Lo scambio di prigionieri tra Russia e Stati Uniti fa parte di una lunga storia di reciproci rilasci di detenuti tra Mosca e l’Occidente. Ecco quelli principali dalla Guerra Fredda in poi

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Senza nessuna premonizione o avviso sotterraneo è arrivato  l’annuncio di un importante scambio di prigionieri fra la Russia e gli Stati Uniti patrocinato dalla Turchia. Un evento che modifica lo stato della pace della guerra e lascia sperare in una de-escalation perseguita dalla diplomazia sia nella guerra in Ucraina che in quello del Medio Oriente.

Il primo e più noto prigioniero rilasciato dai russi è il reporter del Wall Street Journal Evan Gershkovich già condannato a 16 anni per spionaggio, poi è stato dato l’annuncio della liberazione del marine Paul Whelan, arrestato nel 2016. Con loro sono state liberate una ventina di persone di cui ancora non si conosce l’identità, salvo quella di un paio di dissidenti. Né sono ancora noti i nomi dei prigionieri rilasciati dagli americani. Quel che è certo è che la Turchia di Erdogan ancora una volta si propone al centro dei problemi internazionali come un protagonista capace di muoversi con credibilità su entrambi i campi. Il significato complessivo dell’operazione è quello di un ritorno alle modalità della guerra fredda quando le due superpotenze, riconoscendosi pari dignità e leadership, organizzavano incontri e accordi di cui tutto il resto del mondo era escluso.

Per ora si sa che i prigionieri liberati dagli Stati Uniti dovrebbero essere otto e che la selezione dei nomi di tutti coloro che  sono tornati in libertà è  avvenuta dopo mesi di trattative segrete.  

La linea tenuta per ora dalla Casa Bianca è quella cui si sta ispirando anche la candidata a Kamala Harris: quella di smorzare focolai di guerra attraverso il colloquio privilegiato tra Stati Uniti e Russia. Se queste sensazioni corrispondono alla verità lo vedremo nelle prossime settimane ma già si apprezza un lieve miglioramento in Ucraina dove la Russia ha abbassato i toni trionfalistici ammettendo – lo rilevava anche il nostro ministro degli Esteri Tajani – di non avere a disposizione la vittoria militare come opzione.

Donald Trump attacca l’accordo per lo scambio di prigionieri tra Stati Uniti, Russia e altri paesi insinuando che sia sfavorevole a Washington e che siano stati pagati soldi. Cosa che “è un cattivo precedente per il futuro”, accusa il tycoon anche se la circostanza è stata esclusa dal consigliere per la Sicurezza nazionale americano Jake Sullivan. “Quando pubblicheranno – chiede Trump in un post sul suo social network Truth – i dettagli dello scambio di prigionieri con la Russia? Quante persone prendiamo rispetto a loro? Li stiamo anche pagando in contanti? Ci stanno dando soldi (per favore cancellate questa domanda, perché sono sicuro che la risposta sia ‘no’)? Stiamo liberando assassini, killer o delinquenti? Sono solo curioso perché non facciamo mai buoni affari in niente e soprattutto negli scambi di ostaggi. I nostri ‘negoziatori’ sono sempre un imbarazzo per noi. Ho riportato a casa molti ostaggi – prosegue il tycoon – e non ho dato un soldo al Paese avversario. Farlo è un brutto precedente per il futuro. È così che dovrebbe essere, o questa situazione peggiorerà sempre di più. Stanno estorcendo denaro agli Stati Uniti d’America. Stanno chiamando lo scambio ‘complesso’, così nessuno può capire quanto sia grave”.

Fino alla fine della Guerra Fredda nel 1991, gli scambi di prigionieri – soprattutto di spie – erano frequenti tra Mosca e l’Occidente. Gli scontri tra americani e sovietici avvennero in particolare sul ponte di ferro Glienicke, che collegava la zona americana di Berlino Ovest alla città tedesco-orientale di Potsdam, attraversando un fiume, l’Havel. La sua leggenda iniziò a essere scritta nel 1962, quando il pilota di un aereo spia americano abbattuto sull’Urss, Francis Gary Powers, fu scambiato con un colonnello del Kgb, Rudolf Abel, detenuto negli Stati Uniti per spionaggio. La storia fu portata sullo schermo nel 2015 da Steven Spielberg ne “Il ponte delle spie”. Nel giugno 1985, su questo stesso ponte, ebbe luogo quello che un funzionario americano definì “il più grande scambio di spie”: quattro europei dell’Est detenuti negli Stati Uniti per spionaggio furono scambiati con 25 agenti (con le loro famiglie) che lavoravano per i paesi occidentali, detenuti in Polonia e Germania dell’Est. Ma l’operazione più clamorosa avvenuta su questo ponte fu, l’11 febbraio 1986, uno scambio di agenti di cui beneficio’ il dissidente sovietico Nathan Chcharanski, condannato nel 1977 per tradimento e spionaggio e rilasciato dopo anni di gulag.

Il 9 luglio 2010 l’aeroporto di Vienna-Schwechat è stato teatro del più grande scambio di spie dalla caduta della cortina di ferro. Un aereo ufficiale russo atterrò sulla pista, raggiunto pochi istanti dopo da un aereo americano. Un minibus nero con i vetri oscurati fece la spola tra i due aerei, che ripartirono senza indugio. A bordo di uno, dieci agenti russi espulsi dagli Stati Uniti, tra cui la giovane Anna Chapman, un’imprenditrice russa con sede a New York che raccoglieva informazioni per conto di Mosca come parte di una rete “d’agenti illegali”. La sua doppia vita aveva affascinato i media. Nell’altro aereo c’erano quattro russi arrivati da Mosca, tre dei quali erano stati condannati per spionaggio. Tra questi, un certo Sergei Skripal, il cui avvelenamento nel 2018 nel sud dell’Inghilterra, dove si era rifugiato, scateno’ una grave crisi diplomatica con la Russia. Diversi paesi occidentali accusarono Mosca di essere all’origine dell’attentato, cosa che il Cremlino ha sempre negato. La star del basket americano Brittney Griner, condannata nell’agosto 2022 a nove anni di carcere per aver portato in Russia, dove avrebbe giocato per alcuni mesi, un liquido da svapare contenente cannabis, e’ stata scambiata quattro mesi dopo all’aeroporto di Abu Dhabi contro il mercante di armi russe Viktor Bout, che stava scontando una pena detentiva di 25 anni negli Stati Uniti.

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