis, Rettore ad interim della Scuola di Scienze della Salute dell’Università Frederick (con un ampio passato in politica); la Repubblica Ceca il ministro dell’Industria e del Commercio Jozef Síkela; la Finlandia l’eurodeputata Henna Virkkunen; la Francia Thierry Breton, già commissario per il Mercato interno e i Servizi; la Grecia Apostolos Tzitzikostas, governatore della Macedonia Centrale; l’Ungheria Olivér Várhelyi, commissario in carica per il vicinato e l’allargamento (già in odore di bocciatura a Strasburgo); l’Irlanda il ministro delle Finanze Michael McGrath; la Lettonia l’eterno Valdis Dombrovskis, vicepresidente uscente dell’esecutivo Ue e già commissario all’economia; la Lituania l’ex premier Andrius Kubilius; Malta Glenn Micallef, capo di gabinetto del premier; l’Olanda Wopke Hoekstra, commissario per il Clima; la Polonia Piotr Serafin, ambasciatore presso l’Ue; la Slovacchia Maroš Šefčovič, già tra le fila della commissione uscente; la Slovenia Tomaž Vesel, avvocato ed ex presidente della Corte dei conti; la Spagna la vice premier Teresa Ribera; la Svezia la ministra per gli Affari Europei Jessika Roswall.

I Paesi che devono ancora scoprire ufficialmente le carte sono dunque Belgio, Bulgaria, Danimarca, Italia, Lussemburgo, Portogallo e Romania. Fuori sacco, l’Estonia: l’ex premier Kaja Kallas è destinata ad assumere la carica apicale di alto rappresentante e vicepresidente della Commissione. Ma il vero rompicapo, come sempre complesso e delicato, sarà nell’assegnazione dei dicasteri e delle deleghe, con i grandi Paesi che sgomitano per le caselle di pregio e le vicepresidenze esecutive. Il lavoro deve concludersi entro fine settembre, quando dovrebbero iniziare le audizioni a Strasburgo. La presidente della Commissione Europea ‘a breve’ inizierà i bilaterali con gli aspiranti ministri blustellati.

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