L’Italia vien pesta, dell’elmo di Giorgia vien, di fatto, pesta …

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Sono passati quarant’anni da quando Toto Cutugno spopolò con il suo 45 giri “L’italiano”. Nonostante gli otto lustri trascorsi, nel corso dei quali la storia ha, praticamente cambiato i connotati geopolitici del pianeta, le parole cambiano ma la musica è sempre la stessa. Oggi, volendo rivisitare il testo di quel grande successo planetario della musica leggera del “bel Paese”, potremmo pensare di affidare il compito alla prima inquilina di “palazzo Chigi” della storia d’Italia. Ma per farla cantare dove? Forse su di un palcoscenico che ai tempi di Cutugno era ancora in fase embrionale, quello di Bruxelles, all’ombra del palazzo di vetro dell’Ue. Perché, in questa location? E’ presto detto, all’indomani della riconferma al timone della Commissione della belga Ursula Gertrud Albrecht, coniugata von der Leyen, che proprio in tema di matrimoni, questa volta solo politici, proprio mentre andava verso l’altare della rielezione si è vista lasciare dalla sua unica partner femminile in Europa, la Giorgia nazionale. La stessa Giorgia che, poco più di un mese fa ammiccava con la fiamminga in quel di Puglia, in occasione del G7. Dal 1983 a oggi sono cambiate tante cose nel mondo: è caduto il muro di Berlino, l’Unione Sovietica è diventata Russia, alla “Casa Bianca” è approdato un presidente afroamericano, in Vaticano ci sono stati due Pontefici, la corona britannica non se l’è passata molto bene, in Italia un magistrato sempliciotto di origini appenniniche ha cancellato un’intera classe politica e il suo schema partitico portando in prima fila i lacchè delle retrovie, al Colle e a “Palazzo Chigi”, sono arrivati, sdoganati, i post comunisti e oggi, anche post fascisti. Per questo, alla vigilia della nomina dei nuovi Commissari Europei e all’indomani del divorzio con “Lady Europe, la “chiamatemi Giorgia alle euro elezioni”, in attesa di capire che rappresentanza avrà l’Italia nella nuova “governance europea”  potrebbe ricorre al remake musicale del Cutugno nazionale. “Lasciatemi cantare, con il cappello in mano, lasciatemi cantare, sono un italiana. Buongiorno Italia, gli spaghetti al dente, è una classe politica alquanto deludente, con il fascio nascosto dietro la mano destra e falce e martello dietro la sinistra. Buongiorno Italia un tempo nota per  i tuoi artisti, oggi meglio conosciuta per i suoi arrivisti sempre più trasformisti e sempre meno statisti…”. Un sonetto che, forse potrebbe, intenerire caritatevolmente “madame Eu”, nella speranza che allo stivale tocchi un commissario degno dei fasti della sua storia, ovviamente, più passata che presente. A Roma si aspettano che la euro presidente nomini un italiano suo vice o gli assegni un incarico di peso, anche se da “Caput mundi” pare siano stati indicati due nominativi, con l’aggiunta di un terzo di riserva. In pole position con la maglia tricolore, ci sarebbe il ministro salentino Fitto, già più volte eurodeputato, parlamentare, ministro, eccetera, eccetera che aspirerebbe a uno scanno di prim’ordine. In seconda fila ci sarebbe una candidatura di peso come quella del ministro della Difesa, Guido Crosetto, al quale potrebbe essere affidata l’effimera delega della “difesa”, che in Europa vuol dire solo “vieni ad alzare la mano in Commissione”. Terza ipotesi potrebbe vedere in corsa la Belloni, donna dei vertici dell’apparato statale e ben vista dal colle. Intanto, l’affranta euro sposa, lasciata sul tappeto davanti all’altare dalla Giorgia tricolore, potrebbe tirare fuori dal cilindro altre soluzioni per l’Italia che, per la “romana che si è fatta da sola e che parla bene le lingue” potrebbero avere più connotazioni purgative che rappresentative. Nel suo discorso di insediamento e ai giornalisti in conferenza stampa la von der Leyen ha accennato alla possibilità di riconfermare qualche Commissario uscente. Pensate uno di questi fosse Gentiloni? Che schiaffo sarebbe per l’attuale maggioranza di Governo? E se, invece, attribuisse all’Italia una delega dalle inutili valenze politiche come la “difesa” o il “Mediterraneo”. In questo caso si tratterebbe sempre di schiaffi ma di portata meno fragorosa. Ma sempre schiaffi sono, anche se come diceva il principe della risata, l’indimenticabile principe De Curtis, Giorgia potrebbe dire “mica sono Pasquale, io”, infatti non avrebbe torto perché, in questo caso gli schiaffoni, li prenderebbe l’Italia e gli italiani, prima che lei. E, quindi, come canto Orietta Berti sarebbe il caso di dire: “fin che la barca va, lasciala andare”.

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