A poche ore dall’insediamento del nuovo inquilino alla Casa Bianca, sulla tregua a Gaza, che dura ormai, da poco più di un giorno e sulla liberazione degli ostaggi, Abbiamo intervistato padre Ibrahim Faltas (ofm), vicario custodiale di Terrasanta e uomo di pace e del dialogo. Lo stesso uomo che si è occupato, tra le altre cose, di salvare la vita a centinaia di bambini di Gaza, Betlemme e Gerusalemme, facendoli curare in Italia, dalle ferite provocate loro dalla guerra. Un sacerdote francescano che di Medio Oriente e guerre se ne intende essendo da anni in prima linea per cercare di far trionfare la pace, la serenità e il rispetto reciproco tra due popoli che sembrano essere ostili ma che di ostile, forse, hanno in comune solo alcuni loro governanti.
Padre Ibrahim, come, come giudica e cosa pensa di questo cessate il fuoco?
Sono fiducioso che cessare il fuoco sia l’inizio di un percorso. È ricominciata una fase di dialogo e di mediazione. Vedere la gente di Gaza sorridente anche se in condizioni difficili, vedere i parenti degli ostaggi con lo sguardo più sereno è già un segno forte di speranza.
Che aria si respira in quella zona del mondo, nelle ultime ore?
Ieri sono stato a Cana, in Galilea per la celebrazione della Santa Messa e a Gerusalemme: si respira veramente un’aria nuova. Ho incontrato visi sorridenti e sembra che la situazione stia migliorando. Non sono percorsi facili, non è semplice mettere insieme le richieste di due popoli che soffrono da troppo tempo ma i cristiani sono il collante in questa terra e abbiamo fede!
Non sembra essere vero?
La gioia è, purtroppo, velata dalla preoccupazione.
Perché?
Questa prima fase è molto delicata. È un inizio e bisogna vedere cosa succederà in seguito.
Cosa servirebbe per portare concreto ottimismo in Medio Oriente?
Ora abbiamo bisogno di vedere segni concreti di pace. La pace e la fiducia si ricostruiscono passo dopo passo in modo da raggiungere più persone. Se si alzano muri di diffidenza e di continua sfiducia, si rischia di alzare barriere e si torna alla violenza.
In questa vicenda non è mai mancata la voce, dal Vaticano, di Papa Francesco, ritiene che la Santa Sede possa aver svolto un ruolo importante in questa situazione?
Il Santo Padre continua a chiedere incessantemente la pace fra Israele e Palestina, crede che l’unica soluzione possibile sia la definizione di due Stati che possano vivere in pace e in sicurezza. Ieri è stato ancora più realista: c’è la possibilità della soluzione di avere due stati, manca la disponibilità e la volontà di farlo.
Quindi adesso cosa occorre fare per far sì che questa situazione sia duratura?
Per questo bisogna lavorare e seminare il germe della pace nelle nuove generazioni, bisogna costruire legami di fiducia fra i due popoli e bisogna farlo attraverso il dialogo e favorendo la conoscenza reciproca e Gerusalemme può essere veramente la città dell’incontro. È un buon inizio ma bisogna continuare a pregare. La preghiera è l’unica arma consentita per combattere l’odio e la violenza.