Chissà se il giovane Giacomo Leopardi, quando scrisse, tra il 1818 e il 1819, una delle sue liriche più famose nei Canti, avesse mai pensato a una attualizzazione futura della sua scrittura. Oggi, “l’infinito” sembra più che mai calzante alle aspirazioni del leader leghista Matteo Salvini di tornare al Viminale. Per questo motivo, l’attuale vice premier potrebbe scrivere, pensando alla sua aspirazione e a tutta la vicenda immigrazione:
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.