Manca poco alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, che si terranno il prossimo 5 novembre. A sfidarsi nella corsa alla Casa Bianca saranno l’attuale vicepresidente dem Kamala Harris e il tycoon repubblicano Donald Trump. Dopo il confronto televisivo tra i due candidati, ora l’ultima parola spetta agli elettori. Il voto per le presidenziali statunitensi, però, non è diretto: i cittadini non votano direttamente per il concorrente, ma per un suo rappresentante, il cosiddetto “grande elettore”. Ma come funziona il sistema elettorale americano? E chi sono i Grandi Elettori?
Ogni quattro anni, gli elettori americani sono chiamati alle urne per eleggere il presidente degli Stati Uniti. L’Election Day, che è il giorno in cui si vota, cade generalmente il martedì successivo al primo lunedì di novembre. Il voto per le presidenziali non è diretto, ma prevede alcuni passaggi intermedi.
Negli Stati Uniti vige il sistema del collegio elettorale. Come sancito dall’articolo 2 della Costituzione, gli elettori scelgono a livello statale un gruppo di grandi elettori, che corrispondono al numero dei rappresentanti di ogni Stato al Congresso. Questi, a loro volta, vanno a comporre il Collegio elettorale del proprio Stato, che rappresenta il vero organo deputato all’elezione del presidente. Sarà infatti il Collegio a eleggere il presidente e il vicepresidente degli Stati Uniti
A ogni Stato viene assegnato un numero di grandi elettori in base alla popolazione: per esempio, la California ne ha 55 e il Wyoming solo 3.
Il candidato che conquista il maggior numero di voti nel proprio Stato ottiene i voti di tutti i Grandi Elettori: questo, grazie al sistema del “chi vince prende tutto” (“Winner-takes-all”).
I grandi elettori sono in totale 538: cioè la somma dei rappresentanti statunitensi (435), dei senatori (100) e di 3 rappresentati eletti nel District of Columbia, la zona della capitale Washington.
Per la vittoria, uno dei due candidati alla Casa Bianca deve ricevere l’appoggio di almeno 270 grandi elettori
Cosa succede dopo il voto
Dopo le elezioni, i grandi elettori scelti a livello statale si riuniscono a metà dicembre per eleggere il presidente e il vicepresidente statunitensi.
Safe States e Swing States
Alcuni Stati Usa, tradizionalmente, “pendono” verso un singolo partito. Sono i cosiddetti “safe states”, che possono assumere la denominazione di “blue states” (se votano in maggioranza per i democratici) o “red states” (se prediligono in maggioranza i repubblicani).
Esistono però anche gli “swing states”, cioè gli “stati in bilico”, in cui entrambi i partiti hanno la possibilità di vincere. E per questo sono considerati chiave per la vittoria. Gli Stati in bilico quest’anno sono: Carolina del Nord, Michigan, Pennsylvania, Nevada, Wisconsin, Georgia e Arizona.
Sarà il voto in questi Stati, con ogni probabilità, a decidere chi andrà alla Casa Bianca.
Nel sistema politico degli Stati Uniti d’America, uno swing state (Stato in bilico, o altalenante), anche detto battleground state (Stato in disputa, o conteso), purple state (Stato viola), o anche Stato chiave e Stato indeciso, è uno Stato federato nel quale nessun candidato o partito ha un sostegno storico tale da assicurare i punti dello Stato stesso nel collegio elettorale.
Tali Stati sono oggetto di attenzione di entrambi i principali partiti delle elezioni, dato che vincere in questi Stati è la migliore opportunità per un partito di ottenere i voti del collegio. I non-swing states, gli Stati non in bilico, sono talvolta chiamati safe states, Stati sicuri, dato che un candidato gode di un supporto sufficiente tale da poterlo considerare già vincitore nello Stato.
La competizione politica verrà definita in una manciata di Stati in bilico nei quali si concentrano da mesi le campagne dei due aspiranti alla Casa Bianca: Donald Trump e Kamala Harris. Sette, come detto, sono in particolare gli swing state da non perdere d’occhio.
Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin. Gli stessi in cui già nel 2020 si registrò una corsa decisa al fotofinish tra Trump e Joe Biden. Questi battleground state assegnano in tutto 93 grandi elettori e anche un’oscillazione di poche migliaia di voti può fare la differenza. Tre appartengono alla Rust Belt – Michigan, Pennsylvania e Wisconsin – e rappresentano il blue wall che la candidata democratica non può permettersi di perdere come invece accadde ad Hillary Clinton nel 2016. Gli altri quattro – Arizona, Georgia, Nevada e North Carolina – fanno parte della Sun Belt e potrebbero forse aiutare Harris in caso di crollo al nord.
