Maurizio Belpietro e l’obbedienza di Romano Prodi ai poteri forti, che partono dalla famiglia Agnelli per chiudersi con Helmuth Kohl

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Che non corra buon sangue tra Romano Prodi e Giorgia Meloni non è di certo un mistero. Che poi, dal punto di vista prodiano, il successo conseguito dalla premier diviene scontato esclusivamente perché la Meloni è ‘obbediente’ e per null’altro. E’ ovvia la piccata ribellione degli ambienti vicini alla premier, visto anche che ‘Mr Mortadella’ non è di certo senza peccati e non può scagliare la pietra dell’obbedienza. Uno a caso, il ministro Urso, ricorda a Prodi di essere stato la ‘prima causa’ per il tracollo automobilistico italiano ricordando che, avendo ceduto Alfa Romeo alla famiglia Agnelli, aveva eliminato la concorrenza all’interno del mercato italiano.

Nel 1986, Alfa Romeo è stata venduta al Gruppo Fiat, dopo un lungo braccio di ferro con Ford, fortemente interessata alla casa del Biscione. L’obiettivo era quello di limitare le perdite di IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale che allora possedeva il brand milanese. Urso durante un dibattito sull’automotive italiano ha dichiarato: “Il grande errore della politica delle auto è quando il presidente dell’IRI di allora decise di vendere l’Alfa Romeo alla Fiat e non di accogliere l’investimento della Ford. Proprio per questo oggi in Italia abbiamo un’unica casa automobilistica mentre gli altri Paesi, come Francia, Germania, Polonia, ne hanno tre-quattro-cinque. Lì sta il grande errore della politica italiana e ha un nome e cognome: Romano Prodi”.

L’ex premier Romano Prodi ha ribattuto al ministro, dando il suo punto di vista sulla trattativa che portò Alfa Romeo nell’orbita Fiat: “Il mio obiettivo non è mai stato vendere alla Fiat l’Alfa Romeo: non sono mai stato un monopolista.”. Prodi ha poi sottolineato che l’offerta di Fiat era più ricca rispetto a quella della casa automobilistica di Dearborn, inoltre Fiat si offrì di acquistare tutte le azioni, a differenza di Ford. “A quel punto Finmeccanica non aveva alternative che vendere al miglior offerente, secondo gli obblighi di legge”.

Urso ha voluto smorzare i toni, dichiarando che non voleva polemizzare con Prodi, sottolineando tuttavia che “non si dovrebbe mai cedere il competitore a quello che diventerebbe l’unico attore di mercato, di fatto monopolista”.

Maurizio Belpietro, nel difendere Giorgia Meloni sulla questione Fiat e Alfa Romeo, ha pubblicato un editoriale in cui fa le pulci all’ex Presidente del Consiglio, chiedendosi: Meloni secondo Prodi è ubbidiente? Vediamo un po’ come si comportava lui, spiegando che Romano Prodi iniziò la sua carriera politica come democristiano vicino alla corrente dorotea, ma quando intuì che avrebbe avuto maggiori opportunità avvicinandosi ad Amintore Fanfani e Aldo Moro, con cui era legato il suo mentore Andreatta, avrebbe deciso di cambiare schieramento. Questo cambio gli avrebbe rapidamente fruttato un incarico da ministro dell’Industria, seppure per un breve periodo di quattro mesi, durante il quale varò una legge sulle riconversioni industriali, accolta favorevolmente da una Confindustria allora rappresentata dall’avvocato Agnelli. Inoltre, durante il suo mandato come presidente dell’Iri (Istituto per la Ricostruzione Industriale), Prodi secondo Belpietro avrebbe dimostrato ulteriore acquiescenza verso i cosiddetti poteri forti.

In primo luogo, Romano Prodi avrebbe deciso di vendere la Sme, una finanziaria statale nel settore agroalimentare, a Carlo De Benedetti per 497 miliardi di lire, dilazionati in quattro rate. Questo tentativo fu bloccato da Bettino Craxi, e anni dopo la SME fu venduta per oltre 2000 miliardi.

Un’altra decisione controversa, e questo è il punto più caldo, vista la crisi attuale e disastrosa del settore auto, fu la vendita di Alfa Romeo agli Agnelli per circa 1000 miliardi di lire, sempre con pagamenti rateali e senza interessi, nonostante la Ford avesse offerto una cifra molto più alta, tra i 3000 e i 4000 miliardi, oltre a investimenti per ulteriori 4000 miliardi. Queste scelte, secondo il direttore della Verità, evidenzierebbero la disponibilità di Prodi a favorire interessi specifici, un atteggiamento sarebbe stato anche confermato successivamente nei panni di Presidente del Consiglio, quando la privatizzazione della telefonia di Stato portò alla nomina di un manager legato alla Fiat alla presidenza di Telecom Italia, con un coinvolgimento diretto della famiglia Agnelli. A quanto riporta Belpietro, Prodi rivendicò un presunto risanamento dei conti dell’Iri, ma secondo Enrico Cuccia si sarebbe trattato solo di un maquillage finanziario: le perdite accumulate dalla siderurgia furono semplicemente allocate nelle riserve. La Corte dei conti, analizzando le privatizzazioni realizzate in quegli anni, rilevò che i benefici per le aziende privatizzate derivavano principalmente dall’aumento delle tariffe di energia, autostrade e banche, a scapito dei consumatori.

Un’altra decisione contestata a Prodi fu l’adesione dell’Italia all’euro. Sebbene fosse importante per il Paese rimanere integrato nel progetto europeo, l’allora presidente accettò un tasso di cambio sfavorevole, fissato a 1936,27 lire per marco tedesco, che penalizzò l’economia italiana. Questo atteggiamento arrendevole verso la Germania di Helmut Kohl sembrò essere ripagato anni dopo, secondo Belpietro, con la nomina di Prodi a presidente della Commissione europea. Un approccio di obbedienza che sarebbe stato riproposto anche nei confronti della Cina, favorendo l’ingresso della Repubblica Popolare nel Wto (World Trade Organization) senza condizioni. Da presidente della Commissione Ue, Prodi avrebbe contribuito inoltre a consolidare i legami commerciali tra Cina ed Europa, stringendo anche rapporti personali con la leadership cinese. Questo impegno culminò simbolicamente con l’inaugurazione di una cattedra di Cultura Italiana presso un’università di Pechino intitolata alla famiglia Agnelli, di nuovo, e affidata proprio a Prodi.

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