In un’Italia che affronta una crisi demografica e la sfida della competitività globale, l’imprenditoria immigrata emerge come una delle risorse più dinamiche e vitali del tessuto economico nazionale. A testimoniarlo, con dati aggiornati e un’analisi approfondita, è il Rapporto Immigrazione e Imprenditoria 2024 del Centro Studi IDOS in collaborazione con CNA.Il quadro tracciato racconta di oltre 660.000 imprese condotte da cittadini nati all’estero, pari a oltre l’11% del totale nazionale. Un incremento del 32,7% negli ultimi dieci anni, in controtendenza rispetto al calo dell’1,7% registrato nel complesso delle imprese italiane.Ma non è solo una questione di numeri. Il vero cambiamento si legge nella qualità della crescita: le società di capitale a guida immigrata sono quasi triplicate (+160%), segnale di una maggiore strutturazione e ambizione. Anche in settori ad alta specializzazione – come attività professionali, sanità, e assistenza sociale – si registra una presenza sempre più qualificata.Un dato particolarmente significativo riguarda l’imprenditoria femminile: mentre le imprese italiane condotte da donne sono diminuite, quelle guidate da donne immigrate sono aumentate del 37,8%, raggiungendo quota 162.245. Settori come i servizi alla persona (+101,6%) e la sanità (+75,3%) raccontano di un’iniziativa imprenditoriale che si fa leva di integrazione e di innovazione sociale.Le imprenditrici immigrate non solo resistono, ma innovano. Rappresentano una leva potente per la rigenerazione economica e sociale: aprono nuove attività, introducono modelli di business agili e sostenibili, investono nel territorio. E lo fanno in modo trasversale: dai settori tradizionali fino ai comparti emergenti come sanità, servizi alla persona, formazione, tecnologia.Emblematico è il caso delle imprenditrici ucraine, che tra il 2013 e il 2023 hanno aumentato le proprie imprese di oltre il 60%. Una risposta resiliente a contesti difficili, che dimostra come anche l’emigrazione forzata possa trasformarsi in motore di innovazione.Dalla storica vocazione commerciale dei marocchini, alla versatilità dei romeni, fino alla solidità delle imprese cinesi: il tessuto imprenditoriale straniero in Italia si fa sempre più eterogeneo e ramificato. In dieci anni, le comunità imprenditoriali di Pakistan, Bangladesh ed Egitto hanno visto crescite a tripla cifra, segnando nuove traiettorie economiche.Il Nord Italia rimane la locomotiva, con Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto in testa. Ma anche il Sud mostra segnali incoraggianti: Campania e Puglia, ad esempio, registrano tassi di crescita superiori al 30%. Napoli e Caserta si confermano nuove capitali dell’iniziativa economica straniera.Il rapporto non si limita a fotografare la realtà, ma offre anche proposte concrete: facilitare l’accesso al credito, semplificare il riconoscimento delle competenze, sostenere la transizione verso società strutturate, promuovere l’imprenditoria femminile e giovanile, e creare sinergie con i Paesi di origine.In un Paese che invecchia e si contrae, l’imprenditoria immigrata si impone come una risposta non solo economica, ma culturale e sociale. Non più “integrazione” come dovere, ma partecipazione attiva come risorsa strategica.In un’epoca in cui l’Italia fatica a trattenere giovani talenti e a rilanciare il proprio potenziale industriale, l’imprenditoria immigrata rappresenta una delle poche aree in crescita organica e continua. Ignorare questo fermento significherebbe sprecare una straordinaria occasione di rigenerazione economica, culturale e sociale.Come conclude il rapporto: “Valorizzare l’imprenditoria immigrata non significa solo rafforzare l’economia, ma costruire una società più dinamica, inclusiva e competitiva a livello globale.”
Paolo Iafrate