Meloni è davanti ad un bivio europeo, ma dovrà scegliere comunque per il bis a von der Leyen: ‘Farò gli interessi italiani’

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“Non abbiamo nulla personalmente contro Ursula von der Leyen, ma non può credere di ricalcare la piattaforma del 2019: questa Commissione sarà di centrodestra”. In una intervista al “Corriere della Sera” Nicola Procaccini, copresidente del gruppo dei conservatori in Europa, Ecr, analizza la fase di avvicinamento alla scadenza di giovedì, quando in aula si voterà, a scrutinio segreto, sul nome della possibile presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Una trattativa, quella con l’Ecr, che si svolgerà a partire da martedì. Ma con quali obiettivi?

Queste ripetute dichiarazioni di Nicola Procaccini mi ricordano i tempi in cui Bettino Craxi inviava, in avanscoperta, Claudio Martelli, che lo sostituiva nel fare dichiarazioni allarmistiche, o di rottura, realtà che di fatto competeva al segretario, ovvero a Bettino  Craxi. Si aspettavano gli effetti pratici delle dichiarazioni e Martelli veniva, di volta in volta, o coperto o smentito.  Alla fine della fiera, molto probabilmente, Giorgia Meloni si serve, o se preferite, utilizza Procaccini per sondare il terreno riguardo le decisioni della der Leyen.

L’orientamento per ora è un voto negativo. Cosa può cambiare? Dipende dai chiarimenti e dalle richieste che avanzeremo nella interlocuzione diretta e, naturalmente, dalle indicazioni che ci arriveranno dal governo. Procaccini elenca quindi le richieste da destra: ‘Immigrazione, transizione verde, riforma in chiave federalista dell’Europa’. Sul primo punto serve un atteggiamento più fermo, un governo del fenomeno spostato all’esterno dell’Unione: l’obiettivo deve essere fermare le partenze e selezionare gli arrivi perché siano legali e sicuri per i migranti e utili per i paesi che li accolgono. Sulla transizione verde, devono tornare l’equilibrio e il buonsenso che per almeno 4 anni e mezzo del mandato von der Leyen sono stati sacrificati sull’altare del furore ideologico. Riguardo al futuro dell’Europa, poi, per noi resta il modello delle origini: confederale non federalista che riduce le nazioni a meri enti territoriali con funzioni amministrative’. Per alcune delle richieste non dovrebbero sorgere problematiche, a partire dalla migrazione, visto che la der Leyen sposerà completamente i risultati raggiunti dalla Meloni.

Antonio Tajani, il ministro degli Esteri italiano e vicepresidente di Forza Italia, ha recentemente parlato dell’importanza della cooperazione tra il Partito Popolare Europeo (PPE) e il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR). Tajani ha sottolineato che, nonostante le differenze, queste due forze politiche spesso votano insieme al Parlamento europeo e che il dialogo tra loro dovrebbe continuare anche dopo le elezioni europee.

‘Mi auguro che il prossimo commissario Ue all’Agricoltura sia espressione del Partito popolare europeo’. Va dritto al punto il vicepremier e ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, che del Ppe è uno dei maggiorenti: ‘Vogliamo che la nuova politica agricola, assieme a quella industriale, siano certamente finalizzate al contrasto dei cambiamenti climatici ma allo stesso tempo garantiscano la produzione agricola e la produzione industriale tenendo conto anche della questione sociale’.  Partiamo al fatto che la commissione Agri (Agricoltura e sviluppo rurale) dell’Eurocamera dovrebbe essere assegnata ai Conservatori di Giorgia Meloni, che nel frattempo non scioglie le riserve su Ursula von der Leyen. Il suo capodelegazione, Nicola Procaccini, gioca sul filo delle parole, negando il sostegno al miglior candidato dei popolari, ma lasciando comunque una finestra aperta in attesa dell’incontro con il gruppo Ecr, in programma martedì prossimo. La premier si limita a rispondere che proverà a ottenere il massimo per l’Italia. Stesso leitmotiv al quale si accoda pure Tajani, che però un messaggio in più, tra le righe, lo lancia. Quando, a margine del World farmers market coalition, organizzato a Roma da Coldiretti, gli viene fatto notare che ormai è tempo per l’Italia di indicare un proprio nome per la nuova Commissione, risponde senza esitazioni: ‘Prima dobbiamo avere un presidente della Commissione europea eletto, poi si fanno i nomi dei commissari, non viceversa’.

