L’Europa che verrà il prossimo 10 giugno

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L’8 e il 9 giugno (qualcuno in realtà già dal 6) gli aventi diritto di tutta Europa voteranno per eleggere i membri del Parlamento europeo, che con il cambio di legislatura passeranno da 705 a 720. All’Italia, che assieme a Polonia e Belgio è l’unico paese che ha adottato un sistema con circoscrizioni multiple, spettano 76 seggi, così ripartiti: 20 al Nordovest, 15 al Nordest, 15 al Centro, 18 al Sud e 8 nelle Isole.

L’obbligo di indicare la preferenza di due persone di sesso diverso se si sceglie di esprimere più di una preferenza è stato introdotto per garantire la parità di genere. Allo stesso modo, le liste elettorali  avrebbero dovuto essere composte in pari numero da uomini e donne. Tuttavia, la parità di genere nelle liste elettorali non è stata pienamente rispettata. La legge, infatti, permette le “multicandidature”, cioè la candidatura dello stesso individuo in due o più circoscrizioni. Questo sistema permette di “aggirare” l’obbligo di aver il 50% dei candidati donna e il 50% di uomini perché una lista può candidare 5 uomini (1 per circoscrizione) e 1 donna (in tutte le 5 circoscrizioni). Così, teoricamente, sta rispettando la parità di genere, perché nella lista di ogni circoscrizione compaiono un uomo e una donna. Il numero totale di candidati, però, è di 5 a 1.

Solo il Movimento 5 stelle non ha “multicandidati”. L’incidenza delle candidature plurime cambia da lista a lista. Ad esempio, contano Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega, Azione e Partito democratico hanno percentuali sotto al 3%; contano di più per Pace, terra e dignità, la lista di Michele Santoro (16,7%) e per Libertà di Cateno de Luca (12,1%). Alleanza Verdi Sinistra e Stati Uniti d’Europa, invece, hanno una percentuale di multicandidature rispettivamente dell’8,8% e del 5,7%.

Per quanto riguarda la suddivisione per genere dei candidati, FI, Pd e la lista Stati Uniti d’Europa di Renzi e Bonino sono le uniche ad avere un bilanciamento esatto, mentre Azione, Pace terrà dignità e Fratelli d’Italia sono le sole ad avere più uomini. Le donne sono quindi la maggioranza in tutte le altre liste: Libertà 55,2%, Avs 52,9%, M5s 52,6%, Alternativa popolare 52,5%, Lega 51,4% (Stati Uniti d’Europa 50%, PD 50%, FI 50%, Azione 48, 5%, Pace terra dignità 48,1%, FdI 47,2%).

Partiamo dalla considerazione che la UE e‘ una costruzione complessa e fragile, che deve  fare fatica a trovare un equilibrio tra 27 paesi diversi; se dovesse esserci una maggioranza troppo schiacciata a destra o a sinistra, la fragile coesione sarebbe ancor più  indebolita, poiche’, visto il ruolo primario del Consiglio, i veti che molti governi porrebbero di fronte a politiche troppo sbilanciate bloccherebbe ulteriormente il processo decisionale.

Giorgia Meloni evoca l’esportazione di un modello italiano,  ovvero la formazione anche in Europa di una “maggioranza alternativa alle sinistre”. E’ il suo punto politico di vista: noi e loro, no agli inciuci, coerenza.  

Questo non sarà possibile, stando agli ultimi sondaggi e simulazioni, è complicato che una maggioranza di destra Ppe, Ecr, Id, possa superare la fatidica soglia di 316 deputati, necessaria per eleggere il nuovo capo della Commissione. Per motivi squisitamente politici pesa il fattore Marine Le Pen (e anche dei polacchi del Pis, impegnati a portare Marine e Victor Orbán nei Conservatori).

Giorgia Meloni, a proposito di Marine Le Pen ha parlato di “sintonie su cui lavorare per costruire l’alternativa” a partire dal contrasto a immigrazione, difesa dell’identità culturale, idea pragmatica della transizione ideologica”. Non ha nominato la parola Ucraina e la politica estera, che è un punto dirimente.  per i Popolari. Con un occhio all’Eliseo  la Le Pen, ha riconosciuto,  dopo ben due anni di guerra, “l’eroismo del popolo ucraino” e ha mollato i tedeschi di Afd, ma il suo approccio sull’Europa e gli storici legami con Vladimir Putin pesano per il grosso dei Popolari, che finora hanno governato con Emmanuel Macron e i socialisti.

