Hillary Clinton aveva pronunciato una sorta di profezia alcuni giorni fa a proposito della campagna elettorale di Kamala Harris: “Temo una brutta sorpresa a ottobre”. La profezia si è avverata con qualche giorno d’anticipo visto che il sindaco democratico di New York, Eric Adams, è stato accusato di corruzione nell’ambito di un’indagine federale relativa alle donazioni ricevute durante la campagna elettorale, secondo fonti consultate dal quotidiano americano “New York Times”.
Non è ancora chiaro quali accuse dovrà affrontare, ma l’indagine si è concentrata sulla possibilità che la sua campagna abbia cospirato con il governo turco per ricevere donazioni straniere illegali. “Sono innocente e combatterò con tutta la mia forza e il mio spirito”, ha detto Adams dopo aver appreso la notizia della sua incriminazione. Adams diventerà il primo sindaco in carica di New York ad essere accusato di un crimine federale.
L’atto di accusa segna una svolta sorprendente per Adams, un ex funzionario di polizia che ha vinto le elezioni quasi tre anni fa per diventare il secondo sindaco nero di New York, la città più grande degli Usa su una piattaforma che prometteva un approccio basato su legalità e ordine per ridurre la criminalità. Per gran parte dell’ultimo anno, Adams ha dovuto affrontare crescenti questioni legali, con molteplici indagini federali sui principali consiglieri che hanno prodotto un ritmo di citazioni in giudizio, perquisizioni e quindi dimissioni di alto livello che hanno gettato il municipio in crisi. Solo nelle ultime due settimane, a lasciare il proprio incarico sono stati il capo della polizia e il responsabile scolastico.
Erano le prime ore del mattino sulla East coast quando è iniziata la perquisizione alla Gracie Mansion nell’Upper East Side, residenza ufficiale del sindaco di New York. Poco dopo, il procuratore degli Stati Uniti per il distretto meridionale di New York e i funzionari dell’FBI e del dipartimento investigativo della città hanno annunciato le accuse federali contro Erid Adams, sindaco della Grande Mela.
La marea delle voci sul 64enne sindaco democratico montava da giorni, tanto da indurre Adams a pubblicare un messaggio video in cui raccontare delle accuse nei suoi confronti: “Credo che il governo federale intenda accusarmi di crimini federali. Se è così, queste accuse saranno del tutto false, basate su bugie”. Adams, che si è dichiarato “non colpevole”, è oggetto di un’indagine che risale al 2021 circa possibilità che il sindaco e la sua campagna abbiano cospirato con il governo turco per ricevere donazioni straniere illegali; inoltre, sulla possibilità che Adams abbia fatto pressione sui funzionari del Dipartimento dei vigili del fuoco affinché approvasse l’apertura di un consolato turco in un grattacielo a Manhattan, nonostante gli evidenti problemi di sicurezza.
Adams dovrebbe candidarsi per un secondo mandato, in una primaria democratica molto competitiva, il prossimo giugno. Quattro importanti democratici sono già entrati in gara, accusandolo di essere un pessimo manager, reo di non aver saputo affrontare la crisi in cui versa la città. Anche prima della notizia dell’incriminazione del sindaco -che tecnicamente non è costretto a dimettersi- importanti funzionari eletti avevano già chiesto le sue dimissioni, in particolare la rappresentante Alexandria Ocasio-Cortez di New York. Ma dopo la notizia delle accuse, le richieste di dimissioni sono rapidamente aumentate. Se il tutto, poi, accade a poche settimane dalle elezioni Usa, la vicenda rischia di trasformarsi in una bomba a orologeria.
Come sottolineato dalla stampa Usa, l’incriminazione di Adams presenta risvolti politici a livello nazionale: tra poco più di un mese si terranno negli Stati Uniti le elezioni presidenziali, oltre alle elezioni per il rinnovo parziale di Camera e Senato. Lo Stato di New York è al centro di una contesa serrata tra Democratici e Repubblicani che potrebbe contribuire a determinare gli equilibri al Congresso federale. Lo stesso Adams, come detto, puntava a farsi rieleggere sindaco di New York il prossimo anno.
Il tutto si trasforma in una grossa tegola per la campagna elettorale di Kamala Harris, uno scossone nel partito, con tanto di cospirazione con un Paese estero, e che coinvolge la città simbolo dell’America nel mondo, indubbiamente si abbatte come un ciclone in casa dem. Non solo, ma logora ulteriormente i rapporti fra quest’ultimo e i democratici. Durante la sua dichiarazione registrata, Adams si è scagliato contro il governo federale, che controlla il Dipartimento di Giustizia, fra le altre cose.
C’è poi un meccanismo tecnico che potrebbe affliggere i numeri delle elezioni del prossimo novembre. L’indagine penale potrebbe portare alla sua sostituzione come uno dei 28 elettori presidenziali democratici dello Stato, all’interno del famigerato Collegio Elettorale, che “convalida” i risultati del voto popolare. Questo significa che esiste una remota possibilità che Adams possa comportarsi come un elettore “infedele”, non votando per Harris, come ripicca per l’indagine federale nei suoi confronti. Lo scenario da incubo che si scatenerebbe nel Collegio, che richiede almeno il risultato 270-268 per assegnare la Casa Bianca, è che Adams trasformi il pallottoliere in un 269-269.
Harris, tuttavia, dovrebbe mantenere la roccaforte democratica a novembre. L’ultimo sondaggio del Siena College condotto dall’11 al 16 settembre tra 1.003 probabili elettori ha mostrato che la vicepresidente aveva un vantaggio di 13 punti su Donald Trump a New York (55% contro 42%). Negli Stati Uniti non esistono norme specifiche che puniscano gli elettori infedeli, ma le casistiche vengono disciplinate dai singoli Stati e dalle loro leggi.
Nel settembre 2023, la governatrice di New York Kathy Hochul ha firmato una serie di progetti di legge per rafforzare il processo democratico nello Stato: fra questi, una norma che include il divieto agli “elettori infedeli” di influenzare l’esito di un’elezione presidenziale, non dando il proprio voto al candidato presidenziale che riceve più voti. Chiunque venga sorpreso a esprimere il proprio voto elettorale per un candidato che non ha ottenuto il maggior numero di voti sarà costretto a dimettersi. Una norma che potrebbe salvare il risultato, ma non le elezioni dall’ennesimo caos a suon di riconteggi, accuse reciproche, allarmi frodi e Corte Suprema.