Nonostante l’impegno economico profuso, i principali sondaggi continuano però a mostrare un testa a testa tra Harris e Trump. D’altra parte, per definizione, gli Stati in bilico sono imprevedibili. Il motivo affonda proprio nelle diverse tipologie di elettorato che li compongono. Andiamo dunque ad approfondire la situazione Stato per Stato.
Arizona
Il Grand Canyon State è stato vinto da Trump nel 2016 con uno stacco di quattro punti percentuali rispetto alla rivale Clinton. Quattro anni dopo Biden è riuscito a riconquistarlo con un risicato margine di appena 0.3 punti percentuali.
Un elettore su quattro in Arizona, l’unico degli swing state che confina con il Messico, è ispanico e temi come l’immigrazione, l’economia e l’aborto sono molto sentiti dalla popolazione locale. Trump appare in vantaggio rispetto ad Harris grazie al sostegno dei Latinos. Dal canto loro, i democratici sperano di conquistare gli 11 voti elettorali in palio cercando di stimolare l’affluenza alle urne e l’attenzione per un altro voto previsto il 5 novembre nel Grand Canyon State: quello che deciderà sull’eventuale inserimento del diritto all’interruzione di gravidanza nella Costituzione dello Stato.
Georgia
Anche nel Peach State Biden nel 2020 ha vinto per una manciata di voti, appena 13mila, e Trump, che nel 2016 aveva superato Clinton di 5 punti percentuali, ha cercato di ribaltare l’esito del voto esercitando pressioni sulle autorità locali. Per tali fatti il tycoon è stato incriminato ed è attualmente in attesa di processo.
Se i democratici vogliono ripetere il miracolo di quattro anni fa e conquistare i 16 grandi elettori della Georgia devono mobilitare comunità rurali, giovani e afroamericani. Questi ultimi sembrano però essere tentati dalle sirene di Trump. Infatti, gli uomini appartenenti a tale constituency sarebbero restii ad eleggere una donna come presidente degli Stati Uniti. Gli appelli al voto fatti nelle ultime settimane da Barack Obama cercano di far superare questa riserva.
Michigan
Gli elettori del Great Lakes State hanno premiato Trump nel 2016 scatenando un terremoto per il partito dell’asinello, il quale sin dal 1992 ha inflitto sconfitte ai repubblicani nello Stato. Nel 2020 Biden ha poi strappato il Michigan con un solido +2,8% sull’avversario.
In questo swing state che assegna 15 grandi elettori fondamentale è il voto dei cittadini bianchi, dei non laureati, della classe media e del ceto operaio travolti dai cambiamenti che hanno sconvolto il mondo del lavoro. Alla rilevanza di questi elettori si aggiunge poi quella della comunità di origine araba che si sta allontanando dal partito democratico a causa delle non sufficienti critiche rivolte al governo israeliano da Biden e da Harris durante la crisi, peraltro ancora in corso, in Medio Oriente. Uno degli elementi su cui sta cercando di fare presa la candidata dem è l’orgoglio degli abitanti di Detroit, città bollata da Trump come fuori controllo per gli alti tassi di criminalità.
Nevada
In questo battleground state un terzo degli elettori si definisce indipendente. Il partito democratico non ha comunque avuto problemi a vincere qui nelle ultime tornate elettorali ma lo fa con margini sempre più ristretti. Centrale per entrambe le campagne è il voto dei Latinos, il 20% del totale.
North Carolina
È dal 2012 che i repubblicani vincono nell’Old North State ma quest’anno il Gop appare più in difficoltà. Il North Carolina è lo Stato tra i più devastati dall’uragano Helene – 23 delle 25 contee colpite dalla calamità votano per il partito dell’elefante – e Trump teme che ciò possa spingere verso il basso l’affluenza alle urne.
Harris è consapevole che nel North Carolina i democratici hanno vinto solo due volte negli ultimi decenni – con Jimmy Carter nel 1976 e con Obama nel 2008 – ma sta cercando di mobilitare gli elettori di colore e le donne delle principali comunità urbane.
Pennsylvania
È il più importante degli Stati in bilico. Non c’è scenario realistico che preveda una vittoria di Harris senza la conquista del Keystone State e dei suoi 19 grandi elettori, il bottino più grande di tutti gli swing state. “Se vinciamo in Pennsylvania vinciamo tutto”, ha affermato Trump che qui nel 2016 ha vinto per meno di un punto percentuale per poi perdere quasi della stessa misura nel 2020.
Wisconsin
Sia Trump che Biden hanno vinto nel Badger State rispettivamente nel 2016 e nel 2020 ed entrambi per meno di un punto percentuale. Il Wisconsin è in generale caratterizzato dalla forte presenza di un elettorato meno variegato rispetto agli altri e i repubblicani intendono infliggere qui un colpo al blue wall degli avversari. Non è un caso che la convention nazionale del Gop si sia svolta a Milwaukee.