In sintesi il rapporto tra Meloni e Le Pen è di apparente concordia ma in realtà è più che contraddittorio. è assai più contraddittorio rispetto alle dichiarazioni ufficiali, all’insegna dell’apparente concordia. Se Marine Le Pen conquistasse  l’Eliseo, ci sarebbe, tra le due,  una competizione sulla preminenza in Europa.

Il confronto è sulla  Commissione visto che è improbabile  che “la destra” possa partecipare in blocco al negoziato europeo. E’ bassa la probabilità del modello italiano come è  impossibile  un’alleanza tra Popolari, destra, Renew (liberali), che magari numericamente renderebbe legittima l’ipotesi, ma pensare che Macron possa convergere con la sua competitor all’Eliseo è assolutamente impensabile.

Altrettanto complicata, a meno di un terremoto storico segnato da una clamorosa avanzata delle sinistre, lo schema simmetrico rispetto al modello italiano, ovvero il “modello tedesco”,  con Socialisti, liberali e Verdi, è  ben al di sotto di quota 300,   lontana dalla soglia minima anche con il soccorso della sinistra di The Left.

In Europa, senza popolari non c’è maggioranza possibile. Dunque è assai probabile che il perno della coalizione che reggerà il prossimo governo di Bruxelles sia una grande coalizione Popolari e socialisti allargata ai liberali. E il gruppo più consistente saranno i Popolari che, prevedibilmente, punteranno su un loro candidato alla guida della Commissione.

Alla fine non si potra‘ prescindere da una maggioranza PPE, liberali e socialisti, con barra al centro, come e‘ stato finora, a meno di risultati sconvolgenti. Quando parliamo di alleanze tra popolari e destre estreme, non bisogna dimenticare che queste ultime hanno l‘obiettivo velato di distruggere l‘UE, nonostante l‘apparente moderatismo. Questo sarebbe accettabile per il PPE, da sempre motore principale dell‘integrazione europea?

Tornando al nostro Paese se Forza Italia supera la Lega alle Europee e  arriva  a toccare la soglia politico-psicologica del dieci per cento, è festa grande visto che  il Ppe non può permettersi di perdere anche una rappresentanza forte in Italia. Tajani in Europa,  per storia, indole e ruolo attuale, è uno di casa.

Il suo ruolo è significativo  come “ponte” con Giorgia Meloni in vista del negoziato sulla prossima Commissione, in attesa di capire come si stabilizzerà la conversione europeista della premier italiana. Fu Tajani a far eleggere Roberta Metsola presidente del Parlamento europeo anche con i voti dell’Ecr e a facilitare poi il rapporto tra Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen, nato male ai tempi delle intemperanze sovraniste della prima. Giorgia Meloni è oggi  sfidata da destra da Marine Le Pen, e non può permettersi di stare fuori dai giochi della prossima Commissione perché, essendo al governo, deve incassare un commissario di peso. In questo momento c’è di mezzo il peso e  il gioco politico.

Tajani, gioca a essere un ponte verso Giorgia Meloni,  ma anche un argine, in sintonia con tutti i popolari europei, verso Marine Le Pen (e in Italia verso Salvini), anche dopo il suo divorzio da Adf perché “non è europeista e non si può pensare di governare l’Europa essendo contro l’Europa”. Tajani  pensa che l’esportazione a Bruxelles del cosiddetto “modello italiano” sia buona e utile  per i comizi ma, alla fine, un sano realismo porterà all’accordo, in vista della nuova Commissione, con Scholz e Macron. E che poi ci si dovrà  lavorare, in un quadro di sostanziale spostamento a destra degli equilibri nei singoli paesi.

Ricordiamo che sono le prime vere elezioni senza Berlusconi e quando parla di Europa è più che vivo e quando  Claudio Borghi propone di eliminare la bandiera europea dagli edifici pubblici, lui gli dà dell’“ignorante”; Salvini lo provoca dicendo che “meno Europa” era lo slogan di Berlusconi, e lui lo apostrofa come “Capitan Fracassa”; poi, appena la propone la leva obbligatoria, gliela stronca subito per ragioni di costi; Marine Le Pen lo critica, lui risponde a tono. Pensando alla sua personale sfida tra capilista con Vannacci, si dissocia pure dalla decisione dell’Italia di non sottoscrivere la dichiarazione Ue contro la trans-omofobia. Tajani, politicamente esiste, anche come successore di Silvio Berlusconi, e può essere il ponte giusto che può far rientrare Giorgia Meloni nel negoziato della prossima Commissione.   

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