L’industria dimenticata dall’Europa

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Fatta di brevetti, di acciaio, di ferro. anche di innovazione tecnologica, di crescita e formazione sembra essere diventata una reietta. Si sentono ormai in giro dibattiti che fanno capire che l’industria è diventata reietta, anzi un fantasma. Oggi è prassi consolidata, da parte della politica, visitare le fabbriche ma non ascoltare le ragioni dell’industria, , la richiesta di riforme e strumenti per renderla più competitiva sui mercati interni ed internazionali. Le attività industriali trasformano il territorio su cui hanno un impatto positivo in termini di sviluppo e ricchezza, ma anche a volte impatti negativi, non lo si può negare anche se sono casi isolati per fortuna. L’Italia , povera di materie prime e con poche risorse , con poca energia, ma con dei lavoratori vogliosi di impegnarsi e sacrificarsi, per migliorare il proprio tenore di vita e quello della propria famiglia, ha realizzato un’industria in molti settori leader nel mondo. La nostra industria esporta il 70% della sua produzione. Eppure se andiamo a dare uno sguardo, tra i primi gruppi industriali nel mondo non ne troviamo una europea. La corsa della Cina dopo il suo debutto nell’organizzazione del commercio mondiale ha trasformato lo scenario della competizione. Allora bisogna domandarsi perché ciò è accaduto e quali sono le condizioni per ovviare a questo gap. A volte ascolto economisti che sembrano vivere in un mondo di sogni, come alcuni in Italia che sostengono che il turismo da solo possa produrre ricchezza. Oppure quelli che sostengono che l’Europa è il più grande mercato di consumatori. La forza di un territorio non sta nei consumi , ma nella produzione.
Chimica, siderurgia, trasporti e alimentare facevano dell’Europa il primo produttore ed esportatore al mondo. Ma nell’ultimo decennio lo sviluppo sembra essersi arrestato e siamo stati surclassati da Stati Uniti e Cina , per non parlare , da qualche anno, del gigante indiano. La ragione unica è la visione eurocentrica del mondo che ha fatto perdere di vista altri scenari. L’industria è stata considerata una sorta di ostacolo da eliminare, per avviare l’Europa verso l’utopica transizione ecologica, che avrà bisogno di decenni , a voler essere ottimisti, per realizzarsi . Altro che il 2035! La soluzione, ad oggi, per rendere di nuovo competitivo il Vecchio Continente e il nostro Paese non può che passare attraverso le fabbriche, i cantieri, i centri di ricerca e formazione. Basta pensare alle politiche scellerate che in Italia hanno fatto con l’acciaio dove eravamo leader nel mondo per la produzione e qualità. Nulla è però ancora perso. Potremmo diventare leader mondiale per la produzione di acciaio, green , ma avremmo bisogno di una classe politica che sia all’altezza del compito. L’Unione Europea , sembra un convitato di pietra; assiste inerme al suo decadimento. Non si parla d’altro che di una nuova riconfigurazione in chiave di sostenibilità , sicuramente necessaria e decisiva, ma che ha già trasformato l’ economia. Chi pensa o immagina che l’industria in Europa possa riconvertirsi con un clic è , a voler essere buoni, un sognatore, diversamente dovremmo parlare di follia e/o malafede. Se solo si tenesse conto che la Cina da sola, produce il 90% dei pannelli fotovoltaici, il 60% della tecnologia eolica e il 75% delle batterie, basterebbe questo a far rendere conto all’Europa che siamo alla follia. Serviranno decenni. E in questo tempo l’Europa dovrà, necessariamente riprendere il dialogo, ormai interrotto da tempo, con l’industria. Continuare con un’economia gestita dalla finanza senza il supporto di una sana, moderna ed equilibrata economia reale , arriveremo al suicidio. L’Italia , in particolare , seconda manifattura in Europa, ha bisogno delle industrie per garantire il debito pubblico e per la sua sostenibilità. È venuto il tempo di svegliarsi, mettere da parte i sogni ed affrontare la realtà.

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