Malaffare politico e tangentizio nella vicenda barese e discorso di Craxi al parlamento nel 1992

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In questi giorni,  con la  riscoperta della questione morale, relativa alle  vicende baresi, si riapre il  dualismo tra magistratura e politica con  Conte dei Cinque Stelle che richiede ‘…non onestà ma il patto della legalità…’, ritirando consiglieri e assessore dalla giunta regionale.

In politica una persona può comportarsi correttamente dal punto di vista penale e  in modo assolutamente discutibile per etica pubblica. Oppure,  può comportarsi bene dal punto di vista etico ma fare qualcosa che costituisce reato. Parliamo, detto in sintesi,  dell’etica pubblica e commissione di  reati’.  La politica, che ha smarrito in questo momento la propria autonomia, diventa subalterna alle categorie del giuridico. Il profilo etico e politico deve essere distinto da quello giuridico.

Il 3 luglio del 1992 Bettino Craxi, ex presidente del Consiglio e segretario del Partito socialista italiano, tenne alla Camera un celebre discorso in cui definì buona parte del sistema di finanziamento dei partiti politici ‘irregolare o illegale’, sfidando gli altri deputati a smentirlo. In quel periodo era in corso lo scandalo di Tangentopoli, cioè l’insieme di inchieste giudiziarie che riguardarono l’esteso sistema di corruzione e concussione che coinvolgeva quasi tutti i principali partiti italiani e un pezzo dell’imprenditoria nazionale.

Craxi, uno dei più importanti politici di quei decenni, era stato coinvolto dalle inchieste, e come strategia di difesa aveva deciso di descrivere il fenomeno della corruzione politica come ampiamente diffuso e usato da tutti i partiti: la sua speranza era che il fenomeno sarebbe stato giudicato e trattato come un problema politico generale, e non come un problema giudiziario da risolvere con i processi. Sperava inoltre di dimostrare, in questo modo, che se il problema era sistemico le colpe sue e del Partito socialista non erano maggiori di quelle di tutti gli altri partiti.

Già nell’aprile del 1992 aveva tenuto un discorso in cui aveva ammesso il finanziamento illecito del Partito socialista, in cui affermò che tutti i partiti avevano fatto la stessa cosa ma negando ogni accusa di arricchimento personale. Il suo discorso più famoso sulla questione è però probabilmente quello del 3 luglio: ‘E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale.  Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro’.

Con Tangentopoli ci si riferisce al biennio di inchieste giudiziarie, note con il nome di Mani Pulite, iniziate nel 1992 dalla procura di Milano. Dopo l’arresto del socialista Mario Chiesa, considerato quello che diede inizio a tutto, la procura mise insieme tre sostituti procuratori – Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo – per indagare sull’esteso e ramificato sistema di corruzione e concussione non soltanto a Milano, ma in tutta Italia. Il sistema era alimentato da un giro di tangenti che andava avanti da tempo e che finanziava i partiti politici, in cambio di appalti e accordi commerciali per le imprese che le versavano.

Fabrizio Cicchitto scrive che ‘a mio avviso  la politica si è sdraiata sul lettino dei pm’ per ragioni politiche di notevole spessore. Dal 1945 al 1989 il sistema politico italiano si è fondato su una contrapposizione derivante anche dalla divisione del mondo in due blocchi. Il finanziamento irregolare dei partiti è derivato da qui e ha avuto aspetti internazionali e nazionali. Magistrati e giornalisti conoscevano bene l’esistenza di queste opposte forme di finanziamento irregolare anche perché don Luigi Sturzo ed Ernesto Rossi ne denunciarono l’esistenza in articoli e libri. Tutto ciò è andato avanti senza conseguenze giudiziarie fino al 1989, quando è crollato il comunismo in Urss e nell’Est europeo e il Pci è stato costretto a cambiare nome. A quel punto Cossiga è stato l’unico a capire che il crollo del comunismo avrebbe avuto conseguenze non solo per il Pci, ma anche per la Dc, il Psi e i partiti laici. A quel punto, infatti, i poteri forti, i grandi gruppi finanziari-editoriali e alcune banche, hanno ritenuto che i partiti andavano ridimensionati o addirittura eliminati. L’antipolitica deriva da lì. L’irregolarità nel finanziamento dei partiti, considerata anche veicolo di corruzione, è stato il grimaldello per distruggere i partiti o per ridurli ai minimi termini sul terreno del prestigio e del consenso.