L’obiettivo di spostare a destra l’asse politico della Commissione Ue, ovviamente, non sarà possibile ma raggiungere un punto di equilibrio sarà più che soddisfacente. Procaccini spiega che a differenza del 2019 “la Commissione, che è emanazione dei governi nazionali, sarà per forza più orientata verso il centrodestra rispetto a cinque anni fa. Con il Consiglio europeo che è di centrodestra e il parlamento europeo che si è spostato verso destra, la piattaforma programmatica di chi vuole farsi confermare presidente della Commissione non può essere distonica. Per Procaccini è necessario  che der Leyen sposti l’asse della sua proposta politica orientandolo più a destra:  ‘Non lo penso soltanto. È necessario. Avrà commissari di centrodestra, come potrebbe non tenerne conto? E poi le maggioranze nell’europarlamento sono liquide, si danno e si disfano su ogni singola votazione.  Mi auguro le forze di opposizione italiane non provino a sabotare l’indicazione del governo. Ma ho qualche dubbio’.  Procaccini, in fondo, non condivide l’idea del cordone sanitario per escludere i Patrioti di Orbán: “È barbara e antidemocratica l’ipotesi del cordone sanitario per escluderli”. Possibilità da escludere completamente, viste le posizioni di  Macron e der Leyen.

Giorgia Meloni sarà fisicamente lontana da Strasburgo, visto che ha un’agenda fitta di impegni di politica estera: mercoledì  sarà a Tripoli per prendere parte al Trans mediterranean migration forum dove si parla di immigrazione, legale e illegale, che è la spina nel fianco del governo; il giorno dopo sarà nel Regno Unito a Blenheim palace per il vertice della Comunità politica europea. Nelle stesse ore a Strasburgo l’Europarlamento deciderà la governance della prossima legislatura. Giovedì Ursula von der Leyen vedrà o meno confermato in suo bis. In caso positivo la complessa macchina europea partirà. Se sarà invece fumata nera, si aprirà un periodo buio, segnato dalla presidenza di turno ungherese con Orban nel ruolo di cavallo di Troia per l’asse Putin-Xi in attesa, e nella speranza, che Trump torni a novembre alla Casa Bianca.

L’ago della bilancia di tutto questo rischia di essere Giorgia Meloni e il suo tesoretto di 24 voti all’europarlamento. Il bivio è di quelli che non lasciano spazio ad errori. La premier italiana ne è consapevole e in cuor suo ha già deciso: ufficialmente lo comunicherà “martedì, dopo l’incontro a Strasburgo con il gruppo Ecr”; ufficiosamente ha già deciso e darà mandato ai suoi eurodeputati di votare von der Leyen perché, come ha spiegato in conclusione del vertice Nato, “in qualità di Presidente del Consiglio italiano il mio unico obiettivo è portare a casa per l’Italia il massimo risultato possibile”. Come presidente di Ecr, invece, la decisione sarà presa dopo l’incontro von der Leyen previsto martedì, ultimo atto nella fitta agenda di incontri per la presidente già incaricata dal Consiglio europeo (25 capi di stato e di governo, tutti tranne due, Italia e Ungheria) ma che necessita del voto di almeno 361 eurodeputati. “A valle di quello che lei dirà, Fratelli d’Italia dialogherà con le altre delegazioni di Ecr e decideremo che cosa fare” ha aggiunto Meloni dovendo essere conseguente con il voto di astensione del 27 giugno. Ma sapendo già che, intimamente, dovrà votare von der Leyen e far parte del suo esecutivo. E’ chiaro che il governo italiano ha bisogno di avere a Bruxelles una commissione amica e alleata, disposta a chiudere un occhio sul deficit, ad avere un po’ di mano larga sul patto di stabilità. Altrimenti per Meloni e Giorgetti non sarà possibile  scrivere la legge di bilancio. La premier rivendica un commissario e un vicepresidente in Commissione. Un no la relegherebbe ai margini dell’Ue e non potrebbe trattare sui temi caldi che sono deficit, balneari, green deal.

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