A quel punto, per affrontare la questione in termini equi ed equilibrati, sarebbero dovute intervenire due operazioni, una istituzionale-legislativa comunicativa, l’altra politica. La prima avrebbe dovuto consistere in una grande confessione collettiva, in una amnistia, nell’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, in un nuovo finanziamento pubblico molto più elevato e molto più controllato. L’operazione politica avrebbe dovuto consistere nella formazione di un grande partito socialdemocratico e riformista in alternanza a uno schieramento moderato-conservatore guidato dalla Dc. Non è avvenuto nulla di tutto questo, anzi per molti aspetti si è verificato l’opposto. Il Pds nella sua versione post berlingueriana, del tutto antisocialista, ha ritenuto di offrirsi ai poteri forti come soggetto politico che, d’intesa con il circo mediatico-giudiziario, liquidava il centrodestra della Dc, il Psi e i partiti laici e in parallelo contribuiva alla liquidazione di larga parte del sistema delle partecipazioni statali. Ciò è avvenuto con una forzatura giudiziaria e mediatica perché il sistema di Tangentopoli comprendeva sia tutti i partiti sia tutti i gruppi economici privati e pubblici. Invece Mani pulite rase al suolo la Dc, il Psi e i partiti laici e salvò ristretti gruppi dirigenti sia della Dc sia della sinistra democristiana.

Il Craxi evocato da Violante nel suo discorso alla Camera del 2 luglio 1992, proprio nella prospettiva della confessione collettiva, invitò tutti a dare conto delle rispettive corresponsabilità nel finanziamento pubblico dei partiti. Quell’appello non fu affatto raccolto ma il conseguente vulnus ebbe come conseguenza prima la discesa in campo di Berlusconi poi l’aggregazione di molteplici forme di sovranismo, populismo, giustizialismo. È così avvenuto che il Pds è riuscito a liberarsi, per via mediatico-giudiziaria, del Psi, ma oggi si trova in minoranza rispetto al centrodestra guidato da Giorgia Meloni. E a ricercare col piattino in mano l’alleanza con il partito ultra-giustizialista e ultra-populista quale è il Movimento 5 Stelle. Di conseguenza questo appiattimento della politica sui pubblici ministeri ha ragioni profonde e ha prodotto una deformazione e una involuzione nel sistema politico italiano. Non sappiamo se malgrado tutto quello che finora è accaduto il peggio deve ancora venire. Anche perché il quadro internazionale presenta aspetti del tutto dirompenti’.

Luciano Violante, ex magistrato e parlamentare dal 1979 al 2008 e Presidente della Camera dal 1996 per cinque anni, afferma: ‘La sinistra sbaglia da trent’anni sulla giustizia, Craxi aveva ragione. E ci sono troppe intercettazioni. Il principio è quello della presunzione di innocenza, che è un criterio puramente giuridico. Poi c’è il piano politico e quello etico. Che sono cose diverse. Rispettare le garanzie della persona è una forma di civiltà. Poi ci sono i parametri della politica e dell’etica politica che sono distinti dal processo penale. Io preferisco parlare di legalità, che si colloca sul piano giuridico. E comporta non considerare una persona colpevole finché non c’è una certezza determinata dall’ultimo grado di giudizio. Ma insisto: c’è un profilo etico e politico distinto dall’aspetto giuridico. E la politica che si schiaccia sul giuridico, non è apprezzabile. All’inizio, con Mani Pulite, la sinistra ha confuso la questione morale e la questione giuridica. Ma tra il 1992 e il 1994 si è confuso tutto da parte di tutti. Quando Craxi disse: ‘Guardate che se non troviamo una soluzione politica, prevarranno l’avventurismo e la degenerazione’, aveva ragione. È quello che è avvenuto. Perché distingueva il piano politico da quello giuridico. Purtroppo nessuno di noi capì. E sappiamo tutti come è andata. Su Bari aspettiamo di vedere il seguito delle indagini, che finora destano preoccupazione, e distinguiamo gli innocenti dai colpevoli, e riflettiamo sui luoghi dove si sarebbe inserito il malaffare. Conte ha preso delle decisioni coerenti con quello che ha detto. Si può essere contenti o meno, ma sostenendo che quegli avvenimenti sono contro l’etica del suo partito, si è schierato fuori dalla maggioranza della Regione. È coerente, anche se può essere più o meno gradito. Sono scettico sull’uso del termine ‘Questione morale’. Cosa vuol dire questione morale? Vuol dire che l’attività politica in generale è distorta a fini di arricchimento personale? Che esistano problemi giuridici di natura penale per alcuni esponenti del Pd, come anche di altri, in questi giorni, è un fatto. Ci sono comportamenti politici che fanno emergere questioni di correttezza. Starei attento all’uso immorale della questione morale. Enrico Berlinguer diceva che i partiti hanno occupato lo Stato e perciò c’è una questione morale. Si riferiva al rapporto invasivo dei soggetti politici nei gangli dello Stato, quindi a fatti politici e non a processi penali. Non so bene in quale momento ma a un certo punto c’è stato un gruppo dirigente del Pds-Ds-Pd, nella sua evoluzione, che ha attribuito piena autonomia ai capi locali purché sostenessero il gruppo dirigente nazionale. A un certo punto mi sembra sia è invalsa implicitamente questa condizione: ‘Sulle questioni locali, fate voi, purché sosteniate il centro’. Sono cresciute così autonomie distorte, che non rispondevano più a una logica complessiva. Parlo di quei dirigenti politici che si attribuiscono il potere di fare il bello e il cattivo tempo sul territorio. Potentati locali sganciati dalla logica generale’